K metro 0 – Roma – In questa settimana, il Primo Ministro giapponese Yoshihide Suga ha lanciato un deciso avvertimento al Presidente della Cina Popolare XI. Il tutto nella semplice affermazione che il Giappone prenderà in considerazione qualsiasi attacco alla Repubblica di Cina, meglio nota come Taiwan, come “minaccia esistenziale”. Atteso questo, per capire gli
K metro 0 – Roma – In questa settimana, il Primo Ministro giapponese Yoshihide Suga ha lanciato un deciso avvertimento al Presidente della Cina Popolare XI. Il tutto nella semplice affermazione che il Giappone prenderà in considerazione qualsiasi attacco alla Repubblica di Cina, meglio nota come Taiwan, come “minaccia esistenziale”.
Atteso questo, per capire gli equilibri nel Mare Indo-Cinese è necessario definire se sia imminente un attacco militare della Cina Popolare alla “fastidiosamente democratica” Taiwan e da cosa scaturisce il rinfocolarsi periodico del nazionalismo comunista cinese.
Nel suo discorso del 1° luglio, per celebrare i cento anni dalla fondazione del Partito Comunista Cinese (PCC), parlando dalla Porta di Tiananmen, il Presidente Xi Jingping, vestito tradizionalmente, a favore della propaganda interna come il Presidente Mao, è stato intransigente. Ha detto che il “sangue e carne” di 1,4 miliardi di cittadini cinesi respingerebbe il tentativo dell’Occidente di “opprimerci o schiavizzarci” e che “teste insanguinate” sarebbero il risultato di qualsiasi interferenza negli affari cinesi. Xi ha anche affermato che la riunificazione di Taiwan con il continente è “… un compito storico in cui il partito comunista è fermamente impegnato ed è desiderio comune del popolo cinese risolvere la questione di Taiwan e ottenere la totale riunificazione della madrepatria”.
In modo minaccioso, è andato oltre: “Noi (la Cina Popolare) avremo un esercito di livello mondiale in modo da poter salvaguardare la sovranità dello stato, la sicurezza e gli interessi di sviluppo con maggiori capacità e metodi più affidabili”.
Attese le dichiarazioni “guerrafondaie” la minaccia posta dall’Esercito Popolare di Liberazione (PLA) a Taiwan può essere considerata come possibile ma non immediatamente probabile. Nonostante gli impressionanti progressi nella modernizzazione delle forze armate della Cina Popolare che annoverano 2,7 milioni di elementi, un attacco congiunto aereo-marittimo-anfibio e infine terrestre su tale scala rappresenterebbe un rischio immenso per Pechino. Infatti, come contrappeso dell’eventuale offensiva di Pechino, in primo luogo va considerato che le forze armate di Taiwan hanno circa 300.000 unità in servizio attivo le quali possono contare sul rinforzo di più di un milione e mezzo di riservisti e in secondo luogo non va dimenticato che nell’area di Taiwan ci sarebbero circa 30.000 membri della “difesa statunitense” comprese forze operative.
Infine, chi è stato sul posto sa e si rende conto che la traversata più breve tra la Cina continentale e Taiwan è di 110 km e la logica porta a intuire che la Pechino può usare solo una parte delle sue forze per un assalto a Taiwan in quella che sarebbe un’area di combattimento fortemente complessa.
Per ridurre i rischi di una probabile operazione di attacco, la Cina ha militarizzato illegalmente una serie di barriere coralline e isole attorno al perimetro del Mar Cinese Meridionale allo scopo di avere più basi di appoggio per le azioni antinave eventualmente tese a bloccare efficacemente la marina degli Stati Uniti e quelle dei suoi alleati in caso di attacco di Pechino a Taipei. Per questo motivo molte potenze occidentali conducono regolarmente operazioni di libera di navigazione nel Mar Cinese Meridionale e, soprattutto, nel Canale di Taiwan, per dimostrare a Pechino che non ha titolo a qualsiasi controllo de facto del canale che viene, anche questo senza rispettare la legalità internazionale, reclamato come suo vitale spazio marittimo strategico.
Storicamente la Cina Popolare non ha mai condotto operazioni offensive paragonabili a quanto minacciato ma, solamente, alcune grandi esercitazioni anfibie e Pechino potrebbe soprattutto pagare dazio per la mancanza di esperti militari con la capacità di condurre e pianificare correttamente tali operazioni.
Per la Cina e il Partito Comunista intraprendere un’operazione cosi imponente senza alcuna esperienza precedente sarebbe un’enorme scommessa militare e il fallimento avrebbe conseguenze politiche e strategiche molto negative anche sul piano della propaganda interna. Pertanto, nonostante l’enfasi posta dalle minacce alla democrazia del Presidente Xi, è ipotizzabile che Pechino preferisca di gran lunga provare a influenzare gradualmente Taiwan dall’interno e creare le condizioni per un’eventuale e relativamente pacifica reintegrazione di Taiwan con la terraferma. Tale “disegno” potrebbe prevedere la “sovversione” della classe politica di Taipei, rafforzata dall’implacabile opposizione a qualsiasi tentativo di Taipei di raggiungere sia la piena indipendenza sia il riconoscimento in ambito internazionale, e l’uso dell’Esercito Popolare di Liberazione (PLA) per esercitare la coercizione strategica.
Molti analisti pensano oggi che nonostante l’apparenza di potere totale del Partito Comunista Cinese (PCC), ci sia la contingenza che il discorso di Xi abbia cercato di rafforzare l’idea del partito forte nella consapevolezza che lo stesso PCC rimane eternamente convinto dell’esistenza di una minaccia da parte dei nemici del comunismo sia all’interno sia all’esterno della Cina.
Sulla scia della pandemia da “Virus di Wuhan”, anche le democrazie asiatiche e l’Occidente, la principale area di mercato e fonte dell’aumento di potere economico della Cina, sono sempre più diffidenti nei confronti di Pechino. Piuttosto che muoversi per alleviare tali preoccupazioni, Xi ha intrapreso la linea di condotta opposta ed è diventato sempre più belligerante e aggressivo.
Tutto quanto sopra porta a chiedersi se la Cina rappresenti una minaccia per la regione e per il mondo. E’ ovvio che alla base del potere di Xi ci siano le Forze Armate che vengono, quindi, continuamente equipaggiate e modernizzate. Questi crea per l’esigenza di bilanciamento strategico, enormi implicazioni economiche per gli USA e la NATO, cosa che la maggior parte degli europei sembra incapace di afferrare. In effetti, il discorso di Xi in occasione del centenario del PCC è stato un indicatore della strada verso il potere sperata da Xi: una visione del mondo Cino-centrico.
Conseguenza di questo e forse motivazione potrebbe essere sia l’evidenza che le potenze occidentali sono quotidianamente sottoposte a livello industriale da attacchi informatici e spionaggio sia il motivo per cui Pechino trasgredisce regolarmente le regole sul furto di proprietà intellettuale.
Tuttavia, ogni violazione di un trattato e ogni abuso di potere devono essere affrontati perché quando si ha a che fare con una Cina Popolare che si sta spostando costantemente da autoritaria a totalitaria, l’Occidente e i suoi leader devono essere rispettosi e pragmatici, ma anche lucidi e guardare ben oltre il denaro cinese.
Tralasciando i diritti soppressi nel vitale polo finanziario di Hong Kong, soprattutto quando ci si riferisce a Taiwan, “punge vaghezza” che dietro l’azione di Pechino potrebbe esserci motivazioni più concrete di quelle dichiarate, non solo storiche o di ego: a Taiwan, infatti, c’è la TSMC, il campione della produzione mondiale di microchip.
Da anni la Cina Popolare tenta di creare a una propria industria tecnologica avanzata, in materia di microchip, in modo da slegarsi totalmente da Taipei e l’Occidente. I tentativi di Pechino, per ora, non sono del tutto riusciti (o meglio, i progressi ci sono stati, ma non come da previsioni) e le tensioni geopolitiche tra Pechino e Washington (che impediscono a molte realtà cinesi legate al settore militare di servirsi da TSMC), unitamente alle criticità create dal virus pandemico proveniente dal laboratorio di Wuhan, hanno reso chiaro a Pechino e al resto del mondo che chi controlla la produzione tecnologica si troverà in posizione di vantaggio industriale.
Il Presidente Xi anche se vestito da “vecchio rivoluzionario” ha ben presente che se si arriva a un punto in cui, nell’economia del terzo millennio, non si è in grado di continuare a gestire le attività industriali a causa della mancata fornitura di una componente centrale come i semiconduttori, questo porterà a minacciare e, spero mai, assumere posizioni “estreme” non per “ideologia e storia” ma per ricerca ossessiva della “supremazia economica”!
di Giuseppe Morabito
Membro del Direttorio della NATO Defence College Foundation