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Lieberman Re d’Israele: Vestfalia trionfa?

Lieberman Re d’Israele: Vestfalia trionfa?

K metro 0 – Roma – Israele ha un nuovo Re: Avigdor Lieberman, il Rappresentante della Pace di Vestfalia, trionfo simbolico dello Stato frontaliero, che ha appena sconfitto il suo Re rivale storico, alfiere del modello identitario opposto, glocalista transfrontaliero celebrato dall’ex Presidente Trump con i famosi Accordi di Abramo. Il suo araldo oltre Atlantico

K metro 0 – Roma – Israele ha un nuovo Re: Avigdor Lieberman, il Rappresentante della Pace di Vestfalia, trionfo simbolico dello Stato frontaliero, che ha appena sconfitto il suo Re rivale storico, alfiere del modello identitario opposto, glocalista transfrontaliero celebrato dall’ex Presidente Trump con i famosi Accordi di Abramo. Il suo araldo oltre Atlantico è il Presidente Joseph R. Biden, Jr., che ha celebrato ieri sera, 13 giugno 2021, il nuovo governo israeliano a nome del popolo americano, congratulandosi col Primo Ministro Naftali Bennett, col Primo Ministro alternato (dal 27 agosto 2023) e Ministro degli esteri Yair Lapid, e con tutti i membri del gabinetto israeliano, tra i quali ovviamente spicca il Ministro delle finanze Lieberman.

Biden ha subito dichiarato che non vede l’ora di lavorare col Primo Ministro Bennett per rinforzare tutti gli aspetti della relazione stretta e durevole tra Stati Uniti e Israele, che non ha amici migliori degli USA: “La mia amministrazione è pienamente impegnata a lavorare con il nuovo governo israeliano per l’avanzamento della sicurezza, stabilità, e pace, per israeliani, palestinesi, ed i popoli dell’intera regione mediorientale”.

Lieberman ha commentato in ebraico su Twitter, alle 20.16 ora israeliana (19.16 in Italia), il voto di fiducia che la Knesset (il Parlamento israeliano) aveva concesso pochi minuti prima al nuovo governo: “Il nostro compito non è ancora completato, anzi inizia proprio adesso. È ora di fare ordine qui”.

Ma chi è veramente Avigdor Lieberman, l’uomo che ha chiuso l’era Netanyahu dopo 12 lunghissimi anni, forgiando la straordinaria eterogenea coalizione che ha portato il team di rivali al governo?

Sicuramente il politico veterano di origine russa ha raccolto giudizi errati da molte parti, se non da tutti, anche perché in occasione dei suoi incarichi di Ministro degli esteri e della difesa è rimasto sempre molto silenzioso invece di pavoneggiare come tutti i suoi colleghi. Eppure, non fosse stato per il suo rifiuto alla richiesta dell’allora Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu di unirsi al suo governo dopo le elezioni dell’Aprile 2019, non sarebbe stato possibile arrivare al voto di fiducia di domenica 13 giugno.

Il partito di Lieberman, Israele Casa Nostra (Israel Beitenu), aveva ottenuto soltanto cinque seggi nella Knesset, ma quei voti costituivano la differenza cruciale tra la possibilità per Netanyahu di formare il governo e nuove elezioni. Tutti gli osservatori si aspettavano che alla fine Lieberman avrebbe cambiato idea, magari dopo aver tirato per lunghe le trattative al fine di alzare il prezzo politico del suo consenso. Invece spiegò così le proprie motivazioni irremovibili: Netanyahu il concentrato del malgoverno, indebitato ed ostaggio dei movimenti reazionari più estremisti e messianici e dei partiti religiosi ultra-ortodossi.

Secondo Lieberman le comunità ultra-ortodosse ed arabe rappresentano la principale sfida e difetto per l’economia israeliana, il suo sistema educativo, sociale, e di giustizia, come mostrano i dati spaventosi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE/OECD) su Israele, che minacciano la stabilità e la forza del paese a lungo termine. Secondo il leader di Israel Beitenu non ci si può fidare di Netanyahu per raddrizzare questo squilibrio strutturale nazionale.

Tutto ciò spiega perché Lieberman non accettò allora, né accetterà mai, di far parte di una coalizione con Netanyahu, simbolo ed alfiere del modello di identità collettiva glocalista transfrontaliero abramitico rappresentato in USA da Trump e dai suoi ex grandi elettori neocons americani. La sua scelta quindi non è effimera e di comodo ma strategica, fondata sul modello identitario diametralmente opposto, cioè quello statista frontaliero identificato dagli studiosi di relazioni internazionali nella Pace di Vestfalia del 1648, a conclusione della Guerra dei Trent’anni che ha dilaniato l’Europa per motivazioni religiose glocaliste transfrontaliere di matrice medievale.

Coerentemente Lieberman ha impedito a Netanyahu di raggiungere la maggioranza nella Knesset due volte nel 2019, una volta nel 2020, e di nuovo in occasione della quarta e più recente elezione del Parlamento israeliano, nel marzo scorso. All di là delle dichiarazioni a volte retoriche tipiche della battaglia politica, in particolare quella che caratterizza Israele per i toni spesso sopra le righe, Lieberman è uno dei politici israeliani più pragmatici, con una straordinaria velocità di apprendimento.

La perfezione fonetica anglo-americana del suo rivale sconfitto Netanyahu non è paragonabile all’accento spiccatamente russofono del nuovo Re d’Israele, ma è la sua linea liberal, laica e conservatrice flessibile pro-democrazia che ha vinto, nel contesto di un ciclo storico in cui, a cominciare da Biden per finire all’italiano Draghi, il mondo sembra tornare ai principi frontalieri della comunità orizzontale di Stati uguali – superiorem non recognoscentes – che, almeno per il momento, sta spazzando via uno dopo l’altro i leader del ciclo trionfante soprattutto dopo gli attentati dell’11 settembre 2001: la prossima vittima sarà Bolsonaro, Kim Jong-un, Boris Johnson, o magari proprio il leader palestinese Abu Mazen, rimpiazzato dall’alleanza Vestfaliana tra il laico Marwan Barghouti e la nuova leadership di Hamas, magari con la mediazione interessata del leader vestfaliano egiziano Al-Sisi, per conto e d’accordo con Biden? Ai posteri l’ardua sentenza.

di Enrico Molinaro, Ph.D.

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