K metro 0 – Lisbona – E’ un mercato del lavoro in chiaroscuro quello fotografato da Pordata, il database di statistiche ufficiali sul Portogallo e l’Europa, creato dalla Fondazione Manuel Dos Santos nel 2010. Un mercato del lavoro che colloca il paese lusitano al terzo posto nell’Unione Europea per la più alta percentuale di persone
K metro 0 – Lisbona – E’ un mercato del lavoro in chiaroscuro quello fotografato da Pordata, il database di statistiche ufficiali sul Portogallo e l’Europa, creato dalla Fondazione Manuel Dos Santos nel 2010.
Un mercato del lavoro che colloca il paese lusitano al terzo posto nell’Unione Europea per la più alta percentuale di persone di 65 anni o più ancora in attività.
Secondo il rapporto di Pordata, pubblicato sabato scorso, in occasione della Festa del 1° maggio, il Portogallo è terzo in questa graduatoria, dopo l’Estonia e l’Irlanda. Rispetto alla media dei 27 paesi dell’Unione Europea (UE27), dove il tasso di attività tra gli over-64 è del 5,7%, quello del Portogallo è raddoppiato.
La popolazione attiva in Portogallo (persone dai 15 anni in su disponibili al lavoro) è di circa cinque milioni, e per ogni 100 persone, 59 sono sul mercato del lavoro (occupati o disoccupati), contro i 56 dell’UE27.
Ma in prospettiva il Portogallo sarà il paese in Europa con la percentuale più bassa di popolazione in età lavorativa (-53% contro l’attuale 64,5). Il picco dell’inverno demografico è previsto per il 2050, quando avremo 1,6 persone attive (15-64 anni) per ogni persona anziana. Negli anni ’60 questa proporzione era di 8 per ogni anziano. Oggi è di 2,9.
I dati attuali mostrano anche che il Portogallo è uno dei due paesi dell’UE (insieme a Cipro) che nel 2020 hanno fatto un passo indietro rispetto al raggiungimento dell’obiettivo del 75% fissato per il tasso di occupazione della popolazione tra i 20 e i 64 anni. Questo tasso è sceso infatti al 74,7%, dopo aver superato l’obiettivo nel 2018 (75,4%) e nel 2019 (76,1%).
L’occupazione tuttavia è aumentata leggermente in febbraio e marzo. Dopo il calo di dicembre e gennaio, a marzo ha segnato una lieve ripresa.
Pordata sottolinea inoltre che il Portogallo ha tassi di disoccupazione più bassi della media UE27, tranne nei gruppi di età più giovani e più vecchi, dove i tassi sono del 32% tra i 15-19enni (contro il 21% dell’UE) e del 7% tra i 60-64enni (contro il 5% dell’UE).
Il tasso di giovani (15-29 anni) che non lavorano né studiano è dell’11%, inferiore alla media UE27 (14%), con paesi come Italia, Grecia e Bulgaria che hanno tassi superiori al 18% e, al all’opposto, paesi come Lussemburgo, Svezia e Olanda con tassi inferiori all’8%.
Per le condizioni di lavoro, il Portogallo è il quarto paese europeo con il maggior numero di contratti a tempo determinato, dopo Spagna, Polonia e Paesi Bassi. Un lavoratore su cinque ha un contratto a termine, il 4% in più rispetto all’UE27 (14%).
Ma il lavoro a part time è quasi la metà in Portogallo rispetto all’UE27 (10% rispetto al 19%), un dato che contrasta con quello registrato nei Paesi Bassi, dove più della metà dei lavoratori sono a part time, e in Germania, Austria, Belgio almeno un quarto.
Il rapporto rileva inoltre che, nel 2019, l’11% della popolazione occupata in Portogallo era considerata povera, cioè viveva con redditi inferiori alla soglia di rischio di povertà, e insieme a Romania, Spagna, Lussemburgo e Italia, era tra i cinque paesi con il più alto rischio di povertà tra i lavoratori.
Il Portogallo è anche uno dei sei paesi con la più bassa produttività, ovvero genera meno ricchezza per ora lavorata (65% della media UE27), insieme a Bulgaria, Grecia e Lettonia che sono i “meno produttivi”, mentre Irlanda, Lussemburgo e Danimarca sono in cima alla lista di quelli a più alta produttività.
Per quanto riguarda l’istruzione, quasi la metà dei datori di lavoro in Portogallo ha completato al massimo l’istruzione di base (46%), contro il 29% della media dell’UE27 (17%). Ma a sua volta, mentre il 37% dei lavoratori in Portogallo ha al massimo un’istruzione di base, nell’UE27 questa cifra è del 16%.
La proporzione di lavoratori con istruzione superiore, tuttavia, è più vicina alla media europea (32% rispetto al 38%). Pordata rileva inoltre che nel 2020, più di un quinto delle donne inattive di età compresa tra i 20 e i 64 lo erano a causa di responsabilità familiari.
Il rapporto esamina anche l’impatto della pandemia di Covid-19 sul mercato del lavoro l’anno scorso. Nel 2020 385.000 persone sono state registrate come disoccupate presso l’Istituto del Lavoro e della Formazione Professionale (IEFP), un aumento di oltre 71.000 persone (22%) rispetto al 2019.
Prendendo in considerazione il totale di disoccupati nel 2020, si può vedere che il 92% sta cercando un nuovo lavoro, più della metà dei disoccupati sono donne (56%), un quarto ha 55 anni o più, quasi la metà (49%) ha al massimo un’istruzione di base, più del 70% proviene dal settore terziario e il 63% è iscritto all’IEFP da meno di un anno.
Il numero di aziende che possono ricorrere alla cassa integrazione tradizionale (prevista dal Codice del lavoro) è quintuplicato tra il 2019 e il 2020, passando da 3.883 a 20.262, avendo già superato il 2009, l’anno con il maggior numero di beneficiari di questo ammortizzatore sociale (19.278).