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Aldo Moro (1916-1978), il Presidente della Repubblica mancato

Aldo Moro (1916-1978), il Presidente della Repubblica mancato

K metro 0 – Roma – “Alla nostra mente si presenta la dolorosa immagine di un Amico a noi tanto caro, di un Uomo onesto,di un politico dal forte ingegno e dalla vasta cultura: Aldo Moro. Quale vuoto ha lasciato nel suo Partito e in questa Assemblea! Se non fosse stato crudelmente assassinato, lui, non

K metro 0 – Roma – “Alla nostra mente si presenta la dolorosa immagine di un Amico a noi tanto caro, di un Uomo onesto,di un politico dal forte ingegno e dalla vasta cultura: Aldo Moro. Quale vuoto ha lasciato nel suo Partito e in questa Assemblea! Se non fosse stato crudelmente assassinato, lui, non io, parlerebbe oggi da questo seggio a voi”: queste parole pronunciate dal neo presidente Pertini il 9 luglio 1978, indicano quale sarebbe stato il coronamento della vita politica dello Statista,i cui funerali furono definiti da storici di varie tendenze come i “Funerali della Repubblica”.

Il predecessore Leone avrebbe voluto graziare la terrorista Besuschio , gravemente ammalata e che non aveva ucciso nessuno,quale gesto simbolico in cambio della vita dell’on. Moro. Aveva pertanto deciso di firmare l’atto di clemenza il 9 maggio 1978, giorno della prevista riunione della direzione della DC, ma “a delitto consumato –dichiarerà Leone in un’intervista postuma – mi convinsi che i brigatisti fossero al corrente di quel che stava maturando e, non volendo la liberazione di Moro, avessero affrettato quella mattina l’assassinio”.

Il pensiero dello Statista assassinato fu un lascito futuro per le giovani generazioni, rispettoso delle ragioni dell’Altro, pur nella radicata saldezza dei propri principi: non era l’economia il termine ultimo, la ragion d’essere, il senso fondamentale dell’umanità, bensì la Persona nella sua integrità interiore e morale.

Il concetto di libertà era inscindibile da quello di solidarietà: ”Lo Stato veramente democratico – disse alla Costituente – riconosce e garantisce non soltanto i diritti dell’uomo isolato[..] ma i diritti dell’uomo associato secondo una libera vocazione sociale”.

In ambito internazionale, solo la libertà “garantita come sovrana regola di vita ed orientata secondo principi morali”, avrebbe potuto soddisfare le aspirazioni dei popoli, recepite dalle Nazioni Unite nella salvaguardia di quei diritti umani che erano superiori al concetto stesso di sovranità dei singoli Stati.

Ovunque riaffiorava l’impostazione giusnaturalistica del filosofo del diritto Moro, per il quale la legge scritta non era altro che “energia dello spirito operante nell’esperienza giuridica”.

La pace tra le genti non significava indifferenza o neutralismo in politica estera, bensì saldo ancoraggio al mondo occidentale ed al processo di aggregazione europea in particolare, superando a tal riguardo “i sacri egoismi e il gioco degli interessi nazionalistici” .

La democrazia non era da intendersi come egualitarismo – e quindi ingiusto appiattimento – ma come pari dignità, il che comportava “Autorità [e] responsabilità sapientemente differenziata in una gerarchia di diritti e di doveri”.

Predilesse i giovani, senza il cui apporto si sarebbe isterilita la politica: “la vitalità di un partito – amava ricordare si misura soprattutto dalla sua capacità di parlare ai giovani, di persuaderli, di impegnarli a sostenere, sia pure nelle posizioni più avanzate, la sua visione del mondo ed il suo progetto di convivenza civile”.

La politica doveva saldamente ancorarsi a dei principi morali nella vita pubblica, come in quella privata, dato che “il basso tono della pubblica moralità e la progressiva decadenza dei costumi, non prepara[va]no certo alla democrazia” il luminoso avvenire da lui auspicato. Il sapere era essenziale per condurre al Vero ed al sentimento di Umanità.

L’uomo di cultura avrebbe dovuto assumere innanzi alla collettività una specifica responsabilità, non solo in ordine alla sua capacità professionale, ma anche quale portatore di valori etici, in ragione dei quali poteva ritenersi spiritualmente pronto ad assolvere i più intensi doveri correlati alla vita pubblica.

Un ruolo di eccellenza spettava all’Università, punto di arrivo di una percorso che sin dalla prima scolarizzazione, doveva essere il più possibile inclusivo. L’Università andava “umanizzata”, attraverso la capacità del Maestro di scendere dalla cattedra ”per farsi vicino al giovane” onde quest’ultimo lo potesse percepire “come persona che gli vuole bene, lo comprende, è pronta ad aiutarlo; come uomo che apprezza la sua giovinezza e ripone in essa la sua fiducia; che si senta amato e preso sul serio”.

La contestazione giovanile era tuttavia tracimata in devastazioni ed aggressioni di piazza fuori controllo, sicché nel discorso del 28 febbraio1978, Moro – Presidente della DC – denunziò di aver assistito “agghiacciato” a numerosi episodi di violenza, segno della più grave crisi politica che avesse mai attraversato il Paese. In tale contesto, il PCI si rese disponibile a sostenere il c.d. “Governo della non sfiducia”.

Il 16 marzo le BR rapirono l’on. Moro a via Fani, dopo averne sterminato la scorta. In seguito al fallimento delle trattative per il suo rilascio, il 9 maggio ne fecero trovare il cadavere a via Caetani. I suoi funerali furono definiti da storici di varie tendenze come i “Funerali della Repubblica”.

Ma la fredda coltre del sepolcro che ne ha racchiuso le spoglie mortali, non ha spento il fuoco del suo esempio, che continua ad ardere nei cuori degli uomini di buona volontà e degli operatori di pace.

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