K metro 0 – Roma – Quella di Francesco Cossiga (1928 -2010)rappresentò la più complessa storia degli “Inquilini del Colle”, dato che la tragedia dell’assassinio di Moro lo segnò sino alla fine dei suoi giorni, nel devastante rimorso di non essere riuscito ad impedirne la morte. Eletto alla Camera a soli 30 anni, risultò sempre
K metro 0 – Roma – Quella di Francesco Cossiga (1928 -2010)rappresentò la più complessa storia degli “Inquilini del Colle”, dato che la tragedia dell’assassinio di Moro lo segnò sino alla fine dei suoi giorni, nel devastante rimorso di non essere riuscito ad impedirne la morte.
Eletto alla Camera a soli 30 anni, risultò sempre “il più giovane “nei principali incarichi di Governo conferitigli, nonché al vertice del Senato ed, infine, della Presidenza della Repubblica (1985), dove risaltò vieppiù la sua straordinaria ecletticità culturale, che spaziava dal campo umanistico, a quello delle più aggiornate tecnologie.
Pronunciato il giuramento di rito, affermo l’impegno ad essere il primo e leale garante dell’unità patria, dei diritti di tutti i cittadini, della vita democratica e civile del Paese.
Avrebbe costantemente prestato una particolare attenzione al sentire della gente comune, alla valorizzazione del ruolo della donna, della famiglia e dei giovani, in una prospettiva di progresso nella solidarietà. A tal fine, occorreva una politica economica coerente e severa, in grado di indirizzare più efficacemente le risorse prelevate dallo Stato, nonché di tagliare gli sprechi, controllando la spesa pubblica e combattendo egoismi e privilegi corporativi, ed infine premiando il lavoro, il coraggio e la fantasia, con la rimozione degli ostacoli all’uguaglianza.
Denunziò in una successiva circostanza l’inflazione del carcere preventivo, che minacciava di risolversi nella violazione dei diritti umani, mentre doveva mantenersi sempre rispettoso della difesa delle garanzie individuali. Per converso, pur condividendo la necessità di estendere la c.d. “Legislazione premiale” sui pentiti del terrorismo anche a quelli di mafia e camorra, avvertì la necessità di un’estrema cautela sulle loro dichiarazioni, che potevano astutamente indirizzarsi a depistaggi e ad inquinamenti delle indagini.
In campo internazionale affermò che le colossali risorse devolute alla corsa agli armamenti, avrebbero dovuto essere più utilmente indirizzate verso opere di pace e di progresso, mediante un disarmo progressivo e bilanciato.
Parlando delle contestazioni studentesche, consentì sulla loro liceità ove non tracimassero nella violenza, quando i giovani si lasciavano traviare da forze politiche miranti a stravolgere lo Stato.
L’evento di maggior rilievo a livello mondiale fu, nel 1989, la caduta del Muro di Berlino: Cossiga aveva capito benissimo, prima e meglio di ogni altro, che la crisi del bipolarismo internazionale avrebbe avuto incisive ripercussioni in Italia più che in altri Paesi, con conseguenze per tutti i Partiti, che furono perciò esortati a gestire la nuova fase storico-politica che si preparava; ma rimase inascoltato, per cui in seguito osservò che la politica si era si indebolita a partire da Mani Pulite, dato che la Magistratura era divenuta un vero e proprio potere politico.
Nel 1990 impalpabilmente, ma irreversibilmente, iniziò la svolta presidenziale alla boa del quinto anno del mandato, col parlare di problemi interni anche nei viaggi all’estero.
Era così iniziata l’era delle c.d. “esternazioni” (o “picconate” che dir si vogliano). Nel discorso augurale a conclusione di tale anno , sostenne la necessità – ferma restando la prima parte della Costituzione – di aggiornarla in aderenza all’evoluzione storico – politica intervenuta nell’arco di oltre 40 anni.
II 9 giugno 1991 si aprì nei Partiti un dibattito per il varo di riforme istituzionali a tutto campo, con viva soddisfazione del Presidente per “la vittoria della gente comune” contro lo strapotere della partitocrazia, il che – a suo avviso – poteva configurare anche la delegittimazione del Parlamento eletto con le vecchie regole.
Il 26 giugno indirizzò un messaggio alle Camere, rappresentando come prima istanza quella di recuperare la fiducia popolare nelle Istituzioni rappresentative, iniziando dai Partiti che – nella loro autoreferenzialità – erano venuti meno al loro compito di filtro tra rappresentanti e rappresentati.
Dopo le elezioni del 5 aprile1992, il Presidente, innanzi alla litigiosità dei Partiti per un nuovo Governo, decise di lasciare il Colle innanzi tempo, ravvisando la necessità di un Capo dello Stato con pieni poteri per poter guidare il Paese ed il 25 successivo mantenne la promessa. Da Senatore a vita criticò la prospettata nuova riforma federalista, così come maturò il suo euroscetticismo verso un’Europa che continuava “ad allargarsi a dismisura, inglobando tutto e il contrario di tutto”.
Le crepuscolari affermazioni ad effetto, con cui si era compiaciuto di sbalordire o scandalizzare chi lo leggeva, possono ricondursi al tormentoso conflitto interiore tra il primato della coscienza, che aveva consolidato attraverso la lettura approfondita dei suoi autori preferiti, ed una Ragion di Stato che aveva traumaticamente percepito come disancorata da tale primato.
Il 17 agosto 2010 ebbe termine una vita piena di affanni e di incoerenze, poiché Egli ebbe l’amaro destino di dover contraddire sovente i principi che lo avevano ispirato, trascendendo ogni parvenza di esteriore coerenza. Ma il suo sincero e profondo amore per la Patria, che andava salvaguardata da ogni nuovo attacco esterno o interno, escludeva di per sé ogni intendimento o tentativo eversivo delle libere istituzioni.