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Giovanni Leone, un gigante immacolato colpito dai nani dello scandalismo

Giovanni Leone, un gigante immacolato colpito dai nani dello scandalismo

K metro 0 – Roma – Ricorrono quest’anno vent’anni dalla scomparsa di Giovanni Leone (1908-2001), che nel suo luminoso passaggio terreno concretizzò il senso religioso dello Stato nell’impegno per la realizzazione di una giustizia corrispondente ad un severo imperativo della coscienza: onorare la cosa pubblica come un dovere da compiere al di fuori ed al

K metro 0 – Roma – Ricorrono quest’anno vent’anni dalla scomparsa di Giovanni Leone (1908-2001), che nel suo luminoso passaggio terreno concretizzò il senso religioso dello Stato nell’impegno per la realizzazione di una giustizia corrispondente ad un severo imperativo della coscienza: onorare la cosa pubblica come un dovere da compiere al di fuori ed al di sopra di ogni egoistico interesse, per il conseguimento di quello assai più alto del bene comune.

Nel 1944 venne eletto alla Costituente dalla Dc; fu Ininterrottamente deputato dal 1948 al 1963, senatore a vita dal 1967, venne più volte prescelto come presidente della Camera per la sua imparzialità signorile e bonaria, in grado di decongestionare situazioni di stallo, dovute alla litigiosità delle forze politiche.

Fu fautore della separazione del ruolo del PM da quello del giudice, e dell’indipendenza di quest’ultimo “da ingerenze politiche, da suggestioni sociali e culturali, dall’intuizione della verità a scapito di quella che risulta dagli atti”; indipendenza che andava altresì garantita all’Ordine giudiziario nei confronti dell’Esecutivo, dovendo ogni giudice dipendere solo dalla propria coscienza e dagli interessi superiori del Paese. Sensibilissimo all’esigenza di una dialettica processuale bilanciata, nel supremo interesse di una giustizia che fosse quanto più possibile oggettiva, Leone si impegnò costantemente per equilibrare il potere della difesa con quello dell’accusa.

In merito all’espiazione della pena, osservò che doveva aver luogo con grande senso di umanità, in modo che all’espiazione medesima seguisse il riscatto morale ed il reinserimento attivo e produttivo del reo nella società. Rifiutò di difendere cause incompatibili con il suo sentire, come quelle riguardanti i mafiosi e gli sfruttatori di prostitute, in una cornice etico – professionale che gli imponeva, per converso – di accettare le cause più difficili, difendendo gratuitamente gli imputati poveri, dei quali si accollava finanche le spese processuali. Nominato presidente della Repubblica il 24 dicembre 1971, nel suo primo messaggio auspicò una stabile pace sociale, che non significava rinunzia alle legittime aspirazioni degli interessati, ma ripudio del metodo della violenza e dell’intolleranza, avvalendosi di tutti gli strumenti legittimi offerti dall’ordinamento repubblicano. Occorreva accentuare la saldatura tra coscienza sociale ed istituzioni, compito fondamentale cui erano chiamati i Partiti politici e le grandi organizzazioni sociali. In merito al ruolo del Parlamento, affermò che, per un verso, non doveva ritenersi l’unico centro decisionale sui problemi del Paese, ma che, per altro verso, neanche poteva rendersi acriticamente sede di formale sanzione di decisioni prese altrove. La pace invocata all’interno, aveva una sua speculare proiezione in politica estera, vuoi per il costante appoggio dell’Italia alla crescita dei Paesi emergenti, vuoi per la sua convinta partecipazione all’Alleanza atlantica, rivelatasi affidabile strumento di distensione tra i popoli.

Presidio insostituibile della libertà era il discernimento, realizzabile attraverso la cultura, settore a lui quant’altri mai caro nella coinvolgente familiarità cui soleva improntare il suo rapporto con gli allievi.

La seconda fase del settennato fu segnata da nuove violenze dell’eversione nera e rossa, da calamità naturali e dallo Scandalo “Lockhed, che avrebbe travolto ingiustamente lo stesso presidente della Repubblica. Una speciale incisività avrebbe potuto avere – ma così non fu – il suo Messaggio inviato al Parlamento nel 1975, per richiamarne l’attenzione sulla crisi in cui verteva il Paese, indicando alcune misure atte a porvi rimedio, tra le quali la lotta alla corruzione ed al clientelismo. L’ultimo anno del settennato Leone fu segnato dall’assassinio dell’onorevole Aldo Moro, già suo assistente all’Università di Bari. Leone avrebbe voluto graziare la terrorista Paola Besuschio, gravemente ammalata e che non aveva ucciso nessuno, quale gesto simbolico in cambio della vita dell’onorevole Moro. Aveva pertanto deciso di firmare l’atto di clemenza il 9 maggio, giorno della prevista riunione della direzione della Dc, ma “a delitto consumato – dichiarerà Leone in un’intervista postuma – mi convinsi che i brigatisti fossero al corrente di quel che stava maturando e, non volendo la liberazione di Moro, avessero affrettato quella mattina l’assassinio”.

Poche settimane dopo quell’uccisione, era iniziata un’orchestrata campagna per la morte civile di Leone, che portarono alle sue dimissioni dal Quirinale, con accuse tanto fantasiose quanto infamanti, che andavano dall’ abusivismo edilizio alla corruzione, alla frode fiscale, per finire con lo Scandalo Lockheed, campagna orchestrata a suo danno dal settimanale L’Espresso e dalla giornalista Camilla Cederna. Isolato dal suo stesso partito, Leone fu sacrificato all’insegna della politica della cosiddetta “solidarietà nazionale” con il Pci. “Politicamente – scrisse in seguito Leone – le mie dimissioni furono volute dal Pci e accettate, o subìte dalla Dc, che mi lasciò solo, mi abbandonò.

Il 15 giugno 1978 dunque, con sei mesi di anticipo rispetto alla naturale scadenza del mandato, il presidente scelse di accomiatarsi dal Paese con un nobilissimo messaggio, da par suo, dicendo di essersi risolto a compiere il grave passo delle dimissioni, ritenendo “assolutamente preminente, su quello personale, l’interesse delle istituzioni”. La campagna diffamatoria aveva ormai intaccato la fiducia delle forze politiche sulla sua persona e, pertanto, disse che la sua scelta non poteva essere diversa.

Venti anni dopo in Senato furono organizzati i festeggiamenti per i novant’anni dell’ex capo dello Stato ed in tale circostanza, i radicali Bonino e Pannella, che avevano contribuito all’ingiusta attribuzione dello scandalo Lockheed, gli chiesero scusa con espressioni sincere e non convenzionali. Il 9 novembre 2001 rendeva l’anima al Signore “un uomo onesto e corretto” come disse il presidente del Senato Marcello Pera.

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