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Saragat: il socialismo nella religione della libertà

Saragat: il socialismo nella religione della libertà

K metro 0 – Roma – Giuseppe Saragat (1898-1988) dopo una lunga, tormentata trattativa fra le forze presenti in Parlamento, fu eletto nel 1964 al Quirinale, dove esordì sottolineando che tre erano i grandi doveri cui la democrazia era chiamata ad ottemperare: la difesa della pace e della sicurezza, vieppiù attraverso la costituzione di un’Europa

K metro 0 – Roma – Giuseppe Saragat (1898-1988) dopo una lunga, tormentata trattativa fra le forze presenti in Parlamento, fu eletto nel 1964 al Quirinale, dove esordì sottolineando che tre erano i grandi doveri cui la democrazia era chiamata ad ottemperare: la difesa della pace e della sicurezza, vieppiù attraverso la costituzione di un’Europa democratica, economicamente e politicamente integrata; il consolidamento delle libere Istituzioni; l’avvento di un sistema sociale in cui l’iniziativa individuale si saldasse con quella della collettività.

Occorreva partire dalla centralità del Parlamento; nel campo sociale l’attuazione del dettato costituzionale imponeva come priorità: la casa ai lavoratori, la sanità pubblica e la scuola, la qual ultima doveva premiare la capacità e le attitudini degli allievi.

Le principali linee- guida che orientarono gli interventi presidenziali, possono già evincersi dai discorsi di fine anno indirizzati agli italiani, nei quali non mancò mai di evocare la Resistenza, né l’economia, che non fu da lui mai considerata come una variabile indipendente nel sistema Paese, né come causa marxisticamente determinante in ogni campo dell’agire umano, bensì come parametro ineludibile nelle relazioni internazionali, come ed ancor più nella stabilità interna, ma nel contesto di un solido ancoraggio all’etica.

All’ aumento dei consumi , elemento di progresso economico, aveva contribuito la spesa del settore pubblico, in merito alla quale non mancò di far sentire alto e forte il suo richiamo sulla doverosa selettività degli impieghi del pubblico denaro, che dovevano seguire obiettivi mirati in un preciso ordine di priorità.

Anno cruciale per tutti gli appartenenti alla grande famiglia socialista, fu il 1968, come lo era stato drammaticamente il 1956 per l’invasione sovietica dell’Ungheria: ora era la volta della repressione della Primavera di Praga, che il 20 agosto vide la fine del coraggioso esperimento per una transizione dal comunismo liberticida al socialismo democratico. Il Presidente affermò che la reazione che tali fatti violenti e luttuosi avevano provocato in tutti i Paesi, aveva assunto un’intensità senza precedenti nella storia del mondo, sì da lasciar sperare nell’avvento di una più alta e fattiva coscienza universale.

Altro anno drammatico fu il 1969, caratterizzato da un’organizzata “conflittualità permanente” con scioperi a catena e tafferugli, come quello di Battipaglia, in seguito al quale la Sinistra più accesa chiese il disarmo delle Forze dell’Ordine. Disordini accaddero anche nelle Università, sino a quelli nella Statale di Milano, nei cui pressi fu assassinato il giovane agente di PS Antonio Annarumma, durante gli scontri con dei facinorosi di area marxista: le forze dell’ordine erano sì armate, ma con la consegna di non difendersi con i mezzi che avevano in dotazione.

Il Capo dello Stato scrisse di suo pugno un telegramma, in cui affermò che quel crimine odioso doveva ammonire tutti ad isolare e mettere in condizione di non nuocere i delinquenti, e doveva altresì risvegliare la solidarietà per coloro che difendevano la legge e le comuni libertà.

Nel luglio il Presidente avvertì una profondissima amarezza sul piano personale, in quanto proprio sul tema del disarmo delle forze di polizia, si ebbe l’ennesimo strappo della tela del socialismo italiano, che appena tre anni prima era stata faticosamente ricucita da Saragat e Nenni con la nascita del PSU.

Un’altra emergenza colpì profondamente la sua sensibilità personale ed istituzionale : i moti di Reggio Calabria, che avevano sconvolto tra il luglio del 1969 ed il febbraio del 1970 quella città, privata dello status di capoluogo regionale. Di quei moti aveva egli compreso che le reali motivazioni erano tutt’altro che “fasciste”, bensì derivanti da inquietudine antica in una città in cui c’erano ancora le baracche del terremoto del 1908:Anzi –soggiunse – debbo dire che i reggini ed i calabresi sono stati troppo pazienti finora”.

Tenendosi informato dell’evolversi della situazione, dopo aver appreso che dei reparti dell’Esercito erano stati inviati a Reggio Calabria, al termine di tempestosi colloqui telefonici con alcuni esponenti del governo Colombo, disse che se intervenivano le truppe, si sarebbe dimesso da Capo dello Stato.

In merito ai problemi della giustizia, dichiarò di essere assolutamente contrario al ricorso da parte dei giudici allo strumento dello sciopero, data la specialità del loro status di titolari di una funzione sovrana, come quella giudiziaria, nell’ambito di uno Stato che volle definire “strumento possente di vita morale”..

In questa concezione quasi “sacerdotale” della funzione giudiziaria, non poteva concepirne connotazioni ideologiche, per cui quando in seno al CSM nel 1968 si costituì la corrente di “Magistratura democratica”, il Presidente disse : “Che tragedia! In Italia c’è una Magistratura borbonica e ce n’è un’altra maoista”.

Nel ordine più in generale al rapporto tra politica e giustizia, Saragat affermò che “Dove entra la politica, la giustizia scappa dalla finestra”.

Andò via dal Quirinale alla scadenza del mandato, il 29 dicembre 1971, lasciando il segno di un esercizio della funzione esemplare per equilibrio e correttezza.

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