K metro 0 – Roma – Enrico De Nicola (1877-1959) laureatosi in Giurisprudenza, nel 1907 intraprese la carriera forense, che rappresentò sempre la sua più profonda vocazione, come comprovato sia dall’intestazione usata nel suo personale biglietto da visita, che nella targa dello studio legale in Corso Umberto a Napoli, intestata con naturale semplicità all’“ avv.
K metro 0 – Roma – Enrico De Nicola (1877-1959) laureatosi in Giurisprudenza, nel 1907 intraprese la carriera forense, che rappresentò sempre la sua più profonda vocazione, come comprovato sia dall’intestazione usata nel suo personale biglietto da visita, che nella targa dello studio legale in Corso Umberto a Napoli, intestata con naturale semplicità all’“ avv. Enrico de Nicola”.
Nella dimensione professionale, non volle mai accettare cause in cui fosse parte offesa lo Stato o la Pubblica Amministrazione, o controversie nelle quali il profilo morale sovrastasse la valutazione giuridica.
Nell’assumere una causa, accertava prima scrupolosamente che gli apparisse fondata in fatto ed in diritto, e che non fosse incompatibile con il suo rigoroso senso morale.
A fronte dell’intransigenza verso se stesso, era nei riguardi degli altri dotato di grandi capacità di mediazione, animato come era dal sempre vivo desiderio di “comporre opposte posizioni ”, sicché la sua nota perizia “arbitrale”, unitamente allo sperimentato suo acume giuridico, motivarono congruamente la candidatura a Capo dello Stato, che egli non sollecitò in alcun modo; ma che contribuì a ricomporre la pericolosa spaccatura evidenziatasi in seguito all’esito del Referendum istituzionale del 2 giugno 1946.
L’azione politica che lo avrebbe ispirato nel guidare l’Italia nel faticoso risveglio dopo la lunga notte della dittatura e dopo le macerie di una guerra sbagliata, è tutta condensata in un radiomessaggio del 14.6.1946, che terminava con un auspicio che aveva la duplice valenza del monito e dell’impegno: “ Bisogna mantenere l’ordine, bisogna lavorare, bisogna produrre […]. Uniamoci , italiani, nel pensiero della Patria, e dimostriamo la saldezza della nostra unità – lavoratori, Forze armate, Organi dello Stato, ceti tutti – in confronto di chi insidia le nostre più care frontiere [alludeva alle mire espansionistiche jugoslave], speculando sui nostri disordini interni, e confermiamo, in vista delle trattative di pace, che il popolo italiano è risoluto a difendere il proprio , sacrosanto diritto al suo avvenire.”.
Il 28.6.1946 fu eletto “Capo provvisorio dello Stato”, ma rifiutò di stabilirsi al Quirinale, già sede dei Re, adattandosi alle anguste sale di Palazzo Giustiniani, in un’austera concezione della sua funzione, che lo indusse a rinunciare all’appannaggio presidenziale, tenendo altresì sempre a suo carico le telefonate ed i francobolli per le sue private comunicazioni. Non si trattava di pauperismo ostentato, e quindi poco credibile, ma della reale ristrettezza di mezzi di chi aveva ritenuto moralmente doverose le anzidette rinunzie, in un momento in cui un’intera generazione adulta, uscita dalla guerra, era chiamata a fare enormi sacrifici, resi certamente più sopportabili dalla spontanea e naturale esemplarità di un comportamento proveniente così dall’alto.
Per l’Italia si iniziava un nuovo periodo storico di decisiva importanza per l’opera di ricostruzione politica e sociale, cui avrebbero dovuto concorrere, con spirito di disciplina e di abnegazione, tutte le energie vive della Nazione “non esclusi– tenne a precisare De Nicola nel suo discorso di insediamento – coloro i quali si siano purificati da fatali errori e da antiche colpe”.
Non mancò un accenno polemico all’atteggiamento altezzoso assunto dalle Potenze vincitrici nei confronti di un Paese che, comunque, dopo la svolta dell’8 settembre 1943, aveva lottato al loro fianco: “Ogni umiliazione inflitta al suo onore- sottolineò – alla sua indipendenza, alla sua unità, provocherebbe non il crollo di una Nazione, ma il tramonto di una civiltà: se ne ricordino Coloro che oggi sono arbitri dei suoi destini! ….La vera pace è quella delle anime. Non si costruisce un nuovo ordinamento internazionale, saldo e sicuro, sulle ingiustizie che non si dimenticano, e sui rancori che ne sono l’inevitabile retaggio”.
Malgrado la mancanza di una Costituzione, che ad un anno e mezzo dall’esercizio della funzione presidenziale ne avrebbe dovuto orientare gli indirizzi, De Nicola seppe egregiamente navigare “a vista” e suo fu il peso di dover creare, per la prima volta, una prassi istituzionale repubblicana .
Il 27 dicembre 1947 venne firmata la Costituzione nella stanza del Capo dello Stato, attentissimo alle ritualità del cerimoniale, che doveva avere dignità formale adeguata allo spessore contenutistico dello storico evento.
Dopo le elezioni del 18 e 19 aprile 1948, che furono decisive per la permanenza dell’Italia nell’orbita occidentale, De Nicola manifestò il desiderio di non essere rieletto e dopo la nomina del successore Einaudi, tornò a titolo vitalizio al Senato, di cui fu eletto a larga maggioranza Presidente il 28 aprile 1951.
Anche lì, tuttavia, alla fine preferì farsi in disparte, anteponendo la dignità ad ogni compromesso utilitaristico, per cui il 24 giugno 1951 si risolse a rassegnare le dimissioni .
Ma il suo talento e la sua collaudata esperienza secondarono la sua nomina a Giudice della Corte costituzionale il 3 dicembre 1955, cui seguì il 23 aprile1956 quella a Presidente della stessa.
Preannunziò di voler lavorare alacremente poiché – osservò- “giustizia lenta non è giustizia”, tenendo fermo l’obiettivo di ottenere “il rispetto e la fiducia di tutti gli italiani”; ma il 26 marzo 1957 decise di dimettersi anche da quella Presidenza, per ritirarsi definitivamente da ogni incarico al vertice delle Istituzioni.
Morì povero il I ottobre per una bronco- polmonite trascurata, in una casa dove non c‘erano neanche i soldi per le medicine.
Presagendo la caducità delle cose terrene, aveva voluto che sull’affusto del cannone che ne avrebbe onorato la cerimonia dell’ultimo addio, fossero posti il Tricolore ed il Tocco di Avvocato, cioè di quella professione che tenne correlata al suo sentire più profondo, costantemente proteso al raggiungimento di una Giustizia religiosamente intesa come dimensione spirituale, prima ancora che come sistema di precetti codificati.