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Il cammino della civiltà. Parte sesta

Il cammino della civiltà. Parte sesta

K metro 0 – Roma – Teorizzatore di una dottrina intermedia tra quella di una razionalità astratta universale e quella del giusnaturalismo empirico, il Montesquieu (1689- 1755) sostenne che la giustizia intrinseca delle leggi andava ancorata al comune sentire di un popolo, dinamicamente osservato nel suo divenire storico. Quindi ciò spiegava l’esistenza di ordinamenti differenti,

K metro 0 – Roma – Teorizzatore di una dottrina intermedia tra quella di una razionalità astratta universale e quella del giusnaturalismo empirico, il Montesquieu (1689- 1755) sostenne che la giustizia intrinseca delle leggi andava ancorata al comune sentire di un popolo, dinamicamente osservato nel suo divenire storico. Quindi ciò spiegava l’esistenza di ordinamenti differenti, validi se ed in quanto espressivi delle rispettive culture di provenienza.

L’uomo, buono per natura, nel rapportarsi con i suoi simili, aveva seguito tre differenti percorsi normativi: 1) il diritto delle genti per i rapporti pacifici fra le diverse Nazioni; 2) il diritto politico (o pubblico) per le relazioni tra governanti e governati; 3) il diritto civile per le relazioni tra i cittadini.

Più in dettaglio,scrisse che il governo più conforme a natura era quello il cui carattere particolare meglio si accordava al carattere del popolo per il quale era stabilito e tale carattere fu da lui così descritto: “molte cose governano gli uomini, il clima, la religione, le leggi, le massime di governo, gli esempi dell’antichità, i costumi, le usanze; se ne forma uno spirito generale che ne è il risultato”. Le leggi positive dovevano conseguentemente uniformarvisi.

Su tale presupposto caratterizzante del potere legislativo, l’A. definì la libertà come “il diritto di fare tutto ciò che le leggi permettono”.

Il governo moderato da lui teorizzato prendendo a modello quello inglese, poteva realizzarsi tramite un sistema di contrappesi giunto fino ai giorni nostri , nella configurazione di uno Stato democratico–liberale tramite l’autonomia ed il controllo reciproco dei tre poteri fondamentali: l’Esecutivo, il Giudiziario ed il Legislativo, il quale ultimo era quello sovrano vero e proprio.

Va conclusivamente evidenziato che la modernità del Montesquieu non va circoscritta alla citata tripartizione quale presidio di libertà, poiché a tale scopo tenne ad evidenziare anche la necessità del libero confronto delle opinioni e dei partiti sull’orientamento da seguire nella gestione dello Stato

Modernità da cogliere pure nella configurazione di uno Stato che andava ben oltre quello meramente di diritto, poiché le Istituzioni dovevano proiettarsi in un’ottica di solidarietà e di progresso sociale, facendosi carico dei bisogni degli infermi, degli anziani e degli orfani; insegnando a tutti un mestiere, dando a ciascuno delle opportunità di lavoro, assicurando un minimo vitale a tutti i membri della comunità.

La costruzione dell’illuminista Voltaire ( 1694- 1778) fu orientata all’assolutismo monarchico e ad un diritto di natura ricavabile direttamente dall’esperienza, con i tratti di una perenne validità, esprimentesi in pochi divieti ed in numerose norme assertive dei diritti individuali.

A siffatto diritto contrappose i singoli sistemi positivi, artificiali in quanto cangianti, i cui precetti in ogni caso dovevano essere formulati in maniera chiara, onde evitare l’arbitrio interpretativo degli esecutori delle leggi.

Non si preoccupò peraltro tanto di fondare una teoria organica dello Stato, quanto di propugnare delle linee-guida per la formazione dell’uomo, dal semplice cittadino al Sovrano, poiché entrambi dovevano seguire i dettami della Ragione, avverso ogni dogmatismo ed intolleranza, di derivazione ecclesiale o statuale.

Rousseau (1712- 1778)acquisì la maggiore notorietà con il Contratto sociale, dove venne a teorizzare ampiamente, seppure con argomentazioni non sempre lineari e coerenti, l’assolutismo di Stato, in ragione del quale innanzi alla potenza di un’asserita “volontà generale”, avrebbe dovuto piegarsi ogni volontà particolare ed individuale.

Siffatta volontà scaturiva un contratto sociale, frutto di una determinazione che, una volta manifestata, non era più revocabile e si manteneva perennemente vincolante.

Per tale via, rinunziando alla libertà originaria dello stato di natura, l’uomo ne avrebbe acquisita una più autentica, consistente nella soggezione sua e di tutti gli altri alla Legge, di cui peraltro egli stesso era stato il primo artefice.

La persona doveva dunque cedere tutti i diritti naturali alla comunità cui aveva aderito (compreso finanche quello alla vita); ma il ragionamento del Rousseau diveniva ambiguo quando evocava una volontà generale, poiché non si trattava né di un volere unanimistico, né maggioritario, ma più fumosamente di una indimostrabile volontà chiamata a rappresentare i veri interessi di una determinata comunità, perché volta alla ricerca del bene comune.

Corollario di tale impostazione era che l’evocato volere generale, seppure finalizzato al giusnaturalistico (ma non identificato) concetto di bene comune, era quello che in realtà sanciva, giuspositivisticamente, che cosa fosse bene e che cosa fosse male.

Elaborò in ultima analisi un modello di Stato che divenne detentore di ogni potere non solo nel campo del diritto, ma anche in quello della morale.

In tal modo si sarebbe alimentato uno dei filoni teorici attraverso il quale si sarebbe giunti alla giustificazione di uno Stato etico, che avrebbe poi avuto la sua tragica incarnazione nei regimi totalitari di ispirazione comunista, come in quelli di matrice nazi-fascista.

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