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Nel cammino della civiltà – (seconda parte)

Nel cammino della civiltà – (seconda parte)

K metro 0 – Roma – Fondamentale è il pensiero di Machiavelli (1469-1527), che non esaltò aprioristicamente il cinismo o la malvagità del Principe; ma considerò che la politica come perseguimento di finalità pubbliche, potesse giustificare attraverso l’eticità del fine, l’immoralità del mezzo usato per conseguirlo. Pertanto, un reggitore dello Stato che si fosse rivelato

K metro 0 – Roma – Fondamentale è il pensiero di Machiavelli (1469-1527), che non esaltò aprioristicamente il cinismo o la malvagità del Principe; ma considerò che la politica come perseguimento di finalità pubbliche, potesse giustificare attraverso l’eticità del fine, l’immoralità del mezzo usato per conseguirlo. Pertanto, un reggitore dello Stato che si fosse rivelato amorale sia nei fini, che nei mezzi, sarebbe stato travolto dagli eventi.

L’attività politica era per il Machiavelli “a- morale”, vale a dire al di fuori della morale, in quanto dotata di criteri autonomi di giudizio e di congruità.

Lo scopo, in definitiva, doveva essere considerato secondo un parametro di assolutezza etica: doveva essere intrinsecamente buono.

Il mezzo, viceversa, come già detto, poteva essere in sé buono o cattivo; ma nel secondo caso poteva riscattarsi nella bontà del risultato o, più precisamente, nell’aprioristica idoneità a conseguirlo.

Altra figura di spicco nella storia del pensiero, è quella di Lutero(1483- 1546) riformatore religioso, ma anche sociale, fautore della derivazione divina del potere sovrano, per cui rifiutò l’eventuale diritto di resistenza avverso il Principe, che doveva rispondere direttamente solo a Dio di ogni suo eventuale abuso. I sudditi erano tenuti cristianamente a subire o ad optare per l’esilio.

Sia in campo cattolico che protestante, si affermò la tesi che l’unità politica non potesse prescindere da quella religiosa, per cui si radicò il noto principio del cuius regio eius et religio, ribadito nella della pace di Augusta (1555).

Il credente doveva operare in una dimensione relazionale, traducendo la sua spiritualità in un impegno attivo in favore degli appartenenti alla società civile, cui il Principe avrebbe assicurato un’ordinata e pacifica convivenza.

I cristiani dovevano rispettare le leggi, per garantirsi la pace e l’ordine sociale, non essendo a tal fine sufficiente il Vangelo, data l’indole fondamentalmente malvagia dell’uomo (sufficienza – viceversa – sostenuta da alcune frange estremistiche del protestantesimo), per cui occorreva il potere coercitivo dello Stato.

Quest’ultimo andava considerato pertanto, al pari della Chiesa, lo strumento attraverso il quale Iddio esercitava il suo volere, con l’espressione – rispettivamente – della legge terrena e del Vangelo.

Il Principe non doveva pensare solo al benessere materiale, ma anche a quello spirituale dei suoi sudditi, promuovendo l’istruzione scolastica e – tramite la Chiesa – l’insegnamento religioso.

Importante fu il ruolo che andava riservato all’istruzione, avendo il riformatore intuito che l’elevazione delle classi umili tramite la cultura era vantaggiosa per l’intera collettività. Nel campo del diritto, affermò che la legge era vincolante anche per il Sovrano; in quello dell’economia,  sottolineò la doverosità del lavoro per sé e per gli altri, bandendo ogni forma di ozio o di mendicità.

Il riformatore Calvino (1509-1564) pur affermando la derivazione del potere da Dio, temperò l’assolutezza di questa tesi configurando il ruolo del Creatore come quello di un testimone al contratto di governo stipulato tra collettività e governante.

Nel richiamato contratto, le parti si impegnavano reciprocamente al rispetto delle leggi, per cui lo Stato veniva a fondarsi sul diritto, al fine di mantenere l’ordine sociale.

Alla base del diritto andava collocato quello naturale ( che era quello divino), impresso nella coscienza di tutti gli uomini, noto anche come jus gentium, dal quale derivavano alcune norme universalmente condivise, come l’inviolabilità degli ambasciatori ed il principio del pacta sunt servanda.

Il Principe doveva prioritariamente osservare i precetti divini, per non essere soggetto al diritto di resistenza, che peraltro i sudditi non potevano attivare direttamente, ma solo attraverso dei magistrati intermedi tra loro ed il vertice dello Stato..

Così come la Chiesa rappresentava Dio in materia spirituale, lo Stato ne era il rappresentante in quella temporale, nel comune compito di cooperare alla salvezza dell’uomo. Causa prima dello Stato andava considerata la bontà di Dio; causa seconda o occasionale, il peccato dell’uomo; causa finale la conservazione dell’umanità. Perciò i cristiani avevano il dovere di partecipare attivamente alla vita politica, essendo l’ordinamento statale voluto da Iddio stesso.

Ogni cittadino doveva avere un ruolo attivo nella società, in relazione alla sua specifica attitudine, assumendosi delle responsabilità e partecipando alla libertà politica. Anche le classi disagiate dovevano essere messe in condizione di poter svolgere dei lavori adeguati alle loro forze, bandendo Calvino ogni forma di improduttività.

Il noto trinomio libertà, eguaglianza, fraternità, divulgato dopo la rivoluzione francese, aveva avuto la sua prima genesi proprio in ambito calvinistico.

Tra i compiti dello Stato prefigurati dal riformatore di Ginevra, furono posti quelli di garantire l’osservanza dei Comandamenti; di assicurare la pace e l’armonia sociale; di amministrare la giustizia; di assistere i poveri, gli anziani, gli orfani, gli infermi; di costruire ospedali e scuole. A tal ultimo riguardo, va ricordato che Calvino fu il primo in Europa a postulare l’esigenza dell’istruzione elementare obbligatoria.

Calvino affermò che il salario doveva essere equo e non lasciato all’arbitrio del datore di lavoro, bensì alla contrattazione delle parti che, in caso di controversie, avrebbero potuto ricorrere a degli arbitrati: in questo egli dimostrò una straordinaria modernità di pensiero.

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