Osservatorio permanente Eurispes Giochi, Legalità e Patologie K metro 0 – Roma – Il Governo riapre le attività economiche con il rispetto dei protocolli di sicurezza per il contrasto della diffusione del Covid-19, ma il gioco legale no, rimane escluso dalle riaperture “in sicurezza”. Sui motivi del prolungato stop si interroga un settore legale che
Osservatorio permanente Eurispes Giochi, Legalità e Patologie
K metro 0 – Roma – Il Governo riapre le attività economiche con il rispetto dei protocolli di sicurezza per il contrasto della diffusione del Covid-19, ma il gioco legale no, rimane escluso dalle riaperture “in sicurezza”. Sui motivi del prolungato stop si interroga un settore legale che ingloba 150.000 lavoratori e che è nato da una complessa e progressiva opera di regolamentazione, la quale ha portato all’emersione e alla legalizzazione di un’attività prima vietata, ma ampiamente diffusa.
Neanche l’approvazione di protocolli per la sicurezza antivirale, concertati con le maggiori sigle sindacali, ha fatto da stimolo propulsivo per l’assunzione di una decisione da parte del Governo.
Il mercato del gioco pubblico dal 2000 è cresciuto in misura esponenziale, giungendo ad apportare alle casse dello Stato 15,5 miliardi di euro nel 2019.
È cresciuto “troppo”, «forse abbiamo esagerato», ha riconosciuto il sottosegretario Baretta che con i lunghi lavori per il raggiungimento di un’intesa in Conferenza Unificata Stato-Regioni ed Enti locali, ha il merito di aver avviato la prima fase di “contenimento” dell’offerta di gioco (riduzione degli apparecchi da gioco attuata nella misura del 35% e diminuzione programmata – ma inattuata – dei punti vendita del 50%). L’intesa raggiunta nel settembre 2017, com’è noto, è però complessivamente naufragata, anche se conteneva i primi veri passi verso la strada di un riordino che, inspiegabilmente, nessun protagonista istituzionale di quella fase ha voluto compiere.
Quello che oggi è il gioco dello Stato (per questo definito pubblico), legale, autorizzato e controllato dai Monopoli di Stato, un tempo era appannaggio della criminalità organizzata e comune.
La politica attuata in materia dagli ultimi due Governi, se da un lato ha abdicato ogni decisione finalizzata a disciplinare e regolamentare, dall’altro è restrittiva, limitativa, punitiva, al punto tale che pare disconoscere la patente di legittimità alle imprese del comparto – si pensi al divieto totale di pubblicità e promozione unico nella cornice europea.
Nell’attuale fase ciò si è tradotto in un trattamento deteriore riservato alle imprese e ai lavoratori rispetto a quello applicato, in fase emergenziale, ad attività che presentano rischi strutturali e funzionali financo maggiori in punto di diffusività del virus.
Chi trae vantaggio da questa situazione di incertezza? Certamente la criminalità organizzata, che da diversi lustri investe nello sviluppo di canali di offerta di gioco non autorizzati che sfruttano sovente il carattere transfrontaliero delle attività e server posti in paesi offshore. Questo si legge nelle relazioni periodiche della Procura Nazionale Antimafia e della Direzione Investigativa Antimafia e ciò è stato confermato, anche recentemente, dal procuratore antimafia Federico Cafiero De Raho e dal Capo della Polizia, Franco Gabrielli.
La recentissima operazione “All in” della Guardia di Finanza di Palermo – coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Palermo – ha portato al sequestro di imprese e agenzie di scommesse in Sicilia, Lombardia, Lazio e Campania per un valore complessivo stimato in circa 40 milioni di euro. Queste organizzazioni sono giunte a gestire volumi di gioco per circa 100 milioni di euro.
Secondo il Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Palermo: «La rilevante capacità economica sviluppata è testimoniata dalle acquisizioni patrimoniali operate negli ultimi mesi, a conferma della concreta minaccia delle infiltrazioni della criminalità organizzata nel tessuto economico-legale oggi in seria difficoltà a causa delle conseguenze derivanti dall’emergenza epidemiologica connessa alla diffusione del Covid-19».
Gianluca Angelini, colonnello del Nucleo Polizia Economica-Finanziaria della Guardia di Finanza, ha commentato l’operazione evidenziando come «l’allarme lanciato dagli operatori del settore sui rischi di infiltrazione dei clan, causati dal blocco perdurante delle sale scommesse, trova concreta dimostrazione nelle indagini delle ultime settimane. Nell’ultimo periodo abbiamo rilevato investimenti significativi della criminalità, il che dimostra come i capitali illeciti circolino velocemente». La chiusura delle attività e la crisi economica diventano «uno strumento per inserirsi nel tessuto legale». I centri scommesse sono ancora fermi, «ma la criminalità organizzata ha disponibilità di capitali: è così possibile rilevare le attività in difficoltà ed espandersi in vista della riapertura».
Trovano, quindi, ulteriore e granitica conferma i tentativi di infiltrazione mafiosa nel settore, nonché l’allarme sul sommerso lanciato a novembre 2019 da Gian Maria Fara, Presidente dell’Eurispes: «Il gioco illegale (nel suo complesso), sulla base delle più recenti stime della Guardia di Finanza, vale tra i 20 e i 25 miliardi di euro». Ed ancora: «Bisognerebbe avviare azioni più incisive di contrasto al gioco illegale, altrimenti ogni più rigida regolazione del settore legale potrà trasformarsi in un regalo proprio per chi opera fuori dalle regole, fiscali e sanitarie»
(https://eurispes.eu/news/gioco-presidente-delleurispes-gian-maria-fara-accertare-le-vincite-del-gioco-illegale-e-tassarle/).
La crescita esponenziale del mercato illegale del gioco, con il comparto legale fermo a causa della pandemia e non ancora rimesso in moto, è un dato di fatto. Per capire quali possano essere le ricadute basti pensare che, secondo i calcoli dell’Eurispes, il settore ha perso 750 milioni di euro per ogni mese di lockdown, una perdita che si mantiene stabile ancora oggi a causa della inattività.
Le task force e gli esperti incaricati dal Governo per fronteggiare la fase emergenziale non sembrano apportare quel contributo tecnico necessario per superare quello che appare un “blocco” rispetto ad una galassia complessa ma che occorre governare con cognizione di causa e senso di responsabilità.
Non ci sono molte strade. Il gioco pubblico o rimane legale ed autorizzato senza essere discriminato, o viene cancellato per rispedire a tambur battente tutta la domanda di gioco nelle mani e nelle maglie delle reti illegali.
La partita si gioca tutta sul campo della responsabilità. Responsabilità in primis verso le migliaia di lavoratori del comparto che subiscono un trattamento che non trova valide e plausibili ragioni. Proprio nella giornata odierna si svolgerà a Roma una manifestazione che vedrà scendere in piazza le imprese e i lavoratori del settore.
Il gioco pubblico conosce già gli effetti di un trattamento a macchia di leopardo frutto di un mancato punto di incontro tra Stato e Regioni. L’auspicio, che può sembrare paradossale, è quindi che il gioco pubblico venga finalmente governato e non solo tassato e limitato fino al punto da minarne la stessa sopravvivenza a tutto vantaggio dell’illegalità.
L’Osservatorio Giochi Legalità e Patologie dell’Eurispes, diretto dagli Avvocati Chiara Sambaldi e Andrea Strata, ha pubblicato numerose ricerche scientifiche che portano tutte ad auspicare maggiore buon senso nel governo del gioco pubblico, con interventi legislativi che siano scevri da preconcetti e ambiguità.
Del resto, l’indagine conoscitiva sul settore dei giochi e scommesse effettuata nel lontano 2003 dalla VI Commissione Permanente del Senato rilevava che: «è forte la tentazione di adottare soluzioni drastiche. Del resto bandire è assai più facile che regolamentare: peccato che le interdizioni di frequente finiscano per incancrenire il male che intenderebbero sanare e, altrettanto spesso, per buttare il bambino assieme all’acqua sporca. Nello specifico una repressione indiscriminata non solo mortificherebbe la cultura del gioco in genere, a tutto vantaggio del sommerso, dell’illegale, della malavita piccola e grande; ma significherebbe, al contempo, sopprimere un’industria che altrove rappresenta una non trascurabile fonte di reddito e che genera un importante indotto occupazionale».