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La lezione morale e civile dei grandi del passato: Francesco De Sanctis

La lezione morale e civile dei grandi del passato: Francesco De Sanctis

K metro 0 – Roma – Nell’età contemporanea, il nostro in dimenticato Maestro Giovanni Cassandro così osservava: «Sembra qui una legge costante della civiltà occidentale, che quante volte essa compia un balzo avanti, debba prima come ripiegarsi su se stessa, risalire alle origini, approfondire le basi sulle quali si eleva, fino a raggiungere le radici

K metro 0 – Roma – Nell’età contemporanea, il nostro in dimenticato Maestro Giovanni Cassandro così osservava: «Sembra qui una legge costante della civiltà occidentale, che quante volte essa compia un balzo avanti, debba prima come ripiegarsi su se stessa, risalire alle origini, approfondire le basi sulle quali si eleva, fino a raggiungere le radici del proprio essere.”

Accadrà così anche oggi dopo la pandemia del coronavirus, recuperando la memoria di Uomini preclari per le loro virtù morali e civili, come Francesco De Sanctis (1817-1883), Professore universitario di letteratura italiana, patriota e politico, sulle cui opere si formarono intere generazioni di studenti.

La sua sempre attuale Storia della Letteratura italiana (1871) in particolare, consente di ricostruire l’evoluzione di una coscienza italiana attraverso i capolavori letterari dei grandi scrittori sino al compimento del sogno unitario, con una perenne valenza pedagogica morale e civile, la cui utilità si manifesta ancor più preziosa nei periodi di decadenza come l’attuale.

Il che può porre rimedio all’inaridimento spirituale che è causa ed effetto, al contempo, dell’immiserimento della politica, non più intesa come alta ed altruistica missione al servizio della collettività, bensì come mezzo per il conseguimento prioritario di gratificazioni personali.

L’Italia arrivò ad elevarsi a dignità di Stato, prendendo le mosse da quella realtà culturale aggregante che era stata la lingua, a partire dall’Alighieri in poi; era stata essa Italia dunque una realtà letteraria e morale, prima ancora che istituzionale: “le lingue precedono le spade” aveva scritto il Campanella, evocato, non casualmente, dal De Sanctis.

Quest’ultimo, insegnando al Politecnico di Zurigo, aveva avvertito quei suoi allievi, profani di letteratura, che prima di divenire ingegneri, dovevano mirare a formarsi come cittadini completi, il che era impossibile senza una pur contenuta formazione letteraria, da lui considerata come momento ineludibile di sintesi tra tecnica ed umanesimo (ovvero –per dirla in termini attuali- tra progresso scientifico ed etica).

Si prodigò costantemente, anche nelle successive esperienze accademiche, per una didattica improntata all’esposizione di  concetti chiari e   discorsivi, atti ad avvincere i discepoli, con il risultato che sorpassò tutti nell’educare gli alunni ad amare l’Italia. Gli era caro insegnare senza aria dogmatica– avrebbe poi ricordato un suo allievo della Nunziatella– “ ma col tono della conversazione, dimostrandosi più amico che maestro, leggendo come pochissimi leggono, commentando non per dottoreggiare, ma per chiarire quello che leggeva, interrompendo la lettura con qualche osservazione sobria e sagace, che non sciupava ma eccitava l’attenzione dei giovani, facendo, insomma, ciò che poi disse che doveva essere l’insegnamento, vale a dire discendere fino ai giovani per sollevarli fino al Maestro” .

La scuola non doveva mai essere avulsa dalla realtà, quindi la formazione andava indirizzata all’evoluzione morale e civile dei discepoli, cui rivolse questa esortazione: “Studiate, educatevi, siate intelligenti e buoni. L’Italia sarà quello che sarete voi… Mantenete intatta ed integra al vostra persona! E in questa parola –soggiunse– c’era tutto, c’era la Patria, c’era la virtù …La scuola deve essere la vita”.

L’istruzione era la matrice di ogni altra conquista civile e lo spartiacque tra un regime reazionario ed uno liberal democratico, per cui nel suo primo discorso alla Camera il 13 aprile 1861, ribadì l’importanza della scuola per la crescita della società italiana: “Chiameremo noi forse uomini liberi quei contadini ignoranti delle province napoletane […] a cui anima non appartiene a loro? No, non sono uomini liberi costoro, la cui anima appartiene al confessore, al notaio, all’uomo di legge, al proprietario, a tutti quelli che hanno interesse di volgerli, di impadronirsene. Provvedere all’istruzione popolare sarà la mia prima cura. Noi saremo contenti quando l’ultimo degli italiani saprà leggere e scrivere.

 I valori da lui propugnati, anche da Ministro della Pubblica Istruzione (1862,1878,1881), furono quelli di una libertà costantemente ancorata alla giustizia, e di una “democrazia non solo giuridica, ma effettiva”.

Il De Sanctis  riferendosi alla  dialettica tra maggioranza  e minoranza, nel  discorso del 22 novembre 1863, (dopo i fatti di Aspromonte), così disse in Parlamento: “Le maggioranze le creano gli avvenimenti; io sono certo che , quando altri avvenimenti sorgeranno, quando degli uomini autorevoli e grandi presenteranno le idee , le quali possano riunire uomini separati per concetti inferiori, in un concetto superiore, io credo che allora sia naturale che una fusione [cioè tra membri della maggioranza e dell’opposizione ] ci sia.”

L’Italia unita doveva progredire nella sua vita interiore, coltivando i valori della Patria, della Famiglia, della Libertà e della Virtù, non come mere astrazioni, ma come oggetti concreti e familiari.

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