fbpx

Il vincolo di mandato parlamentare tra fantapolitica e diritto

Il vincolo di mandato parlamentare tra fantapolitica e diritto

K metro 0 – Roma – L’art.41 dello Statuto albertino recitava: “I Deputati rappresentano la Nazione in generale, e non le sole provincie in cui furono eletti. Nessun mandato imperativo può loro darsi dagli Elettori.” Tale principio, frutto di una consolidata e condivisa civiltà giuridica, è stato riprodotto all’art. 67 cost., che sancisce” Ogni membro

K metro 0 – Roma – L’art.41 dello Statuto albertino recitava: “I Deputati rappresentano la Nazione in generale, e non le sole provincie in cui furono eletti. Nessun mandato imperativo può loro darsi dagli Elettori.”

Tale principio, frutto di una consolidata e condivisa civiltà giuridica, è stato riprodotto all’art. 67 cost., che sancisce” Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato.” Ciò vale non solo nei confronti dei propri elettori, ma anche del partito di appartenenza, come dei gruppi parlamentari.

La considerazione che ogni partito politico nell’arco degli oltre 70 anni dall’avvento della Repubblica abbia cercato di vincolare ad una disciplina interna i propri parlamentari, ancor più rigorosa nell’ambito di partiti illiberali, ha interferito di fatto con il principio in parola.

Vero è che i partiti costituiscono un soggetto intermedio tra il popolo ed il Parlamento, per cui l’appartenenza ad essi ed ai gruppi parlamentari comporta dei vincoli interni di disciplina; ma si tratta di vincoli di carattere politico –organizzativo, più che giuridico, tanto che gli stessi Regolamenti parlamentari riconoscono al singolo di intervenire “in dissenso con il proprio gruppo di appartenenza”.

Il singolo eletto mantiene integra la sua propria determinazione, fino alla conseguenza estrema dell’espulsione, ma”senza alcun pregiudizio dei poteri inerenti alla carica”. Le eventuali dimissioni da parlamentare in seguito all’allontanamento dal proprio partito devono comunque essere accettate dalla propria Camera di appartenenza; ma per consolidata prassi vengono respinte quando “si presumono non spontanee o motivate da dissensi con il partito di appartenenza del dimissionario”

La Corte costituzionale con sentenza 14/1964 evidenziò che l’art. 67 della Costituzione “è rivolto ad assicurare la libertà dei membri del Parlamento. Il divieto del mandato imperativo importa che il parlamentare é libero di votare secondo gli indirizzi del suo partito, ma é anche libero di sottrarsene; nessuna norma potrebbe legittimamente disporre che derivino conseguenze a carico del parlamentare per il fatto che egli abbia votato contro le direttive del partito.”

La richiesta di creazione del mandato imperativo formulata oggi da due partiti in particolare, oltre ad essere incostituzionale, è la negazione della democrazia liberale, ancor più grave nel momento in cui sono i partiti stessi a disattendere i programmi in base ai quali hanno ricevuto il consenso elettorale. Pertanto oggi non ha più senso parlare del “cambiare casacca”, dal momento che non esistono più le tradizionali casacche, ovvero dei Partiti solidamente strutturati su precise basi ideologiche, che nella solidità organizzativa e programmatica fornivano nel passato una affidabile base di riferimento agli elettori.

Oggi conta viceversa il carisma personale del singolo leader, in qualche caso fondato più sulla sua abilità affabulatoria che sulla consistenza e coerenza del programma da lui presentato. Se poi il capo carismatico abbandona- o è costretto ad abbandonare- l’agone politico, milioni di elettori si trovano “orfani”politicamente.

La vera crisi è dunque quella ascrivibile alla scomparsa dei Partiti tradizionali, non solo in Italia, ma anche in altri Stati del Vecchio Continente. Nel Parlamento europeo sopravvivono, viceversa, le tre grandi e tradizionali aree di riferimento del pensiero politico ed economico: liberali, cristiani, socialisti.

Da molto tempo, navighiamo purtroppo in una sorta di “democrazia fluida”, con tutte le incertezze che ne derivano e che incidono sulla fiducia dei cittadini, sulla reputazione internazionale e sull’affidabilità economico- finanziaria del c.d. “sistema- Paese”. Il tutto in mancanza di chiarezza di programmi, di determinazione seria sulla loro attuazione, di affidabilità morale di taluni proponenti, di stabilità degli equilibri parlamentari.

Equilibri – lo ribadiamo- che saltano non tanto per i “cambi di casacca”, ma per l’assenza delle casacche stesse, per cui ogni eventuale censura morale (non certo giuridica, per le ragioni sopra evidenziate) sul passaggio da una forza parlamentare all’altra, potrebbe a maggior ragione rivolgersi ai partiti che nascono e si inabissano come l’isola ferdinandea.

Il problema in ultima analisi non è pertanto quello della presunta infedeltà del parlamentare rispetto a coloro che lo hanno votato, ma dell’infedeltà di un intero sistema, dove il cittadino non può più prevedere come sarà utilizzato il suo voto.

La democrazia non è la sintesi rappresentativa di un’aggregazione meramente numerica, come è avvenuto in recenti esperienze governative, ma consiste nell’alleanza tra forze politicamente convergenti su programmi e valori compatibili, per conseguire governabilità e stabilità politica.

Condividi su:

Posts Carousel

Latest Posts

Top Authors

Most Commented

Featured Videos

Che tempo fa



Condividi su: