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Montanari: come gestire i rifiuti al tempo del COVID 19

Montanari: come gestire i rifiuti al tempo del COVID 19

K metro 0 – Roma – In un momento così delicato per via del COVID 19, nel quale in Italia come all’estero siamo stretti tra lockdown e voglia di “fase 2” e nel quale l’incertezza sul futuro regna sovrana, una delle poche certezze è lo stare a casa, in smart working o meno, ma comunque

K metro 0 – Roma – In un momento così delicato per via del COVID 19, nel quale in Italia come all’estero siamo stretti tra lockdown e voglia di “fase 2” e nel quale l’incertezza sul futuro regna sovrana, una delle poche certezze è lo stare a casa, in smart working o meno, ma comunque mantenendo le distanze sociali per contenere la pandemia.

Nell’incertezza del periodo che stiamo vivendo si registra nel nostro paese, in particolar modo nella Capitale un caso segnalato da molti lettori, ovvero la sensazione di una più regolare raccolta dei rifiuti e di un maggiore senso civico e, visto che dalla fine del 2019 su questo tema a Roma si è registrato più di un momento di criticità, ecco che la notizia riecheggia forte nelle strade (quasi) deserte della città. Certo, da zona a zona e con modalità diverse, però la sensazione è che, paradossalmente, in questa fase dove le persone sono a casa e dovrebbero produrre più rifiuti, invece la raccolta funzioni meglio.

Con l’estate ormai alle porte e la fase 2 con diverse riaperture previste, abbiamo deciso di aprire il dibattito su questo tema partendo da Pinuccia Montanari, esperta di tematiche ambientali, già assessora all’ambiente di Roma Capitale, che fino al febbraio 2019 ha ricoperto questo delicato ruolo in Campidoglio.

Intervista di Jacopo Nassi

Dott.ssa Montanari, molti cittadini romani hanno l’impressione che in questi giorni ci sia una più regolare raccolta dei rifiuti e cassonetti più vuoti quasi ovunque, non dovrebbe essere il contrario visto che le persone sono a casa per effetto del lockdown? C’entra un drastico calo fisiologico del turismo? Oppure la raccolta non domestica?

Sicuramente la quantità dei rifiuti prodotti in questo periodo è diminuita, a mio avviso, per due ragioni. La prima è l’assenza di turismo. Dai dati di settore sappiamo che Roma ha normalmente una consistente presenza di turisti, sino a tre milioni al mese che si aggiungono ai residenti. Il lockdown ha come conseguenza assenza di turismo con inevitabile riduzione della produzione dei rifiuti. La chiusura di tantissime attività commerciali, compresi ristoranti e bar comporta la riduzione della produzione delle utenze non domestiche. Mi sembra che AMA (azienda municipalizzata ambiente) abbia stimato una riduzione del 12% sui primi tre mesi. Noi nel nostro piano ipotizzavano una riduzione del 20% in tre anni, con azioni diverse. Il fatto è che questa riduzione dei rifiuti di decine di migliaia di tonnellate ha due conseguenze: 1. la riduzione della necessità di smaltimento, 2. un consistente risparmio nei costi di smaltimento che oggi si aggira tra i 160/180 euro a tonnellata.

Occorre verificare bene i dati, ma questa riduzione che potrebbe aggirarsi su 25.000 tonnellate potrebbe portare ad un risparmio di svariati milioni di euro che potrebbero essere reinvestiti nella pulizia e nella raccolta differenziata.

Pensando alla fase che stiamo vivendo, con molte persone a casa in quarantena, chi è positivo al COVID 19 e smaltisce rifiuti casalinghi nei cassonetti in strada può provocare un danno alla salute di altri cittadini? Quanto è importante sanificare i cassonetti in questa fase e quanto lo sarà in futuro?

Occorre attenersi al decreto 43 del20 marzo 2020 e successive determinazioni, alle ordinanze regionali, emanate sulla base dei documenti dell’ISS Covid 19 (in particolare n.3/2020) che prevede alcune azioni necessarie. Per quanto riguarda i gestori devono sottoporre a igienizzazione i rifiuti indifferenziati, dove c’è raccolta dedicata (filiera dei rifiuti sanitari). Per i soggetti positivi al tampone in quarantena i rifiuti da lori prodotti dovrebbero essere considerati rifiuti sanitari. Non devono fare la raccolta differenziata e utilizzare almeno 3 sacchi uno dentro l’altro e conferirli possibilmente in un contenitore a pedale. In realtà sarebbe raccomandato di istituire un servizio dedicato, effettuato da parte di operatori addestrati. Dove c’è il porta a porta è più semplice, perché il gestore consegna direttamente il materiale per il confezionamento. Se invece non ci sono positivi si devono mantenere le procedure in vigore nel territorio di appartenenza.

In sintesi le persone positive al Covid 19, quelle in isolamento e quarantena devono sospendere la raccolta differenziata. I cittadini non positivi devono continuare a fare la differenziata ma mettere mascherine, guanti e fazzoletti monouso sempre nell’indifferenziata.

Per quanto riguarda i gestori del servizio, devono garantire la raccolta degli urbani indifferenziati almeno due volte a settimana e devono attenersi alle raccomandazioni dell’Istituto superiore di sanità per la pulizia degli strumenti utilizzati, compresi la sanificazione dei mezzi e delle divise. È possibile inoltre sospendere il ritiro dei rifiuti ingombranti se il servizio non può essere svolto in sicurezza.

Infine, viene vietato, senza eccezioni, bruciare materiale vegetale di risulta dei lavori forestali e agricoli.

Ma quando i rifiuti vengono riciclati e trasformati in altri prodotti, se questi rifiuti sono infetti c’è la possibilità che il virus possa permanere e quindi un rischio per la salute?

No, perché c’è obbligo per i gestori di sanificarli.

Secondo lei c’è un collegamento tra la diffusione del virus e il tasso d’inquinamento atmosferico? Oppure si tratta solo di come è stata gestita a livello sanitario la prima fase dell’emergenza?

Io penso che, da un lato, la prima fase dell’emergenza sia stata sottovalutata. Il 31 di Gennaio ero a Roma per un progetto europeo e ricordo che in viaggio ero rimasta molto colpita da alcuni articoli usciti su Corriere della sera e Il giornale, già dal 21 gennaio in cui i bravissimi giornalisti avevano già spiegato la pericolosità del virus, la contagiosità. Bastava leggere quegli articoli per attivare immediata sorveglianza sanitaria, applicare da subito piani pandemici. Per questo ora ribadisco che bisogna predisporre i piani sui cambiamenti climatici, come stavamo facendo a Roma con Antonio Lumicisi, per non trovarsi impreparati davanti agli eventi che si spera non debbano mai capitare. Ma la prevenzione è questa, tanto più in ambito sanitario.

L’altra questione che lei pone è molto importante: sia uno studio recente dell’Università di Harvard che un’analisi del Prof. Setti dell’Università di Bologna hanno evidenziato una correlazione tra i picchi di contagio e l’incremento di polveri sottili, in particolare 2,5, dovute all’inquinamento. In realtà molti studiosi, da ormai un mese, come il prof. Bardi dell’Università di Firenze hanno evidenziato queste relazioni che sicuramente devono essere approfondite, perché, probabilmente, le goccioline con carica virale, vengono trasportate dalle particelle ultrasottili, oltre il metro, anche a grandi distanze. Questo significherebbe che il particolato che è all’origine dell’inquinamento nella Pianura Padana, potrebbe essere vettore del virus. Dove c’è inquinamento, si diffonde di più, questa è l’ipotesi oppure potrebbe essere fattore di co-morbilità’, cioè potrebbe essere adiuvante nella penetrazione del virus all’interno dell’epitelio polmonare.

Nei giorni scorsi si è timidamente iniziato a parlare della relazione tra l’inquinamento e il possibile diffondersi di epidemie.

Successivi esperimenti confermano che il particolato atmosferico Pm 2.5 incrementa l’infiammazione polmonare e uno studio ecologico del 2003 sulla prima SARS da coronavirus in Cina mostra una mortalità maggiore dell’84% nelle aree con peggiore indice di qualità dell’aria.

Molti stanno studiando questi aspetti, accanto ad altre due problematiche, la perdita di biodiversità che può favorire lo Spillover e l’inquinamento come causa di polmoniti e indebolimento del sistema immunitario. C’è poi un altro aspetto interessante che collega la diffusione dei contagi con la situazione meteo-climatica. Questi fenomeni sono complessi per le molteplici interazioni tra fattori ambientali, climatici e antropici, come le misure di contenimento e di prevenzione, comportamenti individuali e collettivi. E in tutti i casi sono evidenze scientifiche che vanno esplorate e validate, nel rispetto delle procedure scientifiche. A tal supporto è molto interessante un articolo apparso recentemente che fa la sintesi degli studi più importanti in merito.

Cosa fare in tempi brevi per avviare la fase 2?

Ribadisco l’importanza dei tamponi, dei test sierologici/neutralizzanti per isolare i positivi e riportare al più presto il paese alla normalità. Un piano nazionale di sorveglianza sanitaria attraverso i test mi sembra la prima urgenza su cui investire tutte le forze.

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