K metro 0 – Roma – Il diritto di cronaca è lo specchio della democrazia, è la voce stessa di un sistema libero; tuttavia il suo corretto esercizio presuppone un costante ancoraggio a regole di correttezza etica, prima ancora che di deontologia professionale, nonché delle leggi poste a salvaguardia della dignità delle persone citate. Il
K metro 0 – Roma – Il diritto di cronaca è lo specchio della democrazia, è la voce stessa di un sistema libero; tuttavia il suo corretto esercizio presuppone un costante ancoraggio a regole di correttezza etica, prima ancora che di deontologia professionale, nonché delle leggi poste a salvaguardia della dignità delle persone citate.
Il principale quadro di riferimento normativo è dato dalla legge sulla stampa, che sanziona- tra l’altro- l’utilizzazione di “stampati i quali descrivano o illustrino, con particolari impressionanti o raccapriccianti, avvenimenti realmente verificatisi o anche soltanto immaginari, in modo da poter turbare il comune sentimento della morale e l’ordine familiare o da poter provocare il diffondersi di suicidi o delitti”.
Pubblicare foto “choc“, ad esempio, non rientra nel diritto di cronaca, per cui rispondono del reato di pubblicazioni a contenuto impressionante o raccapricciante, previsto dall’art. 15 della legge richiamata, il direttore di un settimanale ed i giornalisti autori di un articolo corredato da riproduzioni a colori delle immagini del cadavere di una donna uccisa, cosi come rinvenuto nell’immediatezza dell’omicidio, con particolari impressionanti e raccapriccianti delle tracce sul corpo e sugli indumenti, delle nudità del corpo medesimo e delle modalità di esecuzione del delitto, tali da turbare il comune sentimento della morale e l’ordine delle famiglie.
Sono impubblicabili, in ultima analisi le foto che: feriscono la richiamata “dignità della persona“, risultano non “non essenziali” ai fini della descrizione degli avvenimenti, presentano i richiamati “particolari impressionanti e raccapriccianti“.
Giustamente il Garante della Privacy ha stabilito che il giornalista è chiamato ad effettuare un vaglio particolarmente attento sull’essenzialità di una data notizia nel riportarla, allo scopo di tutelare l’evocata dignità ed evitare ingiustificate spettacolarizzazioni.
Un problema che sta crescendo a dismisura nell’ambito specifico della cronaca “nera”, è quello della necessità o meno di indugiare in narrazioni analitiche di particolari raccapriccianti, macabri, di natura sessuale, che si accompagnano ad omicidi, rapine, stupri, ed agli atti di violenza in genere nelle più svariate forme.
Alla giusta esecrazione che ne consegue da parte del comune cittadino, dotato di capacità di discernimento, si giustappone la suggestione emulativa che può insorgere in soggetti psico-labili, facilmente influenzabili o portatori di potenzialità criminali. Potenzialità queste, destinate restare allo stato latente, finché non sono stimolate nella fantasia imitativa, per dar corpo a tendenze deviate che si traducono in delittuosa concretezza.
Il problema, oggi ampliato a dismisura grazie ad una vasta gamma di mezzi di comunicazione telematica, non è peraltro nuovo, dato che anche nel periodo fascista uno storico del giornalismo scriveva: “Non diamo più soverchia importanza ai bei delitti, ai suicidi romantici, agli adulteri di lusso. Una volta una grande giornale si sarebbe creduto disonorato, se non fosse riuscito a dedicare il maggior numero di colonne, con particolari ghiotti e scandalosi, ad un assassinio d’amore o ad una scoperta truffa, trasformandosi, così, in un ‘involontaria scuola del delitto e creando la vanità persino nell’ammazzarsi, perché vi era della gente che si buttava dall’alto del Duomo, pregustando la gioia del ritratto di cronaca dei quotidiani”.
Un breve cenno va fatto oggi anche alla “sublimazione cinematografica” della cronaca nera, che può spingersi sino alla sinistra contraffazione di episodi aberranti di spietato banditismo, accreditati come avvincenti prodezze. Delinquenti privi di ogni umanità, possono così rappresentare altrettanti modelli di “miti” negativi, per balordi di ogni tipo e, soprattutto, per giovani disadattati privi di quel retroterra scolare e familiare, che dovrebbe essere la prima palestra educativa per saper distinguere tra valori e disvalori etico- sociali.
Veniamo poi alle c.d. trasmissioni di intrattenimento, dove accanto a pettegolezzi da barberia, si specula su di un delitto, con affollamento di illustri clinici, giuristi, criminologi, esperti vari e tuttologi, che dibattono per ore ed ore su fatti e misfatti che sconvolgono l’opinione pubblica, ma al contempo ne sollecitano una sorta di inconfessabile “guardonismo”mediatico.
Se un certo tipo di pubblico è morbosamente interessato alla cronaca degli stupri e dei relativi dettagli, c’è da attendersi che se ne potranno verificare degli altri per causa imitativa.
Il tutto, ovviamente, senza alcun riguardo per la sensibilità degli spettatori più piccini, che all’ora di pranzo o di cena, vengono proiettati dal mondo delle fiabe, a quello di una realtà rappresentata nei suoi aspetti di più efferata e cruenta patologia.
A fronte dell’inevitabile “legittimazione” di modelli negativi, che deriva da questo sistema di messaggi diseducativi, gli sceneggiatori ed i produttori cinematografici diano voce alle Vittime, leggendo le loro storie e diffondendo il loro esempio di coraggio ed abnegazione.