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Covid-19. Africa: 4.282 casi positivi, rivolta nelle carceri

Covid-19. Africa: 4.282 casi positivi, rivolta nelle carceri

K metro 0 – Africa ExPress – Khartoum – La pandemia coronavirus ha raggiunto 47 Paesi africani. Lo ha twittato sabato il capo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’etiope Tedros Adhanom Ghebreyesus. E domenica mattina il Centro per la Prevenzione e il Controllo dell’Unione Africana ha reso noto che i contagiati in Africa sono saliti a 4.282,

K metro 0 – Africa ExPress – Khartoum – La pandemia coronavirus ha raggiunto 47 Paesi africani. Lo ha twittato sabato il capo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’etiope Tedros Adhanom Ghebreyesus. E domenica mattina il Centro per la Prevenzione e il Controllo dell’Unione Africana ha reso noto che i contagiati in Africa sono saliti a 4.282, mentre i morti a 49.

Quasi tutti i Paesi del continente hanno preso misure importanti, talvolta draconiane, per contrastare l’espandersi della pandemia.

Malgrado le severe restrizioni messe in campo anche in Sudan, ieri si sono verificati gravi incidenti nel carcere di al-Houda, Khartum. I prigionieri hanno manifestato per la grave mancanza di servizi essenziali: poco cibo, spesso manca la corrente elettrica, ma hanno lamentato sopratutto le torture alle quali sono soggetti. Botte sono all’ordine del giorno. A taluni sono state rotte persino le costole, mentre altri hanno gravi ferite alla testa. La polizia carceraria ha immediatamente tentato di sedare la rivolta con colpi di arma da fuoco. Molti detenuti che si erano ammutinati bei cortili sono stati riportati all’interno, subendo nuove vessazioni.

La scorsa settimana il governo di Khartoum ha rilasciato 4.217 prigionieri e, secondo quanto riportato dalle autorità, prima di essere liberati sarebbero stati sottoposti al test del coronavirus. Il sistema sanitario nel Paese è fragile, negli ultimi anni, sotto la dittatura dell’ex presidente Omar al-Bashir, poco o niente è stato investito in tale campo.

In tutto il Paese i prezzi sono saliti alle stelle dopo la dichiarazione dello stato d’emergenza, proclamato dal governo all’indomani del primo caso di Coronavirus e la popolazione è in grave difficoltà. A tutt’oggi i contagiati sono “solamente” sei, tra cui due morti, ma la tensione nel Paese è alle stelle, specialmente dopo il fallito attentato del 9 marzo contro il primo ministro Abdalla Hamdok mentre si recava nel suo ufficio a Khartoum e la morte per infarto, il 25 marzo a Juba, la capitale del Sud Sudan, dove sono in atto i colloqui di pace,  del ministro della Difesa.

Gwi-Yeop Son, coordinatore per l’ONU in Sudan ha richiamato tutte le parti alla calma e ha chiesto un cessate il fuoco, sottolineando la vulnerabilità del sistema sanitario, specie nelle zone di conflitto, come Jebel Marra in Darfur.

In Mali la popolazione è stata chiamata alle urne domenica per eleggere il nuovo Parlamento – il secondo turno è previsto per il 19 aprile – e questo in un contesto tutt’altro che facile. Mercoledì scorso la temibile patologia è arrivata anche nella ex colonia francese, dove finora sono stati registrati 18 casi e una vittima. A Bamako sono stati distribuiti sapone, disinfettante e maschere.

Nel Paese vige tutt’ora un clima di grave insicurezza. Il 26 marzo è stato sequestrato Soumaïla Cissé, il maggiore esponente dell’opposizione, insieme a 6 membri della sua squadra durante la campagna elettorale  a Niafounké, la sua roccaforte, nell’area di Timbuktu, nel nord del Paese. Secondo un politico del luogo, i rapitori molto probabilmente appartengono alla formazione terrorista Front de libération du Macina (FLM), fondato nel 2015 da Amadou Koufa (nome di battaglia Amadou Diallo), un predicatore estremista fulani. Nel 2017 l’FLM, insieme a altre quattro formazioni terroriste, ha fondato il “Gruppo di sostegno dell’Islam e dei musulmani”, guidato da Iyad Ag-Ghali, vecchia figura indipendentista tuareg, diventato capo jihadista e fondatore di Ansar Dine – in italiano: ausiliari della religione (islamica) – operativo per lo più nel nord del Mali.

Anche la Nigeria il presidente Muhammadu Buhari ha ordinato la chiusura totale della capitale federale Abuja e di Lagos, metropoli e capitale commerciale che conta oltre 20 milioni di abitanti. Secondo quanto riportato da Nigeria Centre for Disease Control, nella ex colonia britannica sono stati confermati 111 casi di contagio e una persona deceduta. I malati si trovano per lo più a Lagos e Abuja. Buhari ha inoltre promesso di stanziare 26 milioni di dollari destinati a arginare l’espandersi di COVID-19. Il presidente ha inoltre specificato che le imbarcazioni in navigazione da oltre 14 giorni potranno attraccare nei porti nigeriani. Le navi di petrolio e gas sono tuttavia esenti da tali misure. I due aeroporti internazionali sono già chiusi da una settimana.

Il Paese con il maggior numero di pazienti affetti da coronavirus è il Sudafrica: 1280 sono risultati positivi al test e due persone sono morte. Il presidente ha decretato l’isolamento venerdì a livello nazionale per 3 settimane e così 57 milioni di sudafricani dovranno restare confinati nelle loro abitazioni. I militari controllano le strade per far rispettare le severe norme. E’ vietata la vendita di alcolici, non sono permessi passeggiate con i cani e jogging. Il giorni prima che entrasse in vigore l’isolamento, si sono formate lunghe code alle stazioni dei bus perchè molti sudafricani hanno cercato di raggiungere i villaggi di origine, non curanti del fatto che potrebbero trasmettere l’infezione virale agli anziani genitori. Nosiviwe Mapisa-Nqakula, ministro della Difesa è stato molto chiaro: chi sarà trovato in strada senza giusta causa, sarà punito con una pena amministrativa o 6 mesi di carcere. Ma nessuno ha pensato ai senzatetto, violentemente picchiati dai militari fin dal primo giorno del blocco.

Anche il Kenya ha messo in campo misure draconiane pur di evitare l’espandersi del coronavirus. Tutti voli internazionali sono stati sospesi e da venerdì è stato proclamato anche il coprifuoco dalle 19.00 alle 05.00 e come nella maggior parte dei Paesi africani, sono vietati assembramenti, cerimonie religiose e quant’altro. Come spesso succede in momenti di tensione, scontri con le forze dell’ordine non sono rari e così la polizia ha usato gas lacrimogeno per disperdere un gran numero di pendolari in attesa dei mezzi di trasporto pubblici; altrove gli agenti hanno picchiato giovani con bastoni.

Emmerson Mnangagwa, presidente dello Zimbabwe, già fortemente provato da una grave crisi economica, ha imposto il blocco totale del Paese per 3 settimane a partire da oggi per arginare la diffusione del virus. Esenti dalle restrizioni gli impiegati statali e operatori sanitari. Mentre funerali con meno di 50 persone sono autorizzate. Secondo quanto precisato dal governatore della Banca centrale, John Mangudya, è stato reintrodotto l’utilizzo di valuta estera per le transazioni interne, vietata dallo scorso giugno. Molti abitanti sono disperati, non hanno soldi per procurarsi il cibo, come il mais, alimento principale nella dieta degli zimbabwiani. Il tasso di disoccupazione nel Paese ha raggiunto livelli altissimi, altrettanto l’inflazione che a febbraio ha toccato il 500 per cento.

Tra i 33 contagiati riscontrati in Uganda, c’è anche un bambino di solo 8 mesi. Il governo ha sospeso tutti voli internazionali già dal 23 marzo, ad eccezione dei cargo. Nessun straniero o ugandese potrà varcare le frontiere marittime e terrestri, salvo camion per il trasporto di merci.

Robert Kyagulanyi Ssentamu, in arte Bobi Wine, parlamentare dell’opposizione in Uganda e pop star, ha inciso una nuova canzone per la lotta contro il COVID-19. Nel testo Bobi Wine ha focalizzato anche l’importanza dell’igiene personale per combattere la pandemia.

di Cornelia I. Toelgyes

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