K metro 0 – Roma – Le tre Fedi abramitiche si sono incontrate non solo nell’identità di alcuni precetti, come l’amore per Iddio e per il prossimo, ma anche sul terreno di una medesima razionalità, grazie alla quale si è potuta rendere possibile l’interpretazione evolutiva- rispettivamente- della Torah, dei Vangeli, del Corano. Attualmente Il dilagare
K metro 0 – Roma – Le tre Fedi abramitiche si sono incontrate non solo nell’identità di alcuni precetti, come l’amore per Iddio e per il prossimo, ma anche sul terreno di una medesima razionalità, grazie alla quale si è potuta rendere possibile l’interpretazione evolutiva- rispettivamente- della Torah, dei Vangeli, del Corano.
Attualmente Il dilagare a livello mondiale del Coronavirus ha generato una serie di dibattiti a carattere epidemiologico, giuridico, economico e – last but not least– etico. Quest’ultimo va ricondotto ad una più ampia riflessione sul carattere stesso della sofferenza. Prendiamo le mosse dall’Ebraismo, con la domanda sul significato della sofferenza fisica e morale, della malattia e della morte nell’Ebraismo, partendo dall’Antico Testamento (“Tanakh”per gli ebrei). In relazione all’esegesi veterotestamentaria del Libro per eccellenza, l’Ebraismo ha costantemente avuto una concezione unitaria dell’Uomo, soggetto inscindibile nella sua dimensione spirituale e corporea, avente come centro il cuore, considerato idealmente come sede sia del sentimento che del volere. Alla luce di tale quadro di riferimento, ogni sofferenza del corpo è considerata strettamente interrelata con la dimensione etico- psichica, in una visione olistica che ci aiuta a comprendere perché grandi medici di fede ebraica siano al contempo profondi conoscitori delle sacre Scritture.
Questo è il retroterra culturale che supporta l’attuale impegno della sanità israeliana nello studio del vaccino contro il Coronavirus e che, per l’Italia in specie, ha determinato la sospensione delle cerimonie religiose all’interno delle sinagoghe di Roma “Nonostante la tradizione ebraica preveda obbligatoriamente la riunione di almeno dieci uomini per svolgere la preghiera, è necessario- ha precisato Ruth Dureghello, presidente della Comunità Ebraica di Roma – in questo momento rispettare le regole imposte dalle autorità per evitare la diffusione del nuovo Coronavirus”.
Nell’Islam Âbû Hamid âlGhazalî (1058-1111), grande maestro ed eminente filosofo islamico affermò che : «La malattia è una delle forme di esperienza tramite le quali gli uomini giungono alla consapevolezza di Dio”. Per la cultura islamica – laicamente ragionando- la sofferenza è la spia necessaria di una malattia o di uno squilibrio, utile al medico per la conseguente cura, come all’individuo per renderlo consapevole della propria fragilità umana, temprandolo in tal modo nello spirito ed elevandolo nella concezione dell’esistenza, vieppiù sotto il profilo etico.
In relazione al caso concreto del Coronavirus, l’Unione delle Comunità islamiche d’Italia ha ricordato che il Profeta in un hadith indicò che in caso di epidemie occorreva osservare l’auto-quarantena, affermando: “Se su una terra dovesse apparire un’epidemia, non andateci; e se vi trovate in essa non uscite da questa terra fuggendo”.
Coerentemente tutte le moschee e centri culturali, hanno disposto per contrastare l’epidemia del Coronavirus la chiusura dei propri centri su tutto il territorio nazionale, al fine di “contrastare il continuo proliferare del contagio ormai diffuso su larga scala”, includendo anche tutte le attività ordinarie e straordinarie, come le cinque preghiere, il Jumuaa, le prediche, le conferenze, le lezioni, le scuole domenicali ed ogni altra attività culturale, cultuale, conviviale o ludica”. Le uniche funzioni inderogabili sono i funerali e “la preghiera del gha’ib” che può essere svolta a porte chiuse in piccoli gruppi “rispettando il metro di distanza e muniti di mascherine evitando il più possibile il contatto diretto”. L’UCOI ha altresì comunicato che l’Associazione degli Imam e delle Guide Religiose in Italia ha già provveduto ad emanare “una fatwa(sentenza) circostanziata per questa emergenza per il rispetto delle disposizioni ministeriali che dispongono un metro di distanza per tutte le interazioni”.
Nel cattolicesimo venuta meno da tempo la tesi della malattia come “castigo divino” del peccato, si è venuta ad affermare massimamente con papa Francesco la concezione della malattia come condizione di cui prendersi cura non solo dal punto di vista clinico, ma nell’ottica di una guarigione umana integrale, che abbraccia” anche le dimensioni relazionale, intellettiva, affettiva, spirituale; e attende perciò, oltre alle terapie, sostegno, sollecitudine, attenzione … insomma, amore[..]Pertanto tutti gli operatori sanitari che agiscono per lenire la sofferenza , fanno”sentire la presenza di Cristo, che offre consolazione e si fa carico della persona malata curandone le ferite.” (Messaggio dell’11 .02.2020 per la Giornata mondiale del malato).
Per combattere il Coronavirus, la decisione di sospendere le cerimonie religiose onde evitare assembramenti pericolosi per la diffusione della malattia, è stata assai sofferta, anche per la progressiva rarefazione dei fedeli alla Messa domenicale. Tuttavia, preminenti esigenze di tutela della salute pubblica hanno portato il Santo Padre e la CEI a tale determinazione, senza pregiudizio per la salus animarum, assicurata attraverso la celebrazione televisiva dei Sacri Riti, come dalle preghiere, in una comunione ideale, ma non per questo men vera.
Duemila anni or sono Gesù stesso aveva dato la linea da seguire nei rapporti con il Potere civile: “Date a Cesare quel che è di Cesare, date a Dio quel che è di Dio”.
di Tito Lucrezio Rizzo