K metro 0 – Roma – Al Cinematografo – si sa – specie quando un film è di qualità, dopo qualche minuto già ci si può sentire sollevati e soli. Spesso gli occhi e la mente vengono rapiti dalla magia delle visioni proiettate sulla tela, che prende vita. Tutti possono ritrovarsi assorbiti e assorti in quel
K metro 0 – Roma – Al Cinematografo – si sa – specie quando un film è di qualità, dopo qualche minuto già ci si può sentire sollevati e soli. Spesso gli occhi e la mente vengono rapiti dalla magia delle visioni proiettate sulla tela, che prende vita. Tutti possono ritrovarsi assorbiti e assorti in quel grande schermo con cui si diventa un tutt’uno e che consente per un po’ di lasciare il resto fuori dalla Sala. Non si pensa che dietro – e dentro – anche una singola sequenza, si sta vedendo realizzato il risultato del lavoro, anche di ore e ore, di intere schiere di persone. Alcune sono menzionate alla fine, quando peraltro i più – e i più scioccamente frettolosi, come accade anche appena atterrano gli aerei – scattano sull’attenti come molle, pur essendo tutt’altro che attenti. La loro non è una standing ovation, ma un esito della frenesia di questi tempi di consumo, di superficialità, di apparenze. Come se ci si svegliasse di colpo da un sogno, catapultandosi giù dal letto, neanche ci si concede il piacere di un minimo tempo di decompressione, mentre tutto ciò riesce persino a far sentire in colpa, se si è fra i pochi che rimangono seduti. Il che è un peccato, soprattutto se si sta ascoltando anche una bella canzone come sottofondo. Si viene travolti dalla maggioranza degli spettatori, quelli che generano subito file fastidiose anche per loro stessi e che s’incanalano in processioni inutili, fiondandosi verso l’uscita e cercando di guadagnarla, come se qualche momento dopo non fosse più garantita. Non si curano affatto di quante curiosità possa esser ricco lo scorrere di quell’elenco: innanzitutto luoghi, musiche e persone. Senza contare che, oltretutto, ci penserà poi pure la televisione a tagliar via tutto.
Ci sono appunto altre persone, invece, il cui contributo all’opera filmica è non di rado sostanziale, che tuttavia in quella lista neppure compaiono, purtroppo e a volte magari si tratta proprio di quelle che hanno volenterosamente e valorosamente partecipato anche a più di un capolavoro.
Da qui l’idea encomiabile e originale di un film-documentario, a giusto titolo dedicato a rendere omaggio al loro altrimenti trascurato passaggio. Un atto di riconoscimento e di riconoscenza, per quei nomi ignoti anche ai cinefili appassionati.
“Eccoli. Questi che vedete sono gli artigiani che hanno fatto il Cinema… volti a me e a voi sconosciuti, ma che Fellini conosceva a uno a uno e ad ognuno aveva dato un soprannome affettuoso”, come descritto dalle parole del giornalista Paolo Frajese, nel commentare un frangente dei funerali del maestro. Il che, mentre la regia della RAI, nell’alternanza dai piani sul feretro ai campi totali della Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri, fra i visi celebri di attori a tutt’oggi indimenticati, andava tenuemente a inquadrare alcuni uomini di mezza età, per qualche istante. Fra di essi, discreto, in quella unanime commozione, figurava Antonio Spoletini.
Classe 1937, vanta di esser più vecchio persino di Cinecittà: “lei è di aprile, io di marzo”. È stato ed è tuttora un’istituzione di quella fabbrica di sogni a sud della Città eterna, della quale da quasi settant’anni è un vero e proprio pilastro. È l’ultimo baluardo rimasto, operoso, in quella che era l’attività instancabile di cinque affiatati fratelli trasteverini che, a partire dal dopoguerra, hanno avuto il talento di scovare le “facce giuste”. Quelle persone che a lui stanno a cuore e che ci tiene vengano chiamate “generici, figurazioni” e mai solo maestranze o comparse: “sono le mie attrici, i miei attori”. Fisionomie sincere, ripescate dalla autenticità della strada, dei rioni, delle borgate e che, per la complessa architettura di opere, anche internazionali, Spoletini ha saputo carismaticamente gestire e così offrire all’estro dei cineasti passati per la “Hollywood sul Tevere”. Si tratta di firme pregevolissime e di premi Oscar, che vanno da Visconti a Orson Welles, da Fellini a Bergman, da Pasolini a Scorsese, per citarne alcuni fra i più rappresentativi. Ha avuto il privilegio di chiamarli tutti per nome, dando loro del tu. Non si contano gli aneddoti da lui custoditi, compresi quelli su pregi, difetti, passioni, manie e tic di cotanti geni, sia nel loro privato, sia mentre lavoravano a titoli di culto, divenuti patrimonio collettivo. Oggi ottantaduenne, il romano D.O.C. afferma con un certo, motivato orgoglio: “Faccio prima a di’ con chi non ho lavorato!” e le foto a testimoniarlo sono di tutto rispetto. Il mitico Teatro 5, che abita dal 1951, è casa sua.
In Nessun nome nei titoli di coda (83’ – 1:85:1 – 23 ott. 2019), il protagonista è intento a recuperare una copia in pellicola a 35mm. di un gioiello di Fellini, da lui stesso cesellato nel 1972, accanto ai suoi fratelli e con un cast degno del gotha nostrano: Roma.
Da qui si svolge il pretesto per l’avvincente avvicendarsi di un carosello di immagini, di ricordi, di sentimenti e di emozioni: quelle universali, quelle di quando si scava nello scrigno delle memorie più care e il loro senso si fa così ancora più denso. Un pretesto per raccontare un uomo e, con esso, da un punto di vista del tutto inedito, la parte meno nota della Settima Arte, insieme all’evoluzione dei costumi e della società.
Oltre a Cinecittà e al Centro sperimentale di Cinematografia, i luoghi scelti per girare sono tra i più caratteristici della Capitale – da Trastevere a Fontana di Trevi – e fra gli interni c’è anche il prestigioso Studio privato del premio Oscar Dante Ferretti, che ha partecipato alle riprese, così come Anthony Hopkins, Jonathan Pryce e i registi Fernando Meirelles e Pupi Avati.
Il compito di rendere vivo questo susseguirsi di scene e di istantanee fra segreti e sotterranei, ombre e sfumature di una storia misteriosa e intrigante e il tempo presente, è del regista Simone Amendola. In oltre un anno, con una piccola troupe, ha pazientemente raccolto una suggestiva antologia narrativa, con taluni frammenti anche solitari e introspettivi. Il tutto è costruito e incorniciato nel contesto di un montaggio, frutto della certosina ricerca lungo le tracce di una disamina, tanto approfondita quanto interessante, di materiali di repertorio dell’Istituto Luce, delle Teche RAI, della Cineteca lucana e di Bologna. Rispetto al progetto iniziale, gli spunti d’archivio hanno però progressivamente ceduto il passo, per lasciare in primo piano la storia personale del suo attore fondamentale. Quell’uomo, reso non più invisibile, che fin da undicenne e da sempre, popolandoli con “la sua gente”, ha avuto il merito di contribuire all’anima e alla dimensione di lungometraggi memorabili e che finalmente ha un ruolo da protagonista, in questa convincente lettera d’amore.
L’ambiziosa e lungimirante produzione è a cura di Cristiano Sebastianelli per Hermes Production, realizzata con il sostegno e il patrocinio del MiBACT-Direzione generale Cinema.
Già ha avuto avvio una serie infinita di successi, tuttora in fieri. Sulla scia della miriade di entusiaste interviste radiofoniche e televisive e dei primi applausi alla XIV Festa del Cinema di Roma, sulla felice onda del Premio del Pubblico allo scorso Around International Film Festival (ARFF) di Amsterdam, delle nomination come Miglior documentario internazionale ai Fabrique du Cinéma Awards e al New York Cinematography Awards, del reportage di Arté France (trasmesso nei Paesi francofoni e in Germania), delle recensioni stellate (in Italia, Francia e Spagna) e di uno speciale su MicroMega, nonché con gli onori del Patrocinio di Fellini 100 e del più recente consenso riscosso alla proiezione istituzionale, voluta dalla Cineteca nazionale il 3 febbraio, presso la Casa del Cinema a Villa Borghese, per il più vasto pubblico romano la prima si terrà nello spazio confiscato alla mafia del Nuovo Cinema Aquila, giovedì 5 marzo alle ore 21. Con il regista e il protagonista, presenzieranno anche il direttore artistico della Sala, Mimmo Calopresti, nonché Marcello Fonte, attore reggino – con Dogman, nel 2018 già Migliore attore premiato a Cannes, ai Nastri d’Argento, all’European Film Awards… – che ha partecipato anch’egli al film, scoperto dallo stesso Spoletini e suo amico. Seguiranno le repliche di venerdì 6 e sabato 7 alle 19:30, per un viaggio che continuerà in diverse città italiane, con la distribuzione a cura della piattaforma Movieday.
Siamo fiduciosi che il film – come si su suol dire, più unico che raro e anzi diremmo già iconico – s’imprimerà in tutti coloro che lo vedranno. Per questa nuova gemma del cinema italiano, non resta dunque che da auspicare un prossimo futuro sempre più fortunato, anche oltreconfine, passando per la vivace oasi culturale del Kino di Berlino e arrivando chissà dove ancora. A questo ritratto mai ritratto prima d’ora, auguriamo quindi ad maiora.
Il Trailer: Nessun nome nei titoli di coda Trailer
di Fernando Rizzo