K metro 0 – Londra – L’Unione europea martedì ha consegnato al proprio negoziatore, Michel Barnier, un mandato per le trattative con la Gran Bretagna sull’accordo di libero mercato. Si prospetta quindi un duro scontro con Londra sulla richiesta di esportare verso il continente senza tener conto delle regole e delle normative del blocco. Le
K metro 0 – Londra – L’Unione europea martedì ha consegnato al proprio negoziatore, Michel Barnier, un mandato per le trattative con la Gran Bretagna sull’accordo di libero mercato.
Si prospetta quindi un duro scontro con Londra sulla richiesta di esportare verso il continente senza tener conto delle regole e delle normative del blocco. Le restanti 27 nazioni dell’Ue insistono che se il Regno Unito vuole arrivare all’intesa migliore possibile, dovrà aderire alla maggior parte di esse da quelle riguardanti gli aiuti statali agli standard ambientali. Non solo, le acque dovranno rimanere aperte ai pescherecci europei. Le posizioni di partenza sono distanti e lasciano intendere che le relazioni future potrebbero essere complicate come le negoziazioni – durate tre anni – sull’uscita stessa della Gran Bretagna dall’Unione.
Dopo varie bagarre politiche, le discussioni hanno infine portato a un accordo sui termini del divorzio. “Sarà dura come lo è stato negli ultimi tre anni” ha dichiarato Barnier. Londra ha accusato immediatamente l’Ue di aver fatto dietrofront sull’impegno a stringere un’intesa di libero mercato. Il portavoce del primo ministro Johnson, James Slack, ha spiegato come il blocco stia chiedendo al Regno Unito un “impegno oneroso”. “Non accetteremo di seguire le regole dell’Unione europea, come non ci aspettiamo che Bruxelles accetti le leggi britanniche”, ha dichiarato. Le negoziazioni dovrebbero iniziare già il prossimo lunedì, a un mese dalla Brexit, come fatto sapere dal governo britannico.
Nel frattempo, le previsioni ricavate da uno studio delle Nazioni Unite sulla futura situazione economica del Paese non sembrano sorridere. Le esportazioni dalla Gran Bretagna verso l’Unione europea potrebbero diminuire addirittura del 14% se le parti non dovessero concordare un accordo di libero mercato mentre se si dovesse trovare un’intesa andrebbero giù del 9%. Il settore agricolo, quello del cibo, del legno e della carta sembrerebbero i più’ esposti, come si legge nel resoconto che si è basato sui dati degli ultimi 25 anni. Un impatto meno evidente sul settore della moda, dei macchinari, dei prodotti metallurgici, chimici e tessili. Anche se dovesse venir fuori dalle negoziazioni un accordo commerciale “standard”, le esportazioni britanniche ne risentirebbero fortemente, visto che il mercato unico assorbe circa il 46% delle vendite all’estero. In uno scenario di no-deal, ancora possibile, anche le esportazioni dell’Irlanda verso il Regno Unito potrebbero crollare del 10%, risultato di misure che comprendano dazi e non. Da un lato, le esportazioni provenienti dai Paesi in via di sviluppo verso la Gran Bretagna e, in scala minore, nell’Ue potrebbero aumentare se Londra decidesse di non incrementare i dazi su stati terzi.
I mercati, intanto, continuano a subire l’impatto del coronavirus. Le azioni britanniche hanno registrato perdite martedì all’indomani di un crollo che non si vedeva da quattro mesi. L’aumentare dei casi al di fuori della Cina stanno alimentando le preoccupazioni circa i danni che l’epidemia possa portare all’economia mondiale. Le fabbriche cinesi che producono smartphone per tutto il mondo, quelle di giocattoli e di altri beni stanno facendo fatica a riaprire con quanto sta succedendo in questi giorni. Il Partito Comunista ha promesso aiuti, ciononostante secondo gli esperti potrebbero volerci addirittura mesi prima che la produzione possa tornare alla normalità. Il vero problema è nella catena di distribuzione – migliaia di aziende riforniscono, tra le altre cose, parti di auto, cerniere e microchip. La Cina è famosa per essere un Paese pieno di risorse ma le carenze di materia prima e di forza lavoro stanno rendendo il tutto più difficile. Le misure imposte per combattere l’epidemia hanno obbligato le fabbriche a chiudere e vietato l’accesso a città di più di 60 milioni di persone.