K metro 0 – Davos, Svizzera – La Francia ha deciso che rimanderà l’introduzione della tassa sui giganti della tecnologia come Google e Facebook. In cambio gli Stati Uniti hanno promesso di mettere in stand-by i dazi annunciati in risposta all’iniziativa francese. Si tratta di un segnale positivo, nonostante le tensioni sul commercio tra Usa
K metro 0 – Davos, Svizzera – La Francia ha deciso che rimanderà l’introduzione della tassa sui giganti della tecnologia come Google e Facebook. In cambio gli Stati Uniti hanno promesso di mettere in stand-by i dazi annunciati in risposta all’iniziativa francese. Si tratta di un segnale positivo, nonostante le tensioni sul commercio tra Usa e Unione europea siano sempre più palpabili.
Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, aveva minacciato l’Ue con dazi ancora più pesanti, come rivelato dal ministro dell’Economia francese, Bruno Le Maire ieri. Quest’ultimo ha negoziato la tregua insieme a Steven Mnuchin, a capo del dipartimento del Tesoro statunitense, a margine del World Economic Forum che si sta tenendo a Davos, in Svizzera. Le Maire ha spiegato che le imposte verranno rimandate a dicembre, congelando la questione fino alle prossime presidenziali degli Stati Uniti, dove Trump spera di ottenere un altro mandato di quattro anni. Le grandi compagnie tecnologiche hanno visto tassarsi del 3% i propri ricavi lo scorso luglio, scatenando l’ira di Washington, che ha proposto in risposta l’imposizione di dazi su svariati prodotti francesi. I due Paesi, circa un mese dopo, hanno concordato sulla necessità di arrivare piuttosto un accordo internazionale entro la metà del 2020. Tuttavia, nessuno era intenzionato a fare dietrofront su dazi e imposte. Fino a ieri, per l’appunto.
Sempre a Davos, Trump ha annunciato che verranno introdotte nuove restrizioni sul rilascio del visto per diversi Paesi. Sei nazioni sono state inserite in una bozza di lista, tuttavia se dovessero apportare delle modifiche prima dell’annuncio potrebbero non rientrarvi. Questo quanto riportato da Ap ieri. La lista di prova contiene al proprio interno Bielorussia, Eritrea,Kyrgyzstan, Myanmar, Nigeria, Sudan e Tanzania, secondo alcune indiscrezioni trapelate nelle ultime ore. Alcuni Paesi, però, si sarebbero già impegnati nell’apportare cambiamenti, adeguandosi così alle condizioni imposte. Tra le modifiche richieste: migliorie alla sicurezza frontaliera, la condivisione di informazioni identificative tra nazioni e maggiore sicurezza sui documenti di viaggio. Non è chiaro comunque quante nazioni finiranno effettivamente nell’elenco. Trump agli organi di stampa presenti a Davos ha spiegato che la misura è tesa a proteggere gli Stati Uniti. “Stiamo aggiungendo qualche stato”, ha dichiarato e poi ha aggiunto: “Dobbiamo rimanere sicuri. Il nostro dev’essere un Paese sicuro. Vedete cosa succede nel mondo. Per questo aggiungeremo qualche nazione tra quelle cui è vietato l’ingresso negli Stati Uniti”. Cinque delle nazioni presenti nella lista presentano una popolazione a maggioranza musulmana o con sostanziali minoranze musulmane. L’elenco attuale sospende il visto (per immigrati e non) per cinque nazioni: Iran, Libia, Somalia, Siria, Yemen, Venezuela e Corea del Nord.
Il direttore generale della World Trade Organization, Roberto Azevedo, intanto, ha rivelato l’esistenza di un dibattito a Davos sulle esenzioni finora concesse a Cina e India. Questi due Paesi sono ancora considerati “in via di sviluppo”, etichetta che non può ancora essere rimossa. Le sue parole sono arrivate poco dopo l’incontro con il presidente Usa Trump avvenuto in Svizzera. Il tycoon ha accusato l’organo del commercio di trattamento “sleale” contro gli Stati Uniti e ha imposto miliardi di dollari di dazi su beni cinesi, viste le presunte strategie messe in campo da Pechino. India e Cina per le normative del WTO rimarranno nella categoria attuale, essendo considerate non ancora competitive rispetto alle altre economie più avanzate. Per questo avrebbero bisogno di più tempo, di alcuni vantaggi procedurali e di più elasticità per rinforzare le esportazioni. Il dibattito su queste esenzioni è “un dialogo molto complicato e sensibile”, ha dichiarato Azevedo.