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Rassegna stampa internazionale. Tra le crisi di Libia e Iran, le questioni del lavoro in Europa

Rassegna stampa internazionale. Tra le crisi di Libia e Iran, le questioni del lavoro in Europa

K metro 0 – Parigi – Sebbene la Russia abbia aggravato il conflitto in Libia sostenendo l’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna) contro il governo di accordo nazionale di Tripoli, una stabilizzazione del paese è possibile “soltanto” con il presidente russo, Vladimir Putin. In questo modo, il quotidiano “Sueddeutsche Zeitung”, commenta gli ultimi sviluppi della crisi

K metro 0 – Parigi – Sebbene la Russia abbia aggravato il conflitto in Libia sostenendo l’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna) contro il governo di accordo nazionale di Tripoli, una stabilizzazione del paese è possibile “soltanto” con il presidente russo, Vladimir Putin. In questo modo, il quotidiano “Sueddeutsche Zeitung”, commenta gli ultimi sviluppi della crisi in Libia, dal cessate il fuoco nel paese mediato dai presidenti di Russia e Turchia, Putin e Recep Tayyip Erdogan, all’incontro dedicato alla situazione nel paese che il capo dello Stato russo ha avuto con il cancelliere tedesco Angela Merkel a Mosca nella giornata dell’11 gennaio scorso. Non a caso, quindi, durante la conferenza stampa con Putin seguita ai colloqui di Mosca, Merkel ha elogiato l’impegno di Russia e Turchia per raggiungere una tregua sia in Libia sia in Siria. Il cancelliere tedesco “ha, infatti, bisogno della benevolenza di Mosca e Ankara per il processo di pace in Libia”, in particolare per la conferenza internazionale sul paese che, sotto l’egida dell’Onu, la Germania intende organizzare prossimamente a Berlino. La riunione è “un passo positivo nella giusta direzione, sebbene siano necessari ancora dei lavori preparatori”, ha affermato Putin durante la conferenza stampa con Merkel. In questo modo, secondo l’emittente radiofonica “Deutsche Welle”, il presidente russo ha evidenziato il proprio appoggio alla conferenza di Berlino sulla Libia. La conferenza di Berlino sulla Libia si potrebbe tenere il 19 gennaio, i preparativi “sono in dirittura d’arrivo” ma le cose non sono ancora a uno stadio talmente avanzato da potere annunciare ufficialmente una data. A dirlo il portavoce del governo tedesco, Steffen Seibert, che ha indicato il 19 gennaio come una possibilità rispondendo a chi gli chiedeva di commentare la notizia riportata da Cnn Turk, secondo cui il presidente turco Recep Tayyip Erdogan si recherà in Germania domenica per partecipare alla conferenza. L’ufficio di Erdogan ha successivamente confermato la visita di domenica, senza tuttavia precisarne il motivo. “La conferenza di Berlino di certo non sarà la fine di nulla”, ma “potrebbe solo essere l’inizio di un processo più lungo ed essenzialmente deve essere certo che gli interessi libici siano in prima linea”.

In Francia i sindacati sono divisi dopo l’annuncio fatto l’11 gennaio scorso dal primo ministro, Edouard Philippe, sul ritiro provvisorio della “età di equilibrio”, misura contenuta all’interno della riforma delle pensioni che fissa a 64 anni la soglia necessaria per andare in pensione a tasso pieno. Lo scrive il quotidiano “Liberation”, parlando delle posizioni delle principali sigle nazionali. I sindacati riformisti favorevoli alla creazione di un sistema universale a punti hanno espresso soddisfazione per la mossa del governo. Tra questi c’è la Confederazione francese democratica del lavoro (Cfdt), che ha parlato di “vittoria”. Il sindacato continuerà il dialogo con il governo per trovare un’alternativa volta a finanziare il sistema pensionistico. Posizione radicalmente opposta rispetto a quelle della Confederazione generale del lavoro (Cgt), che parla di una “messa in scena”. Philippe nel messaggio inviato alle parti sociali ha chiaramente affermato che si prenderà le sue “responsabilità” nel caso in cui non verrà trovata una alternativa alla misura sull’età di equilibrio per finanziare il sistema pensionistico. In altre parole, il premier imporrà la sua scelta.

Non è stata una mossa dell’ultimo minuto: il generale iraniano delle Forze Quds dei Pasdaran era nel mirino degli Stati Uniti da 18 mesi. E, in particolare da maggio con l’escalation nel Golfo, l’intelligence americana lo aveva inserito nella lista dei possibili obiettivi da colpire come ritorsione. È quanto risulta da un lungo reportage del New York Times sui “sette giorni più pericolosi” dell’amministrazione di Donald Trump. Il 31 dicembre scorso, mentre migliaia di manifestanti iracheni prendevano d’assedio l’ambasciata americana a Baghdad, portando alle stelle l’irritazione del capo della Casa Bianca, ha cominciato a circolare una “nota top-secret” firmata da Robert C. O’Brien, il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, che elencava i potenziali obiettivi iraniani da colpire. Nella lista vi erano una struttura energetica, un comando e nave di controllo usata dalle Guardie Rivoluzionarie per dirigere piccole imbarcazioni che attaccavano le petroliere nelle acque intorno all’Iran. Il memorandum elencava però anche un’opzione più provocatoria: colpire determinati funzionari iraniani con raid chirurgici. Tra gli obiettivi citati, secondo i funzionari che hanno potuto vedere la nota, c’era Abdul Reza Shahlai, un comandante iraniano nello Yemen che aveva contribuito a finanziare gruppi armati in tutta la regione. E un altro nome nell’elenco: il generale Qassem Soleimani. Come capo della forza d’élite Quds, il generale Soleimani era effettivamente il secondo uomo più potente in Iran e aveva una mano nella gestione delle guerre per procura in Iraq, Siria, Libano e Yemen, inclusa una campagna di bombe lungo la strada e altri attacchi che uccisero secondo le stime Usa 600 soldati americani al culmine della guerra in Iraq.

Ue: Danimarca, Svezia e Finlandia contro salario minimo europeo. Danimarca, Svezia e Finlandia si oppongono alla proposta della Commissione europea per l’introduzione di un salario minimo obbligatorio nell’Ue. Come riferisce il settimanale “Der Spiegel”, i tre paesi, dove le retribuzioni dei lavoratori sono elevate, temono che l’iniziativa possa minare i propri modelli di contrattazione collettiva e abbassare i salari. Il governo danese ha quindi redatto una dichiarazione in cui afferma che il proprio sistema di contrattazione collettiva sarà esente da qualsiasi normativa europea in materia di salari. Stoccolma ed Helsinki si sono prontamente associate a Copenhagen. Il ministro del Lavoro danese, Peter Hummelgaard, ha affermato di impegnarsi affinché “quanti vengono retribuiti di meno in Europa ottengano salari più elevati”. Tuttavia, ha aggiunto il ministro del Lavoro danese, “per raggiungere questo obiettivo, le tradizioni nazionali e i modelli salariali ben funzionanti dovrebbero essere rispettati”. A tal riguardo, Hummelgaard ha ricordato che, “in Danimarca, i salari vengono negoziati esclusivamente tra sindacati e organizzazioni dei datori di lavoro, da più di 100 anni”. Come osserva “Der Spiegel”, tra i 28 Stati membri dell’Ue, soltanto Italia, Austria, Danimarca, Svezia, Finlandia e Cipro non hanno un salario minimo obbligatorio. Il governo spagnolo, a sua volta, cerca un accordo sul salario minimo con sindacati e datori di lavoro, come prima mossa per l’avvio dell’attività dell’esecutivo. Lo scrive il quotidiano spagnolo “El Pais“, osservando che il governo di Madrid vuole iniziare con misure progressiste, ma con una certa “misura”. Dopo la sfida più difficile, quella della fiducia, al nuovo esecutivo spetta ora il compito di governare. Dopo l’avvio di oggi e il primo Consiglio dei ministri atteso per domani 14 gennaio, il governo di Pedro Sanchez è consapevole che i primi giorni di attività “contano molto” sul piano della comunicazione. Anche per questo, riferiscono fonti di Psoe e Podemos a “El Pais”, i partiti che formano l’esecutivo vorrebbero raggiungere un accordo con imprenditori e sindacati per una misura chiave come l’aumento del salario minimo. Tuttavia, si prevede che l’incremento sarà moderato, dal momento che lo scorso anno lo stipendio minimo è stato aumentato del 22 per cento, raggiungendo i 900 euro al mese. Difficile, osserva “El Pais”, che la nuova soglia arrivi ai mille euro.

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Joseph Villeroy
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