K metro 0 – Milano – Attesi per fine gennaio gli sviluppi diplomatici che potrebbero portare alla liberazione del nostro connazionale condannato all’ergastolo in Florida senza alcuna prova per un omicidio mai commesso Bisognerà aspettare almeno la fine del mese di gennaio per avere nuovi sviluppi diplomatici sottesi alla liberazione di Chico Forti, il nostro
K metro 0 – Milano – Attesi per fine gennaio gli sviluppi diplomatici che potrebbero portare alla liberazione del nostro connazionale condannato all’ergastolo in Florida senza alcuna prova per un omicidio mai commesso
Bisognerà aspettare almeno la fine del mese di gennaio per avere nuovi sviluppi diplomatici sottesi alla liberazione di Chico Forti, il nostro connazionale detenuto da 20 anni in un carcere della Florida senza uno straccio di prova per l’omicidio di Dale Pike. Un caso di malagiustizia americana ormai noto in tutta Italia grazie alle recenti puntate televisive del programma Le Iene su Italia1 che hanno indagato a fondo sulla vicenda e intervistato Chico in carcere lo scorso dicembre. Un uomo visibilmente provato e allo stremo, dopo tanto tempo trascorso ingiustamente in una cella. Prima delle Iene, in verità, uno speciale trasmesso a maggio dalla CBS nel programma 48 Hours aveva riacceso i riflettori sul caso, a livello internazionale.
“A tutti i sostenitori di Chico che ci seguono e chiedono perché non si fanno azioni immediate presso il governo, rispondiamo quanto ci hanno detto ufficialmente, e cioè che faranno i passi necessari presso le autorità americane preposte in breve tempo. Quindi lasciamoli agire per il tempo necessario per portare avanti quest’azione diplomatica”. Queste le parole postate sulla pagina “Chico Forti Free” dallo zio di Chico, Gianni Forti, 77 anni (fratello del padre di Chico, Aldo, deceduto subito dopo la condanna all’ergastolo del figlio, nel 2000) e dalla compagna Wilma. Che hanno concluso il post sul social network con la seguente ipotesi: “Pensiamo che almeno fino alla fine di gennaio dobbiamo aspettare gli sviluppi dei contatti fra il governo e l’avvocato di Chico”.
Interpellato da Kmetro0 durante le festività natalizie, Gianni Forti, ci ha rivelato che i “primi dieci anni dalla carcerazione di Chico li abbiamo spesi nel tentativo di revisione del processo, i secondi dieci a vedere se avvocati e politici mantenevano le promesse. E sì, perché ogni volta ci rispondevano che il caso Forti era una priorità del Governo. Ma l’unico ad occuparsene in maniera decisa e concreta in verità fu Giulio Terzi di Sant’Agata, ministro degli Esteri dal 17 novembre 2011 fino al 26 marzo 2013. Fu lui a metterci in contatto con l’ambasciatore italiano a Washington e a dare anche un aiuto economico per mio nipote. E sono sicuro che l’avrebbe riportato in Italia se non si fosse dimesso in opposizione al governo che fece rientrare in India i marò italiani fatti tornare nel nostro paese proprio da lui”. Di Chico Forti hanno parlato Renzi, Alfano, la Bonino, la Mogherini stessa, ma nessuno di loro ha mai avviato una forte azione diplomatica in favore del nostro connazionale. Una sorta di “muro di gomma”, dunque. O forse un veto a parlarne in sede istituzionale? Una nostra fonte, che preferisce rimanere anonima, ci ha, infatti, rivelato che di recente ha ottenuto questa risposta in un incontro a Roma: “Pare che il caso Forti non debba essere sostenuto dalle istituzioni italiane”. Ecco perché l’eco mediatica è così importante per dare una forte scossa, magari risolutiva.
Joe Tacopina, nuovo avvocato (con forte propensione mediatica) di Chico Forti è riuscito difatti a convincere CBS 48 Hours a occuparsi del caso. “E quando un media americano d’importanza e credibilità indiscussa del genere si schiera a favore di un caso di malagiustizia, è preso in considerazione; molti casi trattati sono stati risolti anche grazie al loro intervento” commenta Roberto Fodde, uno degli amici più vicini a Chico, di origine sarda, laureato in legge e trapiantato a Miami da 29 anni. Uno che ha il senso della giustizia nel sangue, poiché è figlio di un magistrato, procuratore della Repubblica a Nuoro, e Presidente del Tribunale di Cagliari e magistrato di Cassazione sino al suo decesso nel 1980. Roberto, negli States è diventato tuttavia un filmaker come Chico, sebbene dedito di più a documentari, reality show, fotografia e film. Parliamo di un connazionale emigrato negli States che è andato a trovare in carcere Chico più di 250 volte in questi ultimi quindici anni e che si è offerto da subito a collaborare alla ricerca della verità, approfittando della sua dimestichezza a discutere con legali, investigatori, polizia, e a muoversi nei meandri dei fascicoli d’interrogatori, testimonianze, referti, documenti. Un altro degli amici più fedeli di Chico, sostenitori della sua innocenza e scarcerazione, è Alberto Tarsitani, 58 anni, residente a Catanzaro, che ha creato sempre su Facebook nel dicembre 2008 il gruppo “Chico Forti: un innocente condannato all’ergastolo”, gruppo che conta circa 26mila adesioni in tutta Italia. “Lo incontrai nel 1989 per il Campionato italiano catamarani Dart 18, di cui ero uno degli organizzatori, che si tenne nel Golfo di Squillace. Era bravissimo nel windsurf ma meno col catamarano, difatti perse, ma scherzò in maniera goliardica sulla sconfitta, rivelandosi davvero un amicone. L’anno successivo, nella stessa competizione vinse, sul Garda, in coppia con Alberto Ducati. Poi ci perdemmo di vista, e solo otto anni dopo appresi sul sito del Club velico Albaria del resoconto del suo processo, assurdo”. Tarsitani, ex funzionario di Confagricoltura, è tuttavia il compagno di Bianca Laura Granato, senatrice del Movimento 5 Stelle, capogruppo per l’istruzione. “Ho avuto modo di parlare con i suoi colleghi che si occupano di esteri ma non ho avuto ancora riscontri. Alla Vigilia di Natale ho però inviato un messaggio whatsapp a Luigi di Maio, ricordandogli che c’è un italiano che non festeggia più il Natale da vent’anni, e non mi ha ancora risposto”.
Tuttavia, lo stesso nostro ministro degli Esteri Luigi Di Maio, lo scorso novembre, alla Camera dei deputati, aveva dichiarato: “con la nostra ambasciata a Washington stiamo valutando un passo presso il governatore dello Stato della Florida per perorare misure a favore di Chico Forti che portino al suo rilascio”. Insomma, l’intenzione del governo è di tenere aperte tutte le tre strade percorribili: oltre alla grazia, quella della revisione del processo, più lunga e incerta, e la possibilità di far tornare Chico da detenuto”. Possibilità quest’ultima non gradita a Chico, che si è sempre proclamato innocente e confermata dallo zio Gianni: “Noi come famiglia, i suoi famigliari e amici vogliono che Chico torni in Italia a testa alta da persona libera”. Interessante tuttavia quel che ci ha rivelato Roberto Fodde, con un’analisi approfondita delle soluzioni più probabili.
“Da anni sono convinto che questo caso di Chico si possa solamente risolvere con un forte intervento diplomatico e politico italiano senza pretendere di reistruire un processo impossibile (come Mission Impossible) a causa di tutti gli errori e mancanze commesse che salirebbero alla luce e comporterebbero altre conseguenze penali e disciplinari che non vogliono essere messe in atto. Ma occorre che noi come Stato italiano siamo decisi a portarcelo a casa, una semplice richiesta tramite i media o scambio epistolare non porta a nessun risultato”.
Una strada potrebbe essere la richiesta di grazia al Governatore. “Il quale ha il potere, essendo questa una condanna statale, di concedere grazia e commutazione della pena. In Florida, California e Texas questo non succede da lungo tempo, ma in altri Stati come Wisconsin, Illinois e altri, è normalmente applicata. Una grazia speciale, dunque, che è applicata quando si ammette che è stato commesso un grave errore giudiziario e che riaprire il processo porterebbe a conseguenze economiche e d’immagine che sarebbe meglio evitare. In questo caso il governatore converte la sentenza di Life in Prison in un Time served (cioè dando il termine di aver scontato già la pena) e la liberazione è immediata. Non è riconosciuto innocente ma è libero e si evita che il detenuto possa chiedere un risarcimento o tentare di riaprire un processo per essere dichiarato innocente. Questa richiesta è molto delicata e deve essere documentata da parte degli avvocati con le supposte evidenze del Miscarriage of Justice (aborto di giustizia)”.
Altra possibilità sarebbe lo scambio di prigionieri o Swap. “Lo stesso Presidente Sergio Mattarella ha concesso la grazia a tre agenti della Cia senza chiedere niente in cambio, magari possiamo farlo noi ora con Chico”?
Chico potrebbe infine rientrare in Italia con la Convenzione di Strasburgo che permette ai detenuti in paesi stranieri di avere la sentenza commutata in una equivalente del proprio paese. Questa soluzione è la più utilizzata perché non mette in discussione la sentenza americana, ma anzi la conferma ratificandola nel nostro paese, ed evita una qualsiasi richiesta d’indennizzo. “E’ tuttavia un processo abbastanza lungo e complicato che può incepparsi ed essere rigettato in vari punti – commenta Fodde -; Chico arriverebbe come condannato all’ergastolo in un Paese come il nostro, dove l’ergastolo non è più applicato, giacché ha un sistema penitenziario che crede nella riabilitazione. Chico ha difatti già scontato venti anni in carcere più sei di “Gain Time”, un calcolo di buona condotta e altri meriti che lo porta a ventisei anni scontati. Tutti dicono, dai politici ai legali in Italia, facciamolo rientrare e poi lo liberiamo subito perché qui ventisei anni non li scontano neanche i peggiori assassini! Ma chi ci garantisce che l’America non ponga poi delle condizioni restrittive? Nel 2000, anno della Condanna di Chico, l’ex brigatista Silvia Baraldini fu estradata in Italia proprio con questa legge e gli americani posero come condizione che doveva restare in carcere sino al 2008. Noi italiani l’andammo a prendere con aereo di Stato, ricevuta come un’eroina e liberata immediatamente con la scusa di un problema di salute. Gli americani crearono un incidente diplomatico bloccando per dieci anni tutti i possibili trasferimenti. La mia domanda è, dunque la seguente: se questa del trasferimento da carcerato fosse l’unica strada possibile dopo un eventuale rifiuto da parte del Governatore di concedere una commutazione di sentenza o il rifiuto a fare uno scambio di prigionieri, allora patti e condizioni del rilascio di Chico in Italia dovranno essere concordati prima dalle nostre autorità onde evitare problemi diplomatici o addirittura, visto il timore reverenziale che abbiamo nei confronti degli Usa, di subire imposizioni che vanno contro il nostro sistema penitenziario e il relativo principio di reinserimento nella società. In poche parole, se lo lasciano venire in Italia e ci lasciano la facoltà di gestire la sua condanna al 100 per cento secondo le nostre leggi, ben venga! Poi la sua innocenza la proverà lui stesso con i media, ma almeno esce fuori per sempre da questo incubo”!
Cosa succederà ora? Sia Gianni Forti, sia lo stesso Fodde invocano la formazione di una commissione- delegazione mista composta dalla nostra diplomazia capitanata dal ministero degli Esteri Luigi Di Maio, da Riccardo Fraccaro, sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, dal presidente Mattarella (che ha già incontrato Trump di recente) e deputati come Emanuela Corda, da sempre vicini al caso, Michela Rostan, e soprattutto, l’ex ministro Terzi, che conosce tutti gli sviluppi difficili e delicati di questa trattativa. Delegazione affiancata dalla presenza di Joe Tacopina che presenterà una minuziosa relazione (non i filmati di Cbs, Le Iene, libri) legale tesa a illuminare i vari punti cruciali di questo errore della giustizia statunitense e varie prove a supporto, cercando di trovare la soluzione migliore in nome delle ottime relazioni che intercorrono da sempre fra l’Italia e l’America.
“La soluzione per me più rapida è la commutazione della pena da parte del Governatore della Florida” conclude Fodde. Chissà che non sia davvero questa la soluzione.
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