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Cyberwar, nella prossima guerra il nemico sarà segreto

Cyberwar, nella prossima guerra il nemico sarà segreto

K metro 0 – Roma – “Nella prossima guerra non si riuscirà a capire neppure chi è il nemico” scrive un esperto di “minacce ibride” nel rapporto annuale preparato dal ministero della difesa tedesco. Gli fa eco il colonnello Nicola Cristadoro, bersagliere, una vita nell’intelligence italiana, che prefigura scenari di “total chaos warfare”. La pensano

K metro 0 – Roma – “Nella prossima guerra non si riuscirà a capire neppure chi è il nemico” scrive un esperto di “minacce ibride” nel rapporto annuale preparato dal ministero della difesa tedesco. Gli fa eco il colonnello Nicola Cristadoro, bersagliere, una vita nell’intelligence italiana, che prefigura scenari di “total chaos warfare”. La pensano allo stesso modo anche al di là di quella che, un tempo, era la cortina di ferro, nelle stanze segrete del Cremlino, dove lo stratega di Putin, il generale Gerasimov teorizza quanto poi è stato messo in pratica in Cecenia come in Siria: “In quegli scenari operano forze speciali, mercenari, gruppi civili su base etnica, organizzazioni criminali e una potente rete di cyberwar incaricata di sviluppare azioni devastanti in campo economico, infrastrutturale, culturale”. Al Pentagono e nella Città Proibita si affinano da anni le nuove strategie belliche. Correva il 1990 quando a Pechino fu pubblicato lo studio dei colonnelli Liang e Xiangsui dell’Esercito popolare di Liberazione, in cui si fa accenno per la prima volta a una forma di conflitto denominata “guerra senza limiti”, uno scontro privo di regole, che opera in ogni area possibile e che prevede di interferire con ogni aspetto della società del nemico, militare o civile che sia. In pochi mesi quel volume è diventato il vangelo su cui studiano le generazioni di alti ufficiali di ogni parte del pianeta.

La prima regola che le nuove leve imparano è che non ci sono confini e, pertanto, non esistono zone esenti da rischi. Qualsiasi società complessa trova proprio nella sua interconnessione la propria vulnerabilità. Il sistema informatico delle banche, quello che regola gli acquedotti e gli ospedali, i sistemi Gps di missili e di aerei, le comunicazioni riservate tra capi di stato, le cabine di comando di navi e treni, tutto è violabile o, comunque, può diventare target da disarticolare. Per non parlare dei social, ormai affollati da troll e fake.

Il Consiglio Europeo ha emanato numerose direttive agli stati membri perché si alzi il livello di difesa. “I singoli stati si stanno attivando con grande impegno e siamo soddisfatti” commenta Tytti Tuppurainen, il ministro finlandese che segue in prima persona l’argomento. “Tuttavia – ha aggiunto Tuppurainen – bisogna avere un approccio globale con maggiore cooperazione e coordinamento”.

Una priorità chiave è “la protezione delle infrastrutture critiche nazionali ed europee”, scrive in un documento la Consiglio Ue. In questo quadro si inserisce anche la necessità di sviluppare tecnologie made in Ue , quale la creazione e diffusione del super-computer che rispetti i parametri di calcolo ad alte prestazioni (HPC). Ben 21 Paesi europei stanno oggi lavorando insieme al progetto che dovrebbe vedere la luce nel corso del 2020.

La questione tempo non è secondaria. Gli scenari geopolitici sono in continua evoluzione e le interferenze ostili via informatica sono all’ordine del giorno. Il Centro militare di studi strategici di Roma aggiorna continuamente i propri archivi e studia le contromosse.

Due casi sono divenuti paradigmatici per capire gli effetti devastanti di un cyber-attacco. Il primo riguarda il sofisticato virus Stuxnet, che mise fuori gioco l’impianto nucleare iraniano, penetrando nel sistema attraverso una banale chiavetta Ubs, probabilmente usata da un ingegnere che lavorava alla centrale atomica. Ovviamente non è possibile dimostrare chi abbia preparato il piano, ma i sospetti gravano su Usa e Israele.

L’altra azione da manuale ha riguardato la rete elettrica dell’Ucraina nel dicembre 2015, quando il blackout paralizzò l’intera nazione. Era accaduto che un operatore in remoto aveva preso il controllo della rete attraverso un malware chiamato – con scarsa fantasia – “BlackEnergy” che, una volta fatto il suo lavoro, ha prodotto un secondo virus col compito specifico di distruggere gli hard disk infettati e cancellare quindi le tracce dell’intrusione. Anche questa volta non si è mai risaliti ai mandanti, ma gli ucraini giurano sia stata la Russia.

La diffusione degli attacchi informatici è destinata a crescere e intensificarsi anche per un motivo molto semplice: costano pochissimo e ottengono grandi risultati. Il professor Carlo Scuderi, del Center for cyber Security and international relation che segue questi argomenti all’Università di Firenze, calcola che una cyber-guerra verrebbe a costare quanto il battistrada di un carrarmato. Basta avere le competenze scientifiche adatte, cioè un centinaio di geni dell’hackeraggio, giovani smanettoni seduti comodamente in un ufficio di qualche base top-secret. Come fosse un innocente videogioco. Start the game.

 

di Andrea Lazzeri

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