K metro 0 – Zagabria – In questa domenica prenatalizia, la piccola Croazia vota per eleggere il nuovo presidente della repubblica. Fino a un anno fa le previsioni erano abbastanza chiare e tutti davano per scontata una partita a due, tra il centrodestra capeggiato dal premier uscente Kolinda Grabar Kitarovic, e i socialdemocratici guidati da
K metro 0 – Zagabria – In questa domenica prenatalizia, la piccola Croazia vota per eleggere il nuovo presidente della repubblica. Fino a un anno fa le previsioni erano abbastanza chiare e tutti davano per scontata una partita a due, tra il centrodestra capeggiato dal premier uscente Kolinda Grabar Kitarovic, e i socialdemocratici guidati da Zoran Milanovic. Ora i sondaggi si sono fatti più incerti e le teste d’uovo degli istituti demoscopici non si sbilanciano per paura di far brutte figure.
Tutta colpa del terzo incomodo, Miroslav Skoro, ugola d’oro dei canti tradizionali, populista con forti simpatie nell’estrema destra. Il cantante, divenuto deputato, inquieta questo spicchio d’Europa che si affaccia sull’Adriatico per il suo sovranismo spinto, talmente radicale da strizzare l’occhio ai nostalgici degli Ustascia.
Il tradizionale sistema elettorale a doppio turno, basato sul consolidato bipolarismo, vacilla in questa competizione a tre i cui esiti avranno immediate ripercussioni a Bruxelles. Tra poche settimane, infatti, Zagabria assumerà la presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea ed avrà, pertanto, tutti gli occhi puntati addosso.
È un aspetto – stando agli opinionisti – che sembra non interessare molto i quattro milioni di croati alle prese con problemi dagli effetti immediati. In primo luogo, il rispetto del patto di stabilità che, dal 2005, ha coinvolto anche loro in una marcia forzata verso l’ingresso nella Ue avvenuta nel 2013. Un percorso caratterizzato da rigide regole di bilancio e manovre di austerità. Musica già sentita anche in altre regioni europee, quali Portogallo, Spagna e – con ben diversa drammaticità – Grecia. Le statistiche economiche raccontano che il Paese sta crescendo. L’esclusione sociale e la povertà calano da anni, il reddito medio cresce (il doppio di quello della Bosnia e della Serbia) ma gli stipendi medi restano bassi (sotto i mille euro). I cittadini sono insoddisfatti e non sembra si lascino consolare dalle statistiche macroeconomiche.
Uno dei più sensibili e stimati osservatori del “sentiment” nazionale è il professor Paul Stubbs, sociologo dell’Institute of Economics di Zagabria che già un anno fa commentava così la situazione sulle colonne dell’Osservatorio Balcani e Caucaso: “Essere una parte di un singolo spazio europeo è un vantaggio: niente più visti e problemi di viaggio. La libertà di movimento è chiaramente importante. Inoltre, grazie all’UE, in Croazia si parla più di antidiscriminazione, uguaglianza di genere e diritti LGBT di quanto non si facesse in precedenza. Questo è un beneficio tangibile. Il negativo è che la governance europea è governance economica; non è sociale né politica. Mira ad evitare lo scenario di Portogallo, Italia, Spagna e, soprattutto, Grecia. Questa rigida politica di riduzione del debito e austerità ha davvero danneggiato i cittadini, il che significa che l’occupazione è stata molto lenta nel riprendersi dalla crisi e c’è stato un aumento dei posti di lavoro precari e temporanei. L’ulteriore aspetto negativo è che, nel momento in cui la Croazia è entrata nell’UE, è iniziata la regressione. Ora fondamentalismo religioso, intolleranza, omofobia, sciovinismo, revival patriarcale, sono tornati in scena e con furore”. Il punto critico agitato dalle destre anche qui è rappresentato dagli immigrati, il cosiddetto corridoio balcanico. Qui i diritti umani sono quotidianamente rinnegati. Il dramma non è sfuggito all’Unione Europea che recentemente ha inviato una delegazione di osservatori nel girone dell’inferno vicino a Bihac, il campo di Vucjak, in Bosnia ma al confine con la Croazia. In una discarica dismessa, sono ammassati i rifiuti dell’umanità, migliaia di persone esposte al freddo e alle malattie, circondate dall’ostilità dei villaggi vicini. Da lì è difficile scappare: i terreni furono minati durante la guerra dei Balcani.
Domenica 22 dicembre si vota. Se nessuno supera il 50%, i candidati che avranno raccolto più consensi andranno al ballottaggio il 5 gennaio 2020. Giusto in tempo per il vincitore di diventare, in un colpo solo, presidente della Croazia e presidente del Consiglio dell’Unione Europea.
di Andrea Lazzeri