K metro 0 – Roma – La disponibilità quotidiana che si ha, di beni e servizi, porta spesso a non valutare la reale portata che gli stessi abbiano nel normale corso sociale ed antropologico di ogni essere umano, sottovalutandone o dandone per scontata la sua esistenza. È il caso, per esempio, del bene idrico dell’acqua
K metro 0 – Roma – La disponibilità quotidiana che si ha, di beni e servizi, porta spesso a non valutare la reale portata che gli stessi abbiano nel normale corso sociale ed antropologico di ogni essere umano, sottovalutandone o dandone per scontata la sua esistenza.
È il caso, per esempio, del bene idrico dell’acqua che primario e fondamentale ruolo svolge, per l’esistenza e sopravvivenza del genere umano.
Un bene molto spesso sottovalutato e addirittura messo in pericolo, nella sua fondamentale funzione di “motore e carburatore” della vita, e che ad oggi risulta essere uno dei beni e servizi più oggetto di contese, guerre ed interessi economici.
Ma per approfondire meglio la questione, abbiamo lasciato a Rosario Lembo, Presidente del Comitato Italiano per il Contratto Mondiale sull’acqua, il compito di illuminare le conoscenze e coscienze, su di un bene, ad oggi, per importanza di continuazione della vita, di pari grado all’importanza dell’aria che respiriamo.
Presidente parlando di diritti umani, e di acqua che è un bene primario. Il monopolio privatistico è un concetto da rivedere a suo avviso dal punto di vista sociale ed economico?
L’acqua oltre ad essere un bene primario, in quanto fonte di vita, dal luglio 2010 con l’approvazione di una risoluzione ONU è stata riconosciuta dalla comunità internazionale, a distanza di 62 anni dalla Dichiarazione universale, come un diritto umano, universale, autonomo e specifico, presupposto per l’accesso a tutti gli altri diritti umani universali.
La visione dell’acqua come fonte di vita per ogni essere vivente, cioè come bene comune dell’umanità e quindi pianeta Terra e come diritto umano universale implica necessariamente una rivoluzione, fino ad oggi non accertata in primis dagli Stati, alternativa a quella oggi dominante che considera l’acqua una merce, una risorsa economica. L’acqua in quanto bene pubblico demaniale è soggetta alla sovranità nazionale a livello di governance e viene affidata in gestione, per scelta politica, alle regole del libero mercato e della finanza, quindi all’efficienza gestionale di società di capitale o a multinazionali che hanno come scopo il profitto.
Quale base giuridica internazionale sancisce che le sorgenti idriche siano privatizzate e commercializzate?
Il carattere di soft-law, cioè non vincolante delle risoluzioni dell’Onu per gli Stati e delle varie convenzioni internazionali associate all’assenza di un’Autorità Mondiale sovranazionale a tutela dell’acqua come bene comune dell’umanità e come diritto umano universale, consentono che il governo mondiale dell’acqua sia di fatto affidato ad una struttura privata, il Consiglio Mondiale dell’acqua. Finanziato dalle principali imprese multinazionali il governo dell’acqua e le politiche di gestione sono affidate ai portatori di interesse attraverso il Forum Mondiale dell’acqua che viene organizzato ogni tre anni. I diritti umani e la gestione dei beni comuni, cioè dei beni che la natura o madre terre mette a disposizione dell’uomo, sono competenza e obbligazione a carico degli Stati, in funzione del principio della sovranità nazionale. Questo potere discrezionale degli Stati, in assenza di un quadro giuridico vincolante e di una Autorità sovranazionale a difesa dei diritti dell’ambiente consente che agli Stati di affidare attraverso contratti di concessione d’uso, il prelievo e lo sfruttamento delle risorse idriche o delle sorgenti a strutture pubbliche o private. Il paradosso in Italia, come in molti Paesi, è che l’acqua nonostante sia un bene pubblico a livello di sfruttamento delle sorgenti può essere affidata in concessione a privati e regolamentata, nel caso con una legislazione che equipara il prelievo dell’acqua di sorgenti a quella delle estrazioni minerarie dal sottosuolo. Chi ottiene in concessioni sorgenti idriche per imbottigliamento o usi produttivi spesso non paga in funzione dell’acqua prelevata né partecipa ai costi dell’impatto ambientale (plastica, depurazione, etc)
Sullo scarseggiamento idrico, quali saranno le applicazioni dei progetti di desalinizzazione e quali saranno i costi sulla collettività? Rimarranno sotto la gestione delle multinazionali?
L’opzione di puntare sui processi di desalinizzazione per rispondere alla crescita della domanda di acqua costituisce una falsa risposta alla criticità di come far fronte alla scarsa disponibilità di acqua dolce. I costi di questi processi per produrre acqua dolce sono alti rispetto al prezzo a metro cubo, a forte impatto ambientale e presentano problemi di criticità sul piano della sicurezza degli impianti di stoccaggio dell’acqua depurata prima della immissione in rete.
Se si pensa di affidare solo all’innovazione tecnologica e quindi all’efficientismo degli attori privati che operano sui mercati, la ricerca di soluzioni con cui fa fronte alla crescente rarefazione dell’acqua dolce disponibile e alla crescita della domanda di acqua si rischia di creare le condizioni per nuove guerre dell’acqua, dato che il controllo e la disponibilità di queste tecnologie è nelle mani di pochi soggetti. Il modello gestionale attraverso processi di desalinizzazione applicata in Israele docet. Se l’acqua è un diritto umano universale è dovere di ogni Stato di garantire ai propri cittadini l’accesso all’acqua come diritto umano e fissare le regole per condividere in termini di universalità e solidarietà le risorse idriche localmente disponibili.
L’acqua scarseggia o invece c’è uno spreco? O invece c’è una gestione di poteri?
L’acqua dolce, cioè quella utilizzabile per usi umani e produttivi scarseggia per effetto della crescita sia della domanda per uso umano (crescita demografica), per l’incremento degli usi produttivi, si pensi alla crescita delle produzioni agricole ad alta intensità produttivo e quella idroelettriche attraverso processi di water–grabbing, ma soprattutto per i livelli di inquinamento. A livello di usi si pensi agli sprechi domestici di acqua resa potabile ed utilizzati per i servizi igienici o per utilizzata per la pulizia delle strade, i servizi antincendio, l’irrigazione dei giardini pubblici. Ma accanto ai fattori legati ai nostri stili di vita e di produzione del cibo vi è la visione che considera l’acqua una merce, una risorsa che può essere consumata, utilizzata, inquinata. Ad incrementare la scarsità dell’acqua concorrono però i livelli crescenti di inquinamento ambientale determinati dai cicli di produzione dell’agricoltura e della industria, anche in funzione del fatto che il principio chi inquina paga non viene applicato agli usi produttivi ma solo a quelli legati al consumo umano. Il risultato è che il ciclo naturale dell’acqua non è più in grado di mettere a disposizione la quantità di acqua dolce che oggi viene consumata.
Quanto importante e come il coinvolgere i giovani per contribuire un futuro migliore?
Le generazioni che si sono succedute dal Novecento ad oggi hanno la responsabilità di aver sposato un modello di sviluppo ed una cultura che, in nome della crescita economica e del benessere individuale e collettivo, ha utilizzato le risorse della natura e l’ambiente come merce da sfruttare e consumare, spesso al servizio del Capitale finanziario per promuovere la crescita economica.
Oggi il Pianeta si sta ribellando a questa visione e parlare di sostenibilità ambientale non è più compatibile con questo modello di sviluppo fondato solo sulla crescita dell’economia e di una finanza speculativa. Le nuove generazioni hanno percepito questa criticità e di fatto hanno cominciato a mobilitarsi. Tocca ai giovani loro farsi carico di promuovere una nuova visione dell’ambiente e di tutela dei beni che la natura ci mette a disposizione imponendo un diverso modello di produrre e consumare beni ormai limitati e prossimi a scomparire.
È questa è la sola condizione con cui possono sperare di avere un futuro diverso. Questa sfida che le giovani generazioni devono affrontare richiede però di passare dalla rivendicazione di diritti individuali (al lavoro, alla libertà di movimento,) ad impegnarsi anche sul piano dei loro consumi e comportamenti e mobilitarsi quindi per riconoscere e tutelare i diritti della natura, cioè della casa comune.
Questa opzione comporta però un radicale cambiamento degli attuali modelli uso e getta ( acqua da bere, telefoni, utilizzo dei social , nuove app etcc) che oggi caratterizzano molti dei comportamenti e stili di vita dei giovani.
La metamorfosi del cambiamento che deve essere messo in atto è culturale e può essere sintetizzata da questo slogan: “Non è l’acqua che appartiene all’uomo, ma è l’uomo, che è fatto d’acqua, ad appartenere all’acqua che è fonte di vita”.
di Emmanuel Giuseppe Colucci Bartone