K metro 0 – Parigi – Camembert contro Facebook, Brie contro Apple, Champagne contro Amazon. Si gioca su questo iperbolico scontro l’ultimo capitolo del duello Trump-Macron, due leader che non hanno nulla in comune se non la reciproca disistima. Niente li unisce: né la cultura, né le strategie politiche, né le alleanze internazionali e neppure
K metro 0 – Parigi – Camembert contro Facebook, Brie contro Apple, Champagne contro Amazon. Si gioca su questo iperbolico scontro l’ultimo capitolo del duello Trump-Macron, due leader che non hanno nulla in comune se non la reciproca disistima. Niente li unisce: né la cultura, né le strategie politiche, né le alleanze internazionali e neppure la fisicità dei due leader mondiali. Non bastava la guerra dei dazi nata sulle ali dell’Airbus. E mentre non accenna a quietarsi la tranchant dichiarazione sulla Nato – “E’ in stato di morte cerebrale” – l’inquilino dell’Eliseo decide di far fare un nuovo passo avanti alla web tax made in France, destinata a versare nelle casse del fisco nazionale una piccola quota degli affari realizzati dai colossi informatici. Tanto basta per far reagire mister president che, dall’Air Force One, coglie letteralmente al volo l’occasione di ergersi a difensore degli interessi statunitensi e con la consueta schiettezza dichiara: “Non amo quelle aziende del web, ma sono pur sempre americane”. Un modo per ribadire il mantra dell’America First, proprio mentre si discute di impeachment. Così il rappresentante commerciale degli Usa fa sapere che la Casa Bianca è pronta a imporre tariffe per 2,4 miliardi di dollari verso le importazioni tipiche francesi.
Il ministro delle finanze francese, Bruno La Maine, ha definito “semplicemente inaccettabile” la minaccia tariffaria statunitense. “Non è il comportamento che ci aspettiamo dagli Stati Uniti nei confronti di uno dei suoi principali alleati”. Il ministro francese lascia intendere che la Francia è disposta a trattare ma non arretra sul principio: “Se il mondo vuole entrate fiscali solide nel ventunesimo secolo – ha spiegato – dobbiamo essere in grado di tassare l’economia digitale”.
La strada appare però ancora molto difficile da percorrere. L’Europa non è insensibile al problema e ne discute da tempo anche a livello di commissione UE. In Italia il governo ha annunciato di voler mettere mano alla materia. Sul fronte interno, però, i singoli Paesi devono fare i conti con il popolo delle campagne che già sopporta pesanti ripercussioni per la disputa Airbus-Boeing. Le misure ventilate da Trump provocherebbero un raddoppio dei prezzi che i consumatori americani pagano per i prodotti francesi.
Il portavoce della Commissione europea, Daniel Rosario, si è affrettato a far sapere che “l’UE cercherà un confronto immediato con gli Stati Uniti su come risolvere amichevolmente questo problema”.
Il punto di vista dei giganti del web è affidato a una lettera aperta pubblicata questa estate dall’ Information Technology Industry Council nella quale si esortano gli stati europei ad astenersi dall’adottare approcci fiscali unilaterali e nazionali e a cercare una soluzione in ambito OCSE. In un inciso, la lettera contiene una notazione che suona come una velata minaccia: “Il risultato finale potrebbe incidere sui potenziali investimenti futuri, sulla creazione di posti di lavoro e sulla competitività complessiva”. I Big della rete sanno essere duri quando il gioco si fa duro.
L’Italia si troverà presto al centro dell’arena perché la legge di bilancio in discussione al Parlamento prevede (articolo 84) che da gennaio 2020 – tra poche settimane – si applichi un’imposta del 3% sui servizi digitali destinata a colpire imprese con ricavi ovunque realizzati superiori a 750 milioni. Per ora la norma resta nel decreto-legge e il ministro all’economia Roberto Gualtieri ha confermato all’Ecofin che verrà portata al voto in Parlamento. Nei prossimi giorni vedremo se i deputati italiani decideranno di far fronte comune con Macron o sceglieranno di rinviare.
di Andrea Lazzeri