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Crescita economica Euro-zona debole, pochi investimenti

Crescita economica Euro-zona debole, pochi investimenti

K metro 0 – Francoforte – La nuova presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde, lunedì ha dichiarato che la crescita economica “rimane debole” all’interno dell’Eurozona non specificando se vi sia l’intenzione di immettere ulteriori stimoli in aggiunta a quelli voluti dal suo predecessore, Mario Draghi. Nel suo primo intervento di fronte al Parlamento europeo,

K metro 0 – Francoforte – La nuova presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde, lunedì ha dichiarato che la crescita economica “rimane debole” all’interno dell’Eurozona non specificando se vi sia l’intenzione di immettere ulteriori stimoli in aggiunta a quelli voluti dal suo predecessore, Mario Draghi. Nel suo primo intervento di fronte al Parlamento europeo, Lagarde ha spiegato che il settore manifatturiero è stato quello maggiormente colpito da un andamento economico “incerto” a livello globale, che fa diminuire la richiesta di beni prodotti dalle aziende dell’Eurozona. Le imprese di servizi, tuttavia, stanno sostenendo la crescita e permettono la creazione di nuovi posti di lavoro. La Bce acquisirà 20 miliardi di euro in titoli di Stato e obbligazioni societarie ogni mese, una misura che permetterà di iniettare nuova moneta all’interno del flusso economico, con la speranza di facilitare i prestiti alle aziende. Tra le altre cose, la Banca centrale ha ulteriormente tagliato il tasso sui depositi per le banche commerciali da -0,4% a -0,5%, l’obiettivo è quelli di spingerle a prestare il denaro in eccesso.

Il periodo complicato per il commercio globale, intanto, continua. Le conseguenze di sanzioni e delle continue minacce di conflitti sui mercati si stanno facendo sentire. Anche la Germania, paradiso del manifatturiero, ne sta risentendo, nonostante insieme all’America contribuisca al 30% del P.I.L. globale e al 20% del commercio mondiale. La crescita, tuttavia, anche lì sembra stia subendo un rallentamento e il mese scorso i timori di una recessione sono diventati concreti. Un nuovo resoconto fornito da KPMG, e sostenuto dall’istituto di ricerca Kantar Emnid, descrive dettagliatamente la situazione. Le partnership storiche, si sa, hanno alti e bassi da sempre. Quella tra la Germania e gli Stati Uniti però vive di diseguaglianze. Nel 2018, il PIL statunitense ha superato i 21 trilioni di dollari mentre quello della Germania si è fermato ‘solamente’ a 3,8 trilioni di dollari. Nello stesso hanno Berlino ha esportato beni negli Stati Uniti per un valore complessivo di 125 miliardi mentre ne ha importati solamente 57. Inoltre, solamente il 24% delle aziende vorrebbe investire 10 milioni o più nei prossimi tre anni in Germania. Nel 2017 era il 47% e ora il 13% dichiara di non voler assolutamente investire in Germania, rispetto al 6% di due anni fa.

Nel frattempo, il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, lunedì ha accusato l’Argentina e il Brasile di aver danneggiato gli agricoltori americani attraverso la manipolazione della valuta, per questo ha intenzione di imporre sanzioni sulle loro importazioni di acciaio e alluminio. Trump ha chiesto alla Federal reserve, la banca centrale degli Usa, di intervenire in modo da evitare che altri Paesi tentino di fare altrettanto. Entrambe le nazioni sudamericane hanno fatto parte del gruppo di alleati che erano stati esentati dallo stesso Trump dalle sanzioni su acciaio e alluminio a marzo del 2018. Il presidente brasiliano, Jair Bolsonar, ha ribadito come vi sia un “canale aperto” con il tycoon e proprio per questo lo contatterà nelle prossime ore per discutere la questione. Tiene banco, poi, in queste ore la questione del consumo di carbone, mentre i leader mondiali si stanno dirigendo in Spagna per la conferenza internazionale sul clima. Lo scorso anno, il consumo da parte degli Stati Uniti ha toccato il livello più basso in 40 anni, secondo l’U.S. Energy Information Administration. Ma l’attenzione è soprattutto rivolta alla Cina – la nazione che immette la maggior quantità di gas serra nell’atmosfera. Pechino brucia circa metà del carbone utilizzato nel mondo ogni anno. Tra il 2000 e il 2008, le sue emissioni di anidride carbonica sono quasi triplicate e ora è responsabile del 30% di quelle complessive. Tuttavia, guida anche il settore dei pannelli solari, delle turbine eoliche e dei veicoli elettrici.

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