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Malta. La stagione avvelenata tra arresti e corruzione

Malta. La stagione avvelenata tra arresti e corruzione

K metro 0 – La Valletta – I più ottimisti dicono che a Malta è iniziata la resa dei conti: i corrotti stanno per essere cacciati, gli assassini e i mandanti finiranno in galera. I giornalisti bivaccano da giorni davanti ai palazzi del governo e a quelli di giustizia, in attesa della svolta decisiva. Un

K metro 0 – La Valletta – I più ottimisti dicono che a Malta è iniziata la resa dei conti: i corrotti stanno per essere cacciati, gli assassini e i mandanti finiranno in galera. I giornalisti bivaccano da giorni davanti ai palazzi del governo e a quelli di giustizia, in attesa della svolta decisiva. Un colpo di scena che però non arriva.

Non sarà facile districare l’infame intreccio messo in luce dalla morte di Daphne Caruana Galizia. L’autobomba che l’ha uccisa sta espandendo l’onda d’urto su manovali del crimine, imprenditori miliardari e un intero governo. L’eco è forte, le piazze sono in rivolta, giornalisti di mezzo mondo stanno “vendicando l’onore” della collega e della sua ricerca di verità. Eppure, la battaglia si annuncia ancora lunga e tutt’altro che vinta.

Come dimostrano questi ultimi giorni – che il Times ha definito la “settimana nera di Malta” – i burattinai della corruzione hanno ancora molte carte da giocare e numerosi alleati rimasti nell’ombra. Lo dice chiaramente il presidente del partito Demokraticu: “Il premier Joseph Muscat vuole restare fino alla conclusione delle indagini: questa scelta alimenta i sospetti che ci sia un tentativo di manipolare il corso della giustizia”. E rivolge un appello al partito di maggioranza, chiedendo ai laburisti di prendere le distanze dal primo ministro. Parole che cadono sostanzialmente nel vuoto perché, nonostante nell’ultimo consiglio dei ministri la maggioranza dei presenti abbia chiesto le dimissioni di Muscat, quest’ultimo resta ben saldo al potere e si limita a promettere che se ne andrà il 18 gennaio. Il primo ministro sa che il tempo gioca a suo favore.

Il ruolino di marcia della giustizia è, per sua natura, scandito da lente procedure. Anche quando sembra che gli effetti siano clamorosi, come è avvenuto un paio di giorni fa, quando i magistrati hanno formalmente incriminato Yorgen Fenech per “complicità nell’omicidio di Daphne Caruana Galizia” consegnandolo ai gendarmi che lo hanno scortato in carcere. I capi di accusa sono pesanti: associazione a delinquere, complicità nell’omicidio e complicità in attentato dinamitardo”. In caso di condanna è previsto l’ergastolo. In aula, durante la lettura dell’incriminazione, erano presenti anche i figli della giornalista: “E’ un piccolo passo nella direzione della giustizia”, hanno commentato. Loro sanno che la strada è ancora irta di ostacoli.

Il potente uomo d’affari maltese è ora dietro le sbarre ma le sue accuse restano tutte da provare sul piano giudiziario. Fenech ha chiesto la grazia in cambio della collaborazione con gli investigatori ma il governo l’ha negata. L’imprenditore ripete che il piano per eliminare la giornalista è stato concordato con Keith Schembri, allora capo di gabinetto di Muscat. Ovviamente Schembri negata tutto, grida al complotto e dice di non conoscere un oscuro ed equivoco personaggio, un tal Melvin Theuma, l’intermediario – secondo l’accusa – tra Yorgen Fenech e i killer materiali. La linea difensiva del capo di gabinetto è miseramente crollata ieri mattina, nelle edicole della Valletta dove veniva venduto il Malta Today: in prima prima pagina c’è la foto di Schembri nel suo ufficio insieme a Theuma. Quell’immagine dimostra che i due si conoscevano, esattamente il contrario di quanto affermato dal braccio destro di Muscat. Resta da chiarire chi abbia scattato quella foto e perché. E’ difficile non pensare che quell’istantanea di un potente politico e insieme a un equivoco tassista-usuraio, faccia parte di un gioco inconfessabile, dove ricatti e contro-ricatti sono la prassi.

La tensione a Malta è palpabile. La convinzione che fiumi di denaro sporco abbiano inondato per decenni la politica di La Valletta, è ormai senso comune. Ma come insegnano i grandi scandali di corruzione che hanno riguardato in passato altri Paesi europei (Italia e Spagna in primis) , le conclusioni di queste vicende non sono sempre lineari né scontate. “Non escludiamo un’ondata di violenza”, confida all’Ansa e ad AP una fonte dei servizi di sicurezza maltesi, specificando che un’eventuale crisi del Tumas Group, la holding del principale sospettato che “fa mangiare 40mila famiglie sarebbe un terremoto per il Paese”.

Delle prime avvisaglie del clima avvelenato, hanno fatto le spese, ancora una volta, i giornalisti. Un gruppo di reporter internazionali, tra i quali gli italiani Sandro Ruotolo e Paolo Borrometi, è stato circondato e sequestrato per lungo tempo da persone che sono state riconosciute da colleghi maltesi non essere poliziotti in borghese ma , come ha riferito Borrometi “picchiatori e criminali, pluripregiudicati, a quanto pare sostenitori del primo ministro maltese”.

 

di Andrea Lazzeri

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