K metro 0 – Torino – Gli astronomi stimano che nella nostra galassia, la Via Lattea, ci siano circa 100 milioni di buchi neri, e che nella maggior parte dei casi si tratti di buchi neri piuttosto leggeri: non più di 15 volte la massa del Sole. Ora, però, un team internazionale di scienziati guidato
K metro 0 – Torino – Gli astronomi stimano che nella nostra galassia, la Via Lattea, ci siano circa 100 milioni di buchi neri, e che nella maggior parte dei casi si tratti di buchi neri piuttosto leggeri: non più di 15 volte la massa del Sole. Ora, però, un team internazionale di scienziati guidato da Jifeng Liu, astrofisico all’Osservatorio astronomico nazionale di Pechino dell’Accademia cinese delle scienze, e del quale fa parte anche Mario Lattanzi dell’Inaf di Torino ha individuato un buco nero stellare con una massa spaventosa: circa 70 volte quella del Sole. “Non so se sia il più grande mai trovato, ma la cosa straordinaria è che, stando alle teorie attuali dell’evoluzione stellare, buchi neri stellari così massicci non dovrebbero nemmeno esistere, perlomeno non nella nostra galassia”, spiega Lattanzi da Shanghai, dove si trova in questi giorni per lavorare insieme ad alcuni dei colleghi con i quali ha firmato l’articolo appena pubblicato su Nature.
Fino a pochi anni fa, i buchi neri stellari potevano essere scoperti solo quando ‘divoravano’ gas da una stella compagna. Questo processo crea potenti emissioni di raggi X, rilevabili dalla Terra, che evidenziano la presenza dell’oggetto collassato. La stragrande maggioranza dei buchi neri stellari della nostra galassia non sono però impegnati in un banchetto cosmico, e quindi non emettono raggi X rivelatori. Come risultato, solo una ventina di buchi neri stellari galattici sono stati finora accuratamente identificati e misurati. Per superare questo limite, Liu e il suo gruppo di lavoro hanno esaminato il cielo con il Large Sky Area Multi-Object Fiber Spectroscopic Telescope (LAMOST) cinese, alla ricerca di stelle che orbitino attorno ad un oggetto invisibile, attratte dalla sua gravità. Questa tecnica di osservazione fu proposta per la prima volta dal visionario scienziato inglese John Michell nel 1783, ma è diventata fattibile solo con i recenti miglioramenti tecnologici nei telescopi e nei rivelatori. Tuttavia, una simile ricerca rischia di essere come quella di un ago in un pagliaio: solo una stella su mille potrebbe aggirarsi nei pressi di un buco nero.
Dopo la scoperta iniziale, i più grandi telescopi ottici del mondo, il Gran Telescopio Canarias spagnolo di 10,4 metri e il telescopio Keck I di 10 metri negli Stati Uniti, sono stati utilizzati per determinare i parametri fisici del sistema. I risultati sono andati ben oltre le aspettative: una stella otto volte più pesante del Sole è stata osservata in un’orbita di 79 giorni intorno ad un buco nero grande 70 volte la massa solare. Oltre a quella dell’LB-1, c’è stata un’altra grande scoperta nell’astrofisica: recentemente, il Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory (LIGO) e i rivelatori di onde gravitazionali Virgo hanno iniziato a catturare le increspature nello spazio-tempo causate da collisioni di buchi neri in galassie lontane. I buchi neri coinvolti in queste collisioni sono risultati molto più grandi di quelli misurati in precedenza.
La scoperta dell’LB-1 ha dimostrato che questo tipo di buchi neri stellari sovradimensionati esiste anche nel nostro “cortile di casa”. “Questa scoperta ci costringe a riesaminare i nostri modelli su come si formano i buchi neri di massa stellare”, ha dichiarato il direttore del LIGO David Reitze dell’Università della Florida negli Stati Uniti. “Questo notevole risultato, insieme alle rilevazioni LIGO-Virgo delle collisioni binarie dei buchi neri durante gli ultimi quattro anni, indica una vera e propria rinascita nella nostra comprensione dell’astrofisica dei buchi neri”, ha spiegato Reitze. Scienziati provenienti da Cina, Stati Uniti, Spagna, Australia, Italia, Polonia e Paesi Bassi hanno partecipato alla ricerca. Liu ha dichiarato che il gruppo di ricerca intende utilizzare il LAMOST per scoprire fino a 100 buchi neri nella Via Lattea nei prossimi cinque anni. La scoperta è stata pubblicata sull’ultimo numero della rivista accademica Nature.