K metro 0 – Parigi – Settimana molto intensa sul piano politico in Europa. È soprattutto il dibattito tra i partiti maggiori che tiene banco, nel Regno Unito alle prese con le elezioni del 12 dicembre prossimo; in Germania, coi congressi di Cdu e Spd, alla ricerca di nuove leadership; in Francia, con Macron in
K metro 0 – Parigi – Settimana molto intensa sul piano politico in Europa. È soprattutto il dibattito tra i partiti maggiori che tiene banco, nel Regno Unito alle prese con le elezioni del 12 dicembre prossimo; in Germania, coi congressi di Cdu e Spd, alla ricerca di nuove leadership; in Francia, con Macron in difficoltà e alle prese con la crisi dell’istruzione, della sanità e del sistema pensionistico, con i sindacati che hanno già indetto uno sciopero generale per il prossimo 5 dicembre.
In Gran Bretagna, il manifesto elettorale del Labour di Jeremy Corbyn – fra i più radicali da decenni con la promessa di interventi pubblici in favore della sanità e del welfare in generale, di alcune nazionalizzazioni e d’una maggior tassazione per le multinazionali – conquista il centro della scena nel dibattito politico sulle elezioni britanniche del 12 dicembre. E domina le prime pagine nel Regno Unito. Fra i media mainstream, e sui tabloid di destra, la reazione è furibonda. Il Times di Rupert Murdoch lo liquida come un libro dei “sogni” stimandone i costi nel corso degli anni a 83 miliardi di sterline di spesa pubblica. Mentre il Mail e altri trasformano tutti gli 83 miliardi in “tasse”, denunciando un programma “marxista” e una “rapina” sui contribuenti. Scettico pure il paludato Financial Times, organo della City e del business, che dà voce ai timori di manager di grandi corporation i quali citano lo spettro di un ritorno ai grigi “anni ’70”. Il progressista Guardian si limita da parte sua a un titolo fattuale, indicando la ricetta di Corbyn come “radicale”, mentre solo il Mirror ne dà apertamente una valutazione positiva: è “dalla vostra parte”, dalla parte della gente comune, sentenzia, dopo “le devastazioni di 10 anni di politiche Tory d’austerity”. Alcuni commentatori invitano del resto a non sottovalutare la capacità di attrazione di una svolta senza compromessi come quella evocata da Corbyn. Una svolta che andrebbe “al cuore” di molte diseguaglianze strutturali del sistema britannico, scrive ad esempio Polly Toynbee sul Guardian. E che – fa eco Politico – potrebbe essere un game changer “nella campagna elettorale, contenendo proposte politiche genuinamente popolari in grado di rilanciare la performance del partito laburista nella caccia al consenso”.
Intanto, a dar ragione a Corbyn, la situazione del Servizio sanitario nazionale del Regno Unito (Nhs) che rischia una grave “crisi invernale” per le migliaia di medici e infermieri originari di paesi membri dell’Ue che hanno dato le dimissioni e hanno lasciato il paese nel timore di complicazioni a causa della Brexit. Come riferisce il quotidiano “The Guardian”, sono circa 11.600 gli operatori sanitari europei che hanno abbandonato l’Nhs dopo il referendum per la Brexit del giugno 2016 e oltre 3.250 solo quest’anno. I dati riguardano appena la metà dei distretti sanitari britannici. Pertanto, le cifre complessive sono quasi certamente di gran lunga peggiori e fanno temere una crisi operativa dell’Nhs a causa della carenza di personale sanitario.
Germania. Con il suo intervento al congresso annuale che l’Unione cristiano-democratica (Cdu) ha tenuto a Lipsia il 22 e 23 novembre scorso, il presidente dell’Unione cristiano-sociale (Csu) Markus Soeder, primo ministro della Baviera, “ha conquistato le menti e i cuori dei delegati”, scrive il quotidiano “Frankfurter Allgemeine Zeitung”, secondo cui Soeder, “maestro del mascheramento e del cambiamento” con un “talento da camaleonte” della politica, potrebbe essere il vero sfidante della presidente della Cdu, il ministro della Difesa Annegret Kramp-Karrenbauer, nella corsa a candidato a cancelliere per i conservatori tedeschi. Mentre si avvicina la conclusione del ballottaggio per l’elezione della presidenza del Partito socialdemocratico tedesco (Spd), prevista per il 29 novembre prossimo, nella formazione si accende la polemica sulla prossima dirigenza. In un’intervista rilasciata al quotidiano “Die Welt”, il primo ministro della Bassa Sassonia, Peter Weil, ha messo in guardia dal votare per la coppia di candidati formata da Norbert Walter-Borjans, dal 2010 al 2017 ministro delle Finanze della Renania settentrionale-Vestfalia, e Saskia Esken, deputata al Bundestag, esponenti della sinistra del partito. In corsa vi è poi il duo dato per favorito, formato dal ministro delle Finanze Olaf Scholz e da Klara Geywitz, deputata al parlamento del Brandeburgo. Le critiche di Weil si concentrano in particolare su Esken. Per il primo ministro della Bassa Sassonia, la deputata al Bundestag “ha fatto accapponare la pelle” con le sue dichiarazioni. Contestando la collaborazione della SpD con l’Unione cristiano-democratica (Cdu) e l’Unione cristiano-sociale (Csu) nella Grande coalizione al governo in Germania dal 14 marzo 2018, Esken avrebbe, infatti, “semplicemente svalutato molto ciò per cui il partito ha lottato negli ultimi anni”. Secondo Weil, “a qualcuno può far piacere peggiorare le cose, ma goffe considerazioni in bianco e nero non sono vantaggiose per la presidenza della Spd”. Di recente, Esken aveva criticato Scholz per essersi “soddisfatto troppo rapidamente dei compromessi raggiunti nella Grande coalizione”. Inoltre, secondo la deputata, il ministro delle Finanze avrebbe “dato per scontato il compromesso, indebolendo la Spd”. E il Partito socialdemocratico tedesco intende vietare le esportazioni di armi prodotte in Germania verso alcuni paesi arabi come Egitto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Il quotidiano “Handelsblatt” riassume un documento nel quale la Spd afferma l’intenzione di “limitare ulteriormente le esportazioni di equipaggiamenti militari tedeschi verso Stati terzi che non fanno parte della Ue, della Nato o paesi equivalenti”. In particolare, affinché gli Stati che non sono membri né dell’Ue né della Nato possano acquisire armi dalla Germania, “la ratifica e la coerente attuazione del trattato sul commercio degli armamenti è un prerequisito essenziale”. Come nota “Handelsblatt”, le esportazioni di armi di produzione tedesca verso paesi “come Egitto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti saranno in futuro fondamentalmente escluse”.
Francia. Predica bene ma razzola male. Si può tradurre così l’intervento, sul Messaggero, con cui Romano Prodi mette all’indice la politica della Francia del presidente Macron che se da una parte, giustamente, sottolinea la necessità per l’Ue di dotarsi quanto prima di una difesa comune così da affrontare al meglio la “progressiva e inarrestabile crisi della Nato”, dall’altra con decisioni unilaterali erge un muro di ambiguità che ostacola la strada per raggiungere questo obiettivo strategico per l’Unione. “Mentre siamo grati a Macron di avere sollevato il problema con tanta crudezza – scrive Prodi ricordando l’intervista del presidente francese all’Economist in cui tra l’altro ha parlato di ‘morte cerebrale’ della Nato – dobbiamo tuttavia constatare che la politica francese, anche negli ultimi anni, si è radicalmente discostata da questi obiettivi”. Prodi quindi elenca gli interventi francesi in Libano, Siria e soprattutto Libia. “Non ci dobbiamo quindi stupire che nel primo incontro tra i ministri francese e tedesco, dopo l’intervista di Macron all’Economist – sostiene Prodi -, non si sia fatto alcun sostanziale passo in avanti sui problemi della difesa” comune, “per difenderci insieme dobbiamo infatti decidere insieme”.
Intanto il presidente Macron visita per due giorni Amiens, sua città natale situata nella regione dell’Hauts de France. Lo riferisce il quotidiano francese “Le Figaro“, spiegando che Macron in questo momento si vuole costruire un’immagine da “presidente provinciale” contrastando lo stereotipo che lo vede lontano dalle realtà territoriali. Macron ha effettuato una visita nel campus dell’università Jules Verne per visitare il nuovo polo realizzato dall’architetto Renzo Piano. Una volta sul posto il titolare dell’Eliseo è stato letteralmente travolto dagli studenti, tra chi voleva stringergli la mano e chi invece lo ha contestato. Il presidente si è intrattenuto con molti di loro rispondendo alle domande che gli venivano poste. Il quotidiano francese “Le Monde” sottolinea che Macron in questo momento si vuole rivolgere agli studenti per calmare le tensioni sorte dopo che uno studente dell’università di Lione si è dato fuoco alcuni giorni fa per protestare contro la precarietà della vita studentesca. L’obiettivo è quello di spegnere sul nascere nuovi focolai di protesta che potrebbero integrare la mobilitazione generale del 5 dicembre. Macron ha ricordato quanto è stato fatto dall’inizio del suo mandato evocando la creazione di 60mila nuovi alloggi per studenti, la cancellazione dei contributi da versare alla Previdenza sociale e la creazione di una assicurazione sanitaria a un euro.
Per calmare le proteste del settore ospedaliero, infine, il primo ministro francese, Edouard Philippe, ha annunciato un aumento di 1,5 miliardi di euro al bilancio degli ospedali nei prossimi tre anni. In questo modo il governo ha voluto dare una risposta immediata alle richieste del settore, senza aspettare l’entrata in vigore del progetto di legge “Ma santé 2022” passato lo scorso luglio. L’obiettivo è quello di calmare la contestazione che va avanti da otto mesi nonostante il piano di aiuti da 750 milioni di euro annunciato due mesi fa. Il quotidiano francese “le Figaro” ricorda che la Francia spende già 200 miliardi di euro all’anno per la sua sanità, l’equivalente dell’11 per cento del suo Pil, il livello più alto tra i paesi appartenenti all’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse). “I dipendenti della sanità non ne possono più. Li abbiamo ascoltati”, ha detto Philippe. Il premier ha anche annunciato che lo Stato si farà carico di un terzo del debito del settore ospedaliero pari a 10 miliardi di euro. Tuttavia, spiega il quotidiano “Le Monde”, il piano annunciato è stato accolto “con freddezza” dai sindacati e dai collettivi dei lavoratori. “Questi annunci sono lontani dal rispondere alle attese del personale”, si legge in un comunicato comune, in cui si richiedono “vere negoziazioni” per “uscire dalla crisi”.
di Joseph Villeroy