K metro 0 – Cinque giornalisti americani mercoledì hanno denunciato per la presunta violazione del Primo Emendamento il governo statunitense, reo di aver ispezionato l’apparecchiatura fotografica e i portatili, senza contare i lunghi interrogatori sul servizio riguardante i caravan di migranti dello scorso anno. La procedura legale intrapresa dall’American Civil Liberties Union riprende l’esperienza dei
K metro 0 – Cinque giornalisti americani mercoledì hanno denunciato per la presunta violazione del Primo Emendamento il governo statunitense, reo di aver ispezionato l’apparecchiatura fotografica e i portatili, senza contare i lunghi interrogatori sul servizio riguardante i caravan di migranti dello scorso anno. La procedura legale intrapresa dall’American Civil Liberties Union riprende l’esperienza dei fotografi freelance e vuole mettere alla prova l’autorità frontaliera Usa, che ha il potere di interrogare chiunque, inclusi i giornalisti, entri nel Paese. Tutti e cinque sono cittadini americani ed erano già seguiti dal Dipartimento di sicurezza nazionale, sono 59 le persone legate alla vicenda, tra questi anche organizzatori e “istigatori”.
Situazione complicata per i media anche in Cina, dove il giornale del Partito Comunista ha pubblicato alcuni video che proverebbero la colpevolezza e la confessione volontaria di un ex console britannico impiegato ad Hong Kong, fermato per ben 15 giorni con l’accusa di favoreggiamento della prostituzione. Il report del People’s Daily ha rivelato il dettagliato dossier sul collaboratore, Simon Cheng, che ha dichiarato di esser stato torturato, interrogato sulle proteste pro-democrazia di Hong Kong e costretto a confessare durante la detenzione avvenuta nella città di Shenzhen, nella Cina meridionale. “Non c’è stata nessuna costrizione e nessuna tortura”, riporta il People’s Daily e i video pubblicati dalla polizia di Shenzhen, che immortalano Cheng all’interno di un centro massaggi e intento a parlare con alcuni individui, non fornirebbero prove concrete che confermino le accuse o le presunte torture ricevute.
Un altro video ha fatto molto discutere in Russia. La portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova, ha definito “una provocazione” lo scandalo causato da un video postato online che mostrerebbe un intermediario russo corrompere uno serbo. Il video che ha fatto il giro dei social media andrà “accuratamente verificato”. La Serbia, intanto, ha aperto un’indagine e ha organizzato un meeting con il consiglio di sicurezza. Il contenuto, che è stato pubblicato il 17 novembre su Youtube, immortalerebbe un funzionario dell’intelligence intento a consegnare una borsa a un membro del servizio di sicurezza serbo durante un meeting a Belgrado. Quest’ultimo, successivamente, avrebbe tirato fuori una busta contenente dei soldi molto simile a quella consegnatagli poco prima. L’intelligence serba ha confermato l’autenticità del video ma l’identità dell’uomo non è stata ancora rivelata. La Serbia è un prezioso alleato di Mosca in Europa, nonostante stia cercando di entrare a far parte dell’Unione europea. Il Paese balcanico, inoltre, si è schierato contro l’imposizione di sanzioni contro la Russia per la questione ucraina e ha promesso di rimanere fuori dalla Nato. Sempre nella giornata di giovedì, poi, la camera bassa del parlamento russo, ha fatto passare una norma che permette al governo di registrare blogger, giornalisti e utenti dei social media come operatori esteri. La legge, che è stata approvata quasi all’unanimità, va ad estendere una già esistente riguardante i media finanziati da Paesi esteri. Questa è stata adottata nel 2017 in risposta alla decisione del Dipartimento di Giustizia Usa di etichettare l’emittente russa RT come operatore estero.