K metro 0 – Roma – Grazie ad un’operazione della Polizia di Firenze e Siena, coordinata dalla Dda è partita un’inchiesta nei confronti di 12 italiani appartenenti agli ambienti di estrema destra indagati per detenzione di armi correlata alla costituzione di un’associazione con finalità eversiva. Questa notizia ci conferma la presenza, nel Paese, di un’attenta
K metro 0 – Roma – Grazie ad un’operazione della Polizia di Firenze e Siena, coordinata dalla Dda è partita un’inchiesta nei confronti di 12 italiani appartenenti agli ambienti di estrema destra indagati per detenzione di armi correlata alla costituzione di un’associazione con finalità eversiva.
Questa notizia ci conferma la presenza, nel Paese, di un’attenta quanto preziosa attività di prevenzione e intelligence da parte delle forze dell’ordine dimostrandoci, al contempo, che i “frammenti del terrorismo politico italiano e le sue pratiche hanno purtroppo continuato ad incidere nella società trasferendo talvolta alcuni aspetti anche alla criminalità comune e alle mafie.”
Analisi che permane ancor oggi dalla fine degli anni Ottanta quando si sosteneva che il terrorismo aveva provocato “una vera e propria sfaldatura della stessa cornice ideale entro la quale era cresciuta e si era irrobustita la politica italiana del dopoguerra.” I comportamenti o le azioni che dimostrano povertà di mezzi o scarse capacità tecniche non devono però trarci in inganno perché, il terrorismo, si prefigge sempre bersagli e obiettivi di natura politica disegnando spesso scenari artatamente esagerati utili a raccogliere forze che al momento non sono in suo possesso ma che gli occorrerebbero per realizzare i suoi obiettivi.
Un miraggio di potenza dai contorni indefiniti e vaghi che tende a polarizzare le paure e le angosce indefinite della psiche delle persone e che si nutre di ambiguità quando non la produce. Spesso le crisi o la carenza di mediazione politica costituiscono il terreno fertile per il suo proliferare come accadde nell’ormai lontano 1968. La palpabile tensione di quel periodo contribuì ad affermare il “terrorismo nero” che inizia la sua parabola nel ’69 e che, prima del terrorismo rosso, subirà la sua definitiva sconfitta nel corso della metà degli anni ’70.
Entrambi scontrarono i fallimentari rapimenti, le stragi o gli efferati delitti che segnarono, politicamente e militarmente, la loro estinzione. Affermare che qualche forma di quelle pratiche sia rimasta e che incida tutt’ora sulla società italiana non è semplice ma certamente l’influenza che ne derivò fu alquanto profonda. Rispetto ad allora mutano certamente sia gli obiettivi che le modalità: da politiche a religiose, dalle piazze al web. Se è vero che il terrorismo non vinse mai è però altrettanto vero che si trattò di un fenomeno che riuscì ad influenzare il Paese.
Di certo ogni forma di violenza, anche verbale, è obiettivamente pericolosa perché può potenzialmente rianimare tendenze violente e militariste che probabilmente non si manifesteranno come avvenne cinquant’anni fa. Ciononostante, il pericolo esiste e nulla quanto l’odio misto alla paura può contribuire ad alimentare una fornace che non si è probabilmente mai spenta. Da qui l’impegno di ognuno di noi a vestirci con l’abito della Costituzione Italiana facendo argine e anticorpo a qualsiasi tentativo volto a dividere o lacerare la nostra società.
Ancora oggi armarsi di amore, condivisione, comprensione e tolleranza è il modo migliore per prevenire simili fenomeni. Lo dico da addetto ai lavori: tali strumenti possono più della repressione anche quando la chiave che ci apre molte di queste porte si chiama: “cultura”.
di Daniele Tissone. Segretario generale Silp Cgil