K metro 0 – Bruxelles – C’è un’Europa dark che cresce e s’insinua in ogni area di crisi sociale, un mondo fatto di lupi solitari e di gruppi transnazionali, capace di trasformarsi adattandosi alle mutevoli realtà geopolitiche. È l’arcipelago dei gruppi neo-nazisti che viaggiano sul web così come attraversano fisicamente e frontiere, troppo spesso con
K metro 0 – Bruxelles – C’è un’Europa dark che cresce e s’insinua in ogni area di crisi sociale, un mondo fatto di lupi solitari e di gruppi transnazionali, capace di trasformarsi adattandosi alle mutevoli realtà geopolitiche. È l’arcipelago dei gruppi neo-nazisti che viaggiano sul web così come attraversano fisicamente e frontiere, troppo spesso con la complicità di qualche esponente di governo o delle sezioni speciali dei servizi segreti. Si muovono con le raffinate tecniche della clandestinità: agire singolarmente e pensare in rete.
In autunno una relazione riservata di Europol è finita sui tavoli di tutti i ministri degli interni per richiamare tutti ad alzare la guardia. Nero su bianco, gli investigatori europei lanciano due inquietanti avvertimenti: “L’estrema destra si sta armando e cerca di reclutare affiliati tra le forze dell’ordine e militari”. Segue una sfilza di resoconti, miriadi di tasselli che formano il grande puzzle dei nipotini hitleriani. Nessun Paese è escluso e neppure nessun ceto economico e professionale.
Gli ultimi arresti di un certo rilievo hanno riguardato 12 toscani che facevano capo a un sessantenne agiato funzionario di banca. Da Sovicille, vicino a Siena, aveva progettato di far saltare in aria la vicina moschea che sorge nel Chianti. Un nazista con posto fisso, buon stipendio e pensione assicurata, dunque. Profilo che contraddice le superficiali analisi che descrivono i neonazisti giovani disperati e senza futuro, come il tedesco che ha ucciso Walter Lubcke, esponente della Cdu ma favorevole – come la Merkel – a una politica di inclusione dei profughi. L’identikit del movimento “nazista 2.0” è molto sfaccettato ma è un esercizio indispensabile per mettere a punto una risposta adeguata al livello di pericolosità. Scorrendo i rapporti dell’intelligence ne esce l’immagine di professionisti della globalizzazione. Ironia della sorte gli alfieri del nazionalismo si rivelano, alla prova dei fatti, viaggiatori instancabili, capaci di stringere alleanze con i settori più diversi del continente europeo ma anche con l’Est e le Americhe.
Primo obiettivo trovare finanziamenti. Come insegnano tutti i movimenti terroristici, dai mujaheddin afghani ai tupamaros delle Ande, i soldi si fanno con la droga e con la “collaborazione” dei narcotrafficanti. Così Fabrizio Piscitelli, il Diabolik della curva laziale freddato da un colpo alla nuca in un giardinetto, era in affari con la mafia capitolina; analoga la storia di un altro ultrà, quel Vito Jordan Bosco, che da Verona faceva affari con l”Ndrangheta calabrese in Marocco e Spagna.
Le tifoserie calcistiche– in anni di disattenzione e colpevole lassismo delle società – sono diventati l’ambiente naturale dove l’ideologia nera trova un libero contatto con le masse giovanili. Il supporter della squadra si nutre di slogan semplici e logiche basiche: noi/loro, vincere a ogni costo, distruggere l’avversario. Lo spiega bene il professor Raffaele Mantegazza, docente di scienze pedagogiche dell’Univerisità di Milano Bicocca: “Wayne Hennesy, portiere della squadra inglese Crystal Palace, ha salutato il pubblico con il saluto nazista. È stato assolto dai giudici perché è ignorante e non conosceva cosa fosse il stato il nazismo”. Chiosa Mantegazza: “L’ignoranza dovrebbe essere un’aggravante, non un attenuante”. I casi di manifestazioni fascio-naziste da parte dei giocatori basterebbero a riempire un album Panini dell’orrore. In Italia si ricordano i manifesti di Anna Frank con la maglia giallorossa e il portiere Buffon con la maglietta “Boia chi molla”.
Globalizzati e tifosi di calcio ma anche abili utilizzatori dei social e dei metodi di propaganda. Messaggi semplici e ripetuti con parole praticamente identiche dalla Penisola scandinava a quella italiana, dal Tamigi al Don.
Facebook è diventato il moderno Bignami del pensiero nero basato, sostanzialmente, su 5 cardini: difesa dell’invasione islamica, odio verso neri ed ebrei, guerra agli usurai (chiamano così le banche), abbattere l’Europa, sovranismo. Concetti declinati in vario modo e in varie lingue ma, in pratica, sempre uguali, ottimi per il linguaggio social.
Ma ci sono ancora altri tasselli da aggiungere per dare una visione un po’ più nitida dell’estrema destra: sono i legami con Mosca. Nelle scorse settimane, tutte le pagine Facebook che facevano capo a Casapound sono state oscurate dai tecnici di Zuckerberg. NSAB, un altro sito negazionista e “anti-mondialista” che nella schermata iniziale saluta il navigante con un simpatico “Sieg Heil!”, è subito corso ai ripari annunciando che dal 10 novembre sarà possibile seguirlo su OK.RU, una specie di Facebook russo con 200 milioni di iscritti. Difficile pensare che i server controllati dal Cremlino accettino a loro sua insaputa questo genere di social europei.
Le tracce che portano verso Mosca e i campi di addestramento dell’Ucraina sono numerose. La più esplicita è contenuta nel dispositivo della sentenza che a Goteborg, in Svezia, condanna i due nazisti colpevoli per l’assalto a un centro di residenti asilo. I due condannati – scrivono i giudici sulla base delle rilevanze investigative – erano stati “in Russia dove avevano partecipato a un campo di addestramento condotto da militari ex separatisti ucraini”. Anche le armi sequestrate in Ungheria a un gruppo neonazista (fucili d’assalto, bombe anticarro) provengono da mercenari filorussi. Sul fronte italiano, gli inviati delle Iene, hanno rintracciato un capo ultrà di Lucca, Andrea Palmieri, tra i combattenti filorussi in Ucraina.
Il Parlamento europeo guarda a questi fenomeni con crescente preoccupazione anche se non con la necessaria compattezza. Nel mese di ottobre ha approvato una risoluzione (non legislativa) che ha cercato di dare un indirizzo agli stati membri, affinché vigilino per impedire il formarsi di gruppi fascisti e neonazisti. Il documento denuncia anche l’assenza di iniziative adeguate da parte dei singoli governi per fermare l’ondata xenofoba e razzista. L’ennesimo campanello di allarme.
di Andrea Lazzeri