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Balcani, “piccolo Schengen”: I leader a lavoro su una zona di libero scambio

Balcani, “piccolo Schengen”: I leader a lavoro su una zona di libero scambio

K metro 0 – Ohrid (Macedonia del Nord) – I leader dei Balcani occidentali si sono incontrati nella città lacustre di Ohrid, in Macedonia del Nord, per discutere le misure concrete da impiegare per stabilire una zona di libero scambio tesa a facilitare la crescita economica e gli investimenti. Tra gli obiettivi, come ribadito dal

K metro 0 – Ohrid (Macedonia del Nord) – I leader dei Balcani occidentali si sono incontrati nella città lacustre di Ohrid, in Macedonia del Nord, per discutere le misure concrete da impiegare per stabilire una zona di libero scambio tesa a facilitare la crescita economica e gli investimenti. Tra gli obiettivi, come ribadito dal primo ministro albanese, Edi Rama, da quello macedone, Zoran Zaev e dal presidente serbo, Aleksandar Vucic, rimane quello di diventare membri dell’Unione europea.

Il progetto riguardante la libera circolazione di merci e individui è stato rinominato “piccolo Schengen”, rimandando al famoso Spazio Ue caratterizzato dall’assenza di controlli sulle persone alle loro frontiere comuni. Bosnia e Montenegro hanno deciso di unirsi, il Kosovo invece non ha inviato un rappresentante al meeting. “Abbiamo discusso il sogno comune di creare dei Balcani moderni, un posto migliore dove vivere”, ha dichiarato Zaev mentre Vucic ha spiegato che l’iniziativa commerciale è un’opportunità per i Paesi di risparmiare più di 220 milioni di euro, costruendo nuclei di controllo congiunti per servizi doganali e amministrativi. “Crediamo di poter facilitare gli investimenti stranieri diretti”, ha aggiunto Vucic, sottolineando anche come le persone all’interno della regione potrebbero lavorare e viaggiare senza barriere amministrative. Rama, oltre ad aver fornito il proprio supporto al progetto, ha chiesto al Kosovo, che possiede una grossa fetta di popolazione di etnia albanese non riconosciuta dalla Serbia, di unirsi all’iniziativa il prima possibile.

Il presidente kosovaro, Hashim Thaci, non ha partecipato al summit, evidenziando la sua inutilità “fino a che la Serbia e la Bosnia non riconosceranno l’indipendenza del Kosovo”. L’Unione europea è al lavoro sulle richieste dei sei Paesi per diventare nuovi membri: Serbia e Montenegro hanno già iniziato l’iter di discussione, l’inizio del dialogo con Macedonia del Nord e Albania è invece stato bloccato in partenza lo scorso mese da alcuni membri Ue guidati dalla Francia. I leader dei Balcani occidentali si incontreranno nuovamente il 21 dicembre a Durresi, in Albania. Intanto, secondo l’Osservatorio dei diritti dell’uomo, la confinante Croazia non dovrebbe essere inclusa nella zona di libera circolazione dell’Europa, visto il trattamento riservato ai migranti arrivati dalla Bosnia e dalla Serbia. Critiche sono arrivate venerdì per la Commissione europea, che ha dichiarato che la Croazia è pronta per far parte dello Spazio di Schengen. Queste le parola di Lydia Gall, ricercatrice per l’est Europa e i Balcani dell’HRW: “Il fatto di aver respinto richiedenti asilo e migranti dovrebbe escludere l’entrata della Croazia nello Spazio Schengen”.

Nel frattempo, il portavoce uscente del parlamento del Kosovo, Kadri Veseli,verrà interrogato nel processo portato avanti da una corte olandese per indagare sui crimini commessi nei confronti della Serbia durante e al termine della guerra del 1998-1999. Veseli è convinto che la corte de L’Aia dimostrerà che l’’Esercito di liberazione del Kosovo ha combattuto una “guerra giusta”.  Le camere speciali e una sezione della Procura speciale del Kosovo sono state stabilite nel 2015 per esaminare le accuse di crimini di guerra indirizzate ai separatisti che hanno combattuto contro le forze serbe fino all’intervento della NATO nel 1999. In settimana, la commissaria per i Diritti umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatovic, ha criticato aspramente il ministro della Difesa serbo per aver promosso un libro che tenta di negare l’offensiva portata avanti dalle forze serbo-bosniache nella città di Tuzla nel 1995, causando 71 morti. Mijatovic ha evidenziato come “diffondere falsità e disinformazione in un contesto post-bellico è un gioco pericoloso, che mette a rischio i progressi fatti in direzione della pace e della riconciliazione”. Il libro, intitolato “Tuzla Gate Staged Tragedy”, cerca di rinnegare fatti documentati internazionalmente e dalle corti locali. Non solo, gruppi di attivisti per i diritti umani, insieme ad alcuni funzionari bosniaci, lo hanno criticato per aver partecipato all’evento promozionale martedì. Il ministro, in passato, ha anche sponsorizzato libri di ex-agenti accusati di crimini di guerra nei conflitti jugoslavi.

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