L’intervista controversa di Juncker a Der Spiegel. In Spagna, i sondaggi prevedono l’exploit dell’estrema destra. In Francia, Macron e il disagio di pensionati e lavoratori pubblici K metro 0 – Bruxelles – È l’intervista del presidente uscente della Commissione europea Jean-Claude Juncker al settimanale tedesco Der Spiegel che sta sollevando un enorme dibattito nell’opinione pubblica europea.
L’intervista controversa di Juncker a Der Spiegel. In Spagna, i sondaggi prevedono l’exploit dell’estrema destra. In Francia, Macron e il disagio di pensionati e lavoratori pubblici
K metro 0 – Bruxelles – È l’intervista del presidente uscente della Commissione europea Jean-Claude Juncker al settimanale tedesco Der Spiegel che sta sollevando un enorme dibattito nell’opinione pubblica europea. Juncker, al termine della sua missione, ha voluto togliersi molti sassolini dalle scarpe, come si usa dire. Intanto, in Spagna, quasi alla vigilia delle elezioni legislative, si computano i sondaggi per capire se una maggioranza ci sarà, almeno questa volta. In Francia si discute invece di riforma delle pensioni e il dibattito è estremamente acceso.
Partiamo dunque dall’intervista di Juncker allo Spiegel. Il presidente uscente della Commissione Ue prende subito di mira il premier inglese Boris Johnson, che “ha detto tante menzogne” durante la campagna elettorale. Juncker si è detto pentito per non aver contrastato la campagna dei sostenitori della Brexit nel 2016, e del fatto che la Commissione decise di non farsi coinvolgere su avviso dell’allora premier David Cameron, il quale temeva che gli interventi di Bruxelles potessero essere considerati come un’ingerenza negativa dagli elettori. Ma fu un errore, ha detto Juncker, il quale ha aggiunto: “sono state dette tante di quelle menzogne, anche dall’attuale premier Boris Johnson, che occorreva contrastarle”. Juncker ha anche deplorato il risultato del referendum sulla Brexit del 2016. I britannici, ha detto allo Spiegel, compreso il leader laburista, avevano sempre considerato l’Unione europea come un progetto economico e avevano sottovalutato l’unione politica. “Se ti pieghi a quella narrazione per più di 40 anni”, ha spiegato Juncker, “non è una sorpresa se la gente se lo ricorda nel referendum”. Inoltre, l’anziano politico lussemburghese, divenuto presidente della Commissione europea nel 2014, ha poi affermato di essere stato scettico sul fatto che avrebbe vinto il “Remain”, il blocco di coloro che volevano la permanenza della Gran Bretagna nell’Unione europea. E Juncker rammenta di averlo detto a Cameron: “voi perderete”. Il presidente aggiunge di essere divenuto “un obiettivo ideologico per i Brexiters”, ed ha aggiunto che non era importante dare agli europei “la falsa sensazione che la Ue fosse sulla strada per diventare un unico Paese: perfino gli europei più entusiasti sono contrari alla nostra unione che si trasforma in un melting pot europeo”. Ciò ha dato in seguito la possibilità a Juncker di trattare il presidente americano Trump usando alcuni “trucchetti” contabili, utilizzando proprio le statistiche commerciali americane, in modo che lo stesso Trump non avrebbe potuto confutarle. Così, Juncker aveva convinto Trump che Angela Merkel e gli altri leader con i quali aveva parlato erano tutti importanti “ma erano sbagliati” per parlare di commercio. “E ciò lo impressionò”, conclude questo capitolo Juncker, che invece si scaglia contro “l’ottuso nazionalismo” che resta una minaccia per la Ue, soprattutto quando i partiti tradizionali cercano di imitare i populisti. Juncker non ha detto se il suo partito di appartenenza, i popolari, sia stato troppo debole nei confronti di coloro che contrastavano lo stato di diritto, come il presidente ungherese Orbàn. E si è detto anche scettico nei confronti del movimento studentesco dello sciopero globale, alla cui guida vi è Greta Thunberg: “mi piacciono molto i giovani che si impegnano, ma non sono così ingenuo. Molto di ciò che viene presentato in termini sentimentali non è semplice da realizzare, in realtà. L’industria tradizionale deve continuare ad avere casa in Europa”. Insomma, le rivelazioni di Juncker, rese a pochi giorni dalla fine del suo mandato, stanno davvero facendo parlare le cancellerie europee in queste ore.
Com’è noto, domenica 10 novembre, la Spagna tornerà alle urne per votare il nuovo Parlamento, dopo che le elezioni dello scorso aprile non avevano decretato una maggioranza omogenea, al punto che il premier socialista Sanchez ha dovuto prendere atto che l’unica ipotesi possibili di un governo con Unidas Podemos e gli indipendentisti catalani era tramontata. Il quotidiano El Paìs pubblica un sondaggio, realizzato domenica 3 novembre, secondo il quale il Psoe (i socialisti) manterrebbe la prima posizione col 27,2% dei voti, seguito dal Pp (i popolari) al 21,1%, l’ultradestra di Vox sarebbe il terzo partito col 12,8%, seguito da Unidas Podemos al 12,7% da Ciudadanos al 9% e da altre liste minori. In base a questo sondaggio, qualora fosse confermato dalle urne, ai socialisti andrebbero 116 deputati, ai popolari 94, a Vox 42, a Unidas Podemos 36 e a Ciudadanos 19. La maggioranza è di 176 voti, e così come sarebbe configurato, nessuna maggioranza sarebbe possibile in Parlamento, anche se l’eventuale exploit del partito di estrema destra, Vox, mette tutti in allarme, in Spagna. In ogni caso, avvertono i sondaggisti contattati da El Paìs, i socialisti hanno la forchetta più ampia, con la possibilità di raggiungere un numero massimo di 140 seggi, nel qual caso sarebbe possibile un’alleanza almeno con Unidas Podemos. Alleanza di governo che non è riuscita a concretizzarsi nei mesi scorsi.
In Francia la discussione si concentra sulla riforma delle pensioni. Un editoriale di Le Monde segnala che “sulla carta, la riforma elaborata da Macron potrebbe avere delle qualità. Ma per ora non può essere giudicata solo sulla base degli annunci”. Le Monde segnala una certa astrattezza nei piani del governo sulla riforma delle pensioni e scrive: “la riforma non può dissociarsi dalla realtà, non può astrarsi dal contesto politico, non può fregarsene del clima sociale. Così, ogni giorno che passa rende l’esecutivo più prudente sulla realizzazione di un progetto che consiste nella necessità di rimpiazzare i 42 regimi pensionistici esistenti per un sistema di ripartizione universale nel quale ogni euro versato darebbe gli stessi diritti alla pensione per tutti”. Il sistema, segnala Le Monde, “andrebbe armonizzato, ma verso il basso”, poiché troppe sono “le disuguaglianze”. Infine, l’autorevole quotidiano francese segnala che per il 5 dicembre le centrali sindacali più importanti di Francia, la Cgt, la FO, la Fsu, Solidaires e tanti movimenti giovanili hanno indetto “una prima giornata di sciopero interprofessionale”, e si attende una fermata generale del pubblico impiego. “Il malessere”, prosegue Le Monde, “è evidente negli ospedali, tra i pompieri, tra le forze di polizia. La riforma delle pensioni è solo uno dei problemi. È l’impiego pubblico che soffre, dopo anni di ristrutturazioni mal digerite e di riduzioni di personale mal calibrate. Dunque, la riforma delle pensioni si aggiunge al malessere di queste categorie”. È il principio di garantire tutti la posta in gioco, conclude Le Monde.
di Joseph Villeroy