K metro 0/Assadakah – Beirut – Dal pomeriggio di ieri, 17 ottobre, la popolazione libanese è in agitazione, con una vera e propria ondata di protesta popolare contro alcune misure restrittive adottate dal governo, che da parte sua si è visto costretto a ritirare in modo repentino alcuni dei provvedimenti. Una delle proposte era la
K metro 0/Assadakah – Beirut – Dal pomeriggio di ieri, 17 ottobre, la popolazione libanese è in agitazione, con una vera e propria ondata di protesta popolare contro alcune misure restrittive adottate dal governo, che da parte sua si è visto costretto a ritirare in modo repentino alcuni dei provvedimenti.
Una delle proposte era la tassa sulle telefonate WhatsApp, che in tutto il mondo sono gratuite. Il progetto ha resistito solo poche ore, prima che l’esecutivo la ritirasse in tutta fretta. Si trattava di una tassa di 20 centesimi sulle comunicazioni via internet, fra le quali appunto quelle via WhatsApp, che il ministro delle Comunicazioni, Mohamed Choucair, ha prontamente abrogato. Fin dalle prime ore del 17 ottobre, quando i media libanesi avevano cominciato a riportare la notizia della nuova tassa, migliaia di utenti avevano letteralmente inondato l’etere di veementi proteste.
Il progetto doveva essere appoggiato dal fisco libanese, e avrebbe riguardato tutti i servizi VoIP (Voice over Internet Protocol, ovvero tutti quelli che offrono la possibilità di fare una telefonata tramite connessione internet), compreso anche FaceTime, che normalmente consente ai dispositivi basati sui sistemi operativi iOS e macOS di mettersi in contatto tramite Facebook Messenger. La notizia era stata diffusa dal ministro dell’Informazione Jamal al-Jarrah e, in sostanza, sarebbe costato 6 euro a mese ad ogni utente. Considerato l’utilizzo pressoché universale di WhatsApp in Libano (usato dal 98% della popolazione), il governo contava di intascare almeno 200 milioni di dollari l’anno, per una iniezione di ossigeno alle prosciugate casse statali. Il governo però non aveva fatto i conti con l’opinione pubblica, che si è immediatamente riversata per le strade in cortei di massa, copertoni dati alle fiamme e cori contro la manovra.
Manifestazioni di rabbia dettate sì dalla minaccia della nuova tassa, ma soprattutto dall’esasperazione per una situazione sociale ed economica oramai al limite. Naturalmente, l’occasione ha dato il via a una serie di manifestazioni contro altri provvedimenti sociali, in particolare contro la disoccupazione, la debolezza economica della valuta nazionale e il debito pubblico. Le proteste popolari però non si fermano, mentre la polizia presidia i centri sensibili in tenuta antisommossa. La gente chiede interventi forti per migliorare le condizioni economiche e sociali del Paese, in un momento di particolare crisi finanziaria che sta alimentando i timori di un’ulteriore svalutazione della moneta locale. Le manifestazioni sono una risposta al crescente divario fra classe politica e base popolare, ed è un chiaro riflesso di molta ansia repressa e preoccupazione per il futuro.
I precedenti storici non mancano. L’instabilità sociale è già stata alla base di una prima guerra civile lunga 15 anni, sfociata in seguito nella aperta rivalità con il vicino Israele, quindi in confronti diretti fra cristiani maroniti, e drusi musulmani, e che lo scorso luglio ha provocato una sparatoria con due morti fra gli assistenti di un ministro druso. Ora la crisi economica pare essere al suo apice. La disoccupazione è al 25%, ma a preoccupare è soprattutto il debito pubblico, giunto a 86 miliardi di dollari, corrispondente a circa il 150% del PIL. Nelle ultime settimane, la sterlina libanese si è oltremodo indebolita rispetto al dollaro, con un peggioramento della situazione che ha spinto allo sciopero la categoria dei panificatori per le difficoltà nel pagare in dollari il grano importato necessario.
Lo scorso settembre, i libanesi erano scesi in piazza di fronte ad un crescente peggioramento dell’economia, segnato da una crescita del valore del dollaro statunitense rispetto alla moneta locale, con conseguente innalzamento dei tassi di cambio e la riduzione della quantità di moneta statunitense nel mercato libanese. Al momento, il tasso di cambio nel mercato non ufficiale è superiore a 1.650 lire per 1 dollaro, rispetto alle 1.507 del mercato ufficiale.
I settori più colpiti dalla crisi economica sono quelli di carburanti, pane e medicine. Il sindacato dei proprietari dei distributori di benzina ha minacciato scioperi nazionali se il governo non sarà in grado di convincere le compagnie di distribuzione a erogare benzina in lira libanese anziché in dollari, come in passato. Non da ultimo, i commercianti, al momento, comprano beni in dollari e li rivendono ai consumatori libanesi in lira.
Un quadro generale effettivamente desolante, con il governo che cerca di tranquillizzare i cittadini circa la svalutazione della moneta locale, intervenendo con sforzi mirati insieme alla Banca Centrale del Libano provando a controllare la crisi attraverso una serie di misure. La situazione ha spinto il parlamento ad approvare misure di austerità, soprattutto per sbloccare gli aiuti internazionali e i promessi 11 miliardi di dollari per finanziare un importante programma di investimenti per rilanciare l’economia. Tali accordi e finanziamenti si inseriscono nell’ambito dell’iniziativa contro lo stallo economico, promossa dalla Banca Europea Investimenti (ERI) a favore di alcuni Paesi del Mediterraneo, tra cui il Libano. L’Italia rappresenta uno dei principali donatori dell’ERI, con 45 milioni di euro.
Il 1° ottobre, a Roma, il ministro dell’Agricoltura libanese, Hassan Al-Lakkis, ha incontrato il direttore generale dell’Organizzazione ONU per l’Agricoltura e l’Alimentazione (FAO), Qu Dongyu. I due hanno concordato sulla necessità di preservare le relazioni bilaterali, oltre a cooperare per lo sviluppo agricolo nel periodo 2021-2025, con lo scopo di valorizzare il sistema alimentare e a supportare la produzione e l’esportazione del Libano.
di Roberto Roggero