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NATO Defense College Foundation, conferenza sul tema: “Arab Geopolitics after the Caliphate”

NATO Defense College Foundation, conferenza sul tema: “Arab Geopolitics after the Caliphate”

K metro 0 – Roma – La frammentazione interna ed internazionale della geopolitica araba dopo il califfato è stata oggetto della conferenza “Arab Geopolitics after the Caliphate – How to exit the fragmentation trap”, tenutasi alla LUISS il 9 ottobre. L’evento è stato organizzato dalla NATO Defense College Foundation ed introdotto dal presidente Alessandro Minuto-Rizzo,

K metro 0 – Roma – La frammentazione interna ed internazionale della geopolitica araba dopo il califfato è stata oggetto della conferenza “Arab Geopolitics after the Caliphate – How to exit the fragmentation trap”, tenutasi alla LUISS il 9 ottobre. L’evento è stato organizzato dalla NATO Defense College Foundation ed introdotto dal presidente Alessandro Minuto-Rizzo, che ha spiegato le necessità di un’ottima sinergia tra UE e NATO per la sicurezza nel Mediterraneo. Il primo panel della conferenza, intitolato “Rebuilding the arab region”, ha riguardato i programmi che la comunità internazionale può offrire alla regione araba per risolvere i problemi causati dalla frammentazione. Il secondo, “Sustainable economics and game changers. The role of energy”, è stato incentrato sul ruolo chiave dell’energia, soprattutto rinnovabile, per lo sviluppo del territorio. Durante il terzo, si è parlato della sicurezza nel Maghreb e nel Sahel, regioni affette da terrorismo, migrazioni illegali e contrabbando.

Interessanti osservazioni iniziali sono state fatte dall’ex primo ministro libico Mahmoud Jibril, che ha sottolineato l’assenza di uno Stato unitario e la debolezza dell’autorità in Libia che ne rendono impossibile il governo: «Bisogna costruire degli interessi comuni prima di parlare di identità nazionale». Secondo Jibril, andrebbero avviate delle iniziative imprenditoriali congiunte con l’Egitto, il Marocco e la Libia, non soltanto per unire tribù e città ma anche per offrire lavoro a molti giovani africani che rischiano di trovarsi senza un impiego.

Mayssoun Azzam ha presentato con grande maestria i quattro interlocutori del primo panel. Il primo a parlare è stato Nicola de Santis, capo della sezione engagement alla NATO, che nel corso della sua carriera è stato promotore della cooperazione e del dialogo in Medio Oriente e nel Nord Africa. Per de Santis, gli enti internazionali possono assistere i Paesi arabi nel rafforzamento delle loro istituzioni, ma solo i Paesi arabi possono sradicare l’ideologia del califfato, educando a una corretta interpretazione dell’Islam. A seguire, si è espresso Mohanad Hage Ali, esperto nel campo del giornalismo politico e direttore delle comunicazioni al Carnagie Middle East Center. La sua preoccupazione è che la NATO non stia facendo abbastanza per supportare un nuovo modello di Stato e che dovrebbe essere promosso un dialogo regionale. Il terzo interlocutore, Ahmad Masa’deh, è l’ex segretario generale dell’Unione per il Mediterraneo, organizzazione intergovernativa che promuove la stabilità e l’integrazione in tutta la regione mediterranea. Masa’deh si è espresso sui problemi alla base della frammentazione araba: la mancanza di libertà, di diritti umani e di una cooperazione regionale economica, che non dovrebbe includere solo i Paesi arabi ma allargarsi ai Paesi vicini e all’UE. Andrebbe inoltre ridefinito il ruolo della religione nella politica: «La religione è per le persone e per Dio e lo Stato è per i cittadini.». L’aiuto della comunità internazionale per risolvere queste problematiche è indispensabile. Tuttavia, Ian Lesser, quarto ad intervenire nella sessione, ha criticato il calo d’interesse degli Stati Uniti nelle vicende mediorientali. Egli è vice presidente e direttore esecutivo al German Marshall Fund of the United States, il cui centro a Bruxelles è leader dell’analisi e del dibattito transatlantici. La frammentazione avrebbe allontanato gli investimenti statunitensi, con la conseguenza che essi hanno spostato il loro interesse verso la Cina, un’economia più forte e prevedibile nel contesto globale.

Nel secondo panel, l’importanza di diversificare l’economia energetica del Medio Oriente, basata su gas e petrolio, è stata al centro della discussione.«Il futuro sarà rinnovabile» afferma Adnan Z. Admin, che ha rivestito diverse cariche elevate all’ONU nel campo dello sviluppo sostenibile e che ora è direttore generale emerito dell’International Renewable Energy Agency. In futuro, gli idrocarburi non saranno più in grado di coprire la domanda energetica mondiale ed occorre costruire le infrastrutture per un nuovo tipo di industria. Matteo Codazzi, amministratore delegato al Centro Elettronico Sperimentale Italiano, ha illustrato un progetto brillante per contenere i costi dell’operazione. Esso riguarda la creazione di un mercato unico dell’energia nel mondo arabo, che impiegherebbe un investimento di 270 miliardi ma che promuoverebbe uno scambio di elettricità di 300 TWh. Scambiare l’elettricità da un Paese all’altro ne potrebbe abbassare il costo, risparmiando 50 miliardi di Euro all’anno. Inoltre, questo mercato unico potrebbe connettersi ad altre parti del mondo, con ulteriori possibilità di guadagno.

I concetti chiave del terzo panel sulla sicurezza del Maghreb e del Sahel sono stati: democratizzazione e ruolo della NATO. Youssef Cherif, analista politico specializzato nelle problematiche del Nord Africa e vicedirettore al Columbia Global Centers, si è soffermato sulla divisione tra poteri autoritari e frammentati. Di quest’ultimo gruppo fanno parte più Paesi ed è in esso che potrebbe formarsi il modello democratico della regione. In questo senso, in Algeria,Sudan, Iraq e Tunisia stanno avvenendo delle rivoluzioni che lasciano ben sperare. Giovanni Romani, capo della sezione del Medio Oriente e del Nord Africa della NATO, ha invece descritto con precisione le azioni e i programmi di cooperazione della NATO nel Maghreb e nel Sahel, basati su due pilastri: dialogo politico e cooperazione pratica.

Al termine della conferenza, il segretario generale della Lega Araba Ahmed Aboul Gheit ha voluto ribadire l’urgenza di intervenire nella regione, in modo che i progetti non restino solo parole. Intervenire senza fenomeni di ingegneria sociale, affidandosi ad un corretto modus operandi. Intervenire soprattutto in Palestina, dove i conflitti vanno avanti da troppo. I massacri subiti dalla popolazione araba nel tempo sono stati moltissimi e sarebbe forse il tempo di una rivoluzione non violenta, che parta da una profonda conoscenza delle vicende mediorientali e vada più in profondità, tra le crepe che hanno portato alla frammentazione del mondo arabo.

 

di Valeria Alessandretti

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