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Golfo persico, continua la tensione tra Riyad e Teheran

Golfo persico, continua la tensione tra Riyad e Teheran

K metro 0 – Riyad – Di chi è la responsabilità per l’attacco agli impianti petroliferi sauditi di sabato scorso? Ci sono “probabilità molto alte” che l’attacco sia stato lanciato con missili cruise da una base iraniana, vicino al confine con l’Iraq. È quanto hanno stabilito, per il momento, gli investigatori americani e sauditi: come

K metro 0 – Riyad – Di chi è la responsabilità per l’attacco agli impianti petroliferi sauditi di sabato scorso? Ci sono “probabilità molto alte” che l’attacco sia stato lanciato con missili cruise da una base iraniana, vicino al confine con l’Iraq. È quanto hanno stabilito, per il momento, gli investigatori americani e sauditi: come riportato dalla CNN, che cita fonti a conoscenza delle indagini. Le stesse fonti escludono che le traiettorie dei missili siano compatibili con un lancio da sud, in particolare da postazioni così lontane come lo Yemen: proprio i ribelli yemeniti Houthi avevano rivendicato inizialmente la paternità dell’azione, con una rivendicazione che, dalle indagini in corso, sembra sempre più simile a una copertura dei veri mandanti.

Stiamo vedendo se l’Iran è dietro gli attacchi in Arabia Saudita. Non voglio una guerra con l’Iran, cercherò di evitarla, ma gli Usa sono pronti con le migliori armi, jet, missili e altri sistemi“, ha detto il presidente americano Trump parlando con i giornalisti alla Casa Bianca. Gli insorti yemeniti Huthi, ritenuti vicini all’Iran, avvertono però le compagnie petrolifere straniere e i loro dipendenti – informa l’AP – di “stare lontani dalle raffinerie di Abqaiq e Khurais”, perché tali obiettivi sarebbero ancora nel loro mirino.

La perdita di produzione per l’attacco agli impianti di Saudi Aramco rappresenta il più grave danno causato, nella storia, da un singolo evento per i mercati petroliferi. La perdita di 5,7 milioni di barili al giorno, il 5% della produzione mondiale, è stata superiore a quella verificatasi nel 1979 con la rivoluzione iraniana, e nel 1990 con l’invasione irachena del Kuwait. Il prezzo del petrolio a New York è schizzato a 60,36 dollari al barile (+10,06%), e alcuni analisti, in questi giorni, anche se l'”oro nero”, con l’arrivo delle energie alternative non ha più quell’importanza primaria per l’economia mondiale avuta sino a poco tempo fa, avevano temuto l’avvio di una nuova stagione di rincari a catena, e addirittura l’arrivo del petrolio, entro pochi giorni, ai 100 dollari al barile. Ma già tra domenica, prima giornata lavorativa della settimana nell’area del Golfo, il 50% della produzione giornaliera di petrolio greggio, temporaneamente bloccata dall’attentato, era stata ripristinata, e il ritorno alla piena produzione è previsto entro la fine del mese.

Il portavoce delle forze armate saudite, Turki al-Malki, ha confermato oggi – informano le agenzie – che, secondo le indagini iniziali, i missili “non sono stati lanciati dallo Yemen“, e sono state utilizzate “armi iraniane”.

Non è interamente chiaro chi sia dietro l’attacco alle strutture petrolifere saudite“, ha detto anche l’inviato speciale dell’Onu in Yemen, Martin Griffiths, durante una riunione del Consiglio di Sicurezza. Ma si tratta di “un incidente estremamente serio, con conseguenze che vanno molto oltre la regione”, ha aggiunto; sottolineando che “gli attacchi rischiano di trascinare lo Yemen in una conflagrazione regionale”. Griffiths ha ribadito che “non c’è tempo da perdere” e bisogna trovare un’immediata soluzione politica.

Intanto, sempre l’Arabia Saudita, tramite la sua Agenzia ufficiale SPA, ha dichiarato oggi – mentre attende la visita del segretario di Stato americano, Mike Pompeo – di unirsi a una coalizione, che sarebbe a guida USA, per proteggere le vie navigabili del Medio Oriente dalle minacce dell’Iran. Alla coalizione hanno già aderito Australia, Bahrein e Regno Unito, Paesi tutti fortemente dipendenti dal petrolio saudita e partner economici primari di Riyad.
Per cercare di allentare la tensione, sono intervenuti i governi cinese e francese, correggendo il linguaggio del giorno prima, la portavoce del ministero degli Esteri cinese, Hua Chunying, ha affermato oggi che “la Cina condanna gli attacchi agli impianti dell’Arabia Saudita e si oppone a ogni attacco contro i civili e le strutture civili”, senza tuttavia individuare responsabilità. In conferenza stampa, Hua ha ripetuto l’invito “alle parti rilevanti a evitare le azioni che portino a un’escalation delle tensioni regionali”: Pechino, infatti, ha strette relazioni economico-diplomatiche ed energetiche sia con ambedue i Paesi del Golfo. Il presidente francese Emmanuel Macron, da parte sua, ha dichiarato la piena disponibilità della Francia ad inviare ispettori in Arabia Saudita, per fare pienamente luce su tecniche e responsabili dell’attacco del 14 settembre. Non c’è stata ancora una piena presa di posizione dell’Unione europea: che, comunque, è interessata fortemente al raffreddamento delle tensioni tra Riyad e Teheran (che nega qualsiasi coinvolgimento nella vicenda), anche per essere stata il massimo sponsor della conclusione, nel 2015. del Trattato internazionale per bloccare il nucleare iraniano.

L’Iran, sempre oggi – come riferito dall’agenzia di Stato IRNA – ha inviato agli USA una nota formale attraverso la diplomazia svizzera, per avvertire che qualsiasi eventuale azione ostile troverà “un’immediata risposta” da parte di Teheran.

Insomma, sale la tensione tra Iran e USA, dopo i momenti di distensione avutisi con le precedenti Amministrazioni. Mentre l’Arabia Saudita si conferma potenza regionale in ascesa, che nel Golfo vuole svolgere un ruolo di primo piano, proprio sfruttando i consistenti rapporti economici, energetici, finanziari che ha sia con l’Occidente che con l’Oriente. Ma questo – nonostante che la visione saudita non coincida in pieno con quella degli gli USA – la porta inevitabilmente a scontrarsi con l’Iran, che aspira anch’esso ad assurgere a Paese leader del Medio Oriente.

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