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Economia. Spettro recessione per Stati Uniti ed Eurozona

Economia. Spettro recessione per Stati Uniti ed Eurozona

K metro 0 – Washington – Il 34% degli economisti ascoltati dalla National Association for Business Economics, in un resoconto pubblicato oggi, ritengono che il rallentamento dell’economia possa culminare con l’entrata in recessione degli Stati Uniti nel 2021. Come riporta AP, la percentuale di esperti che credono in questa possibilità è aumentata di quasi il

K metro 0 – Washington – Il 34% degli economisti ascoltati dalla National Association for Business Economics, in un resoconto pubblicato oggi, ritengono che il rallentamento dell’economia possa culminare con l’entrata in recessione degli Stati Uniti nel 2021. Come riporta AP, la percentuale di esperti che credono in questa possibilità è aumentata di quasi il 10% dal 25% di febbraio. Solo il 2% di loro crede che si entri in recessione già da quest’anno, mentre il 38% pensa che possa accadere nel 2020.

Il presidente USA, Donald Trump, ha tuttavia sminuito qualsiasi preoccupazione e ha offerto una prospettiva ottimistica per l’economia statunitense, dopo il crollo verticale della scorsa settimana. Queste le sue parole rilasciate ieri in merito: “Non credo che il Paese stia entrando in recessione”. Una struttura economica solida sarà fondamentale per conquistare la rielezione alle urne, il prossimo anno. Gli economisti avevano già espresso i propri dubbi sulla politica di Trump. La previsione precedente sottolineava come l’imposizione di dazi e il mantenimento di un deficit più alto avrebbe affossato l’economia. L’esecutivo Trump ha introdotto imposte nei confronti dei maggiori partner commerciali, dalla Cina all’Europa, dal Messico al Canada. I funzionari di governo insistono sul fatto che tassando le importazioni in questa maniera, si potranno ottenere condizioni più favorevoli in sede di negoziazione. Tuttavia, gli altri Paesi hanno semplicemente risposto con altri dazi. Il legame commerciale tra Stati Uniti e Cina, le due superpotenze economiche mondiali, è ormai logoro. Trump lo scorso mercoledì ha deciso di rimandare l’introduzione del 60% delle imposte su beni cinesi del valore di 300 miliardi, facendo dietrofront, almeno per il momento, sul piano di estendere la misura a praticamente tutto ciò che arriva negli USA dalla Cina.

La scorsa settimana, poi, i mercati finanziari hanno segnalato la possibilità di recessione per Washington, alimentando la preoccupazione riguardo le tensioni commerciali e le parole di Gran Bretagna e Germania che stanno andando incontro allo stesso destino. Gli economisti interrogati dalla NABE sono scettici sulle possibilità di successo dell’ultimo round di negoziazioni tra Stati Uniti e Cina. Solo il 5% ha predetto il raggiungimento di un accordo, il 64% ritiene possibile un’intesa superficiale e circa il 25% non si aspetta nessuna svolta.I 226 esperti, di cui la maggior parte lavorano per multinazionali e associazioni di categoria, hanno risposto al sondaggio tra il 14 luglio e l’1 agosto. Ovvero, prima che la Casa Bianca annunciasse l’introduzione di imposte al 10% sulle importazioni cinesi del valore di 300 miliardi di dollari, prima che la valuta cinese scendesse sotto i sette yuan per dollaro per la prima volta in undici anni e prima che il governo Trump etichettasse Beijing come Pechino come Paese manipolatore. In generale, in tempi recenti, gli economisti hanno voluto rimproverare l’approccio economico dell’esecutivo.

Almeno per il momento, la maggior parte dei segnali sono positivi. Il tasso di disoccupazione rimane ai minimi da 50 anni e i consumatori sono ottimisti. Intanto, lo spettro della recessione è dietro l’angolo anche per l’Eurozona. Le stime riguardanti l’inflazione per luglio sono state riviste al ribasso, come mostrano i dati forniti nella giornata di lunedì, rafforzando l’ipotesi che la Banca centrale europea possa adoperare ulteriori ‘stimoli’ al blocco di 19 Paesi già il prossimo mese. L’agenzia Eurostat ha riferito che l’indice dei prezzi al consumo si è assestato sull’1%, il livello più basso da metà 2016, rispetto all’1,3% del mese precedente.

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