K metro 0 – Lussemburgo – L’Ufficio statistico dell’Unione europea Eurostat, mercoledì scorso, ha annunciato che il blocco ha registrato un livello di disoccupazione ai minimi storici dal 2000. A giugno, infatti, il tasso è crollato fino ad arrivare al 6,3%, ovvero la percentuale più bassa mai osservata nell’Ue. L’Eurozona, che comprende i 19 Paesi
K metro 0 – Lussemburgo – L’Ufficio statistico dell’Unione europea Eurostat, mercoledì scorso, ha annunciato che il blocco ha registrato un livello di disoccupazione ai minimi storici dal 2000. A giugno, infatti, il tasso è crollato fino ad arrivare al 6,3%, ovvero la percentuale più bassa mai osservata nell’Ue.
L’Eurozona, che comprende i 19 Paesi che utilizzano l’euro, è arrivata invece al 7,5%, ovvero secondo Eurostat al “tasso più basso dell’Eurozona” dalla crisi finanziaria del 2008. Tuttavia, i dati mostrano anche una crescita economica a rilento. L’Ue e l’Eurozona sono cresciute dello 0,2% nel secondo trimestre del 2019. L’inflazione è scesa dall’1,3% di giugno all’1,1% di luglio. Gli economisti credono che queste statistiche giocheranno un ruolo fondamentale nella decisione della Bce di introdurre nuove “misure di stimolo”. “Mentre la debolezza economica era concentrata in Germania e in Italia in precedenza, i dati nazionali mostrano che il rallentamento è in realtà molto più ampio in questo secondo trimestre”, ha sottolineato Jack Allen Reynolds della Capital Economics di Londra ad AP. La guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina ha sicuramente avuto ripercussioni sull’economia globale, il Fondo monetario internazionale ha infatti ridimensionato le proprie previsioni a inizio mese. Altri fattori potranno essere determinanti in chiave economica nei prossimi mesi, come l’imposizione di dazi sul settore automobilistico europeo oppure una Brexit senza accordo.
Se il Regno Unito dovesse intraprendere la strada del ‘no-deal’, infatti, i risvolti potrebbero essere nettamente peggiori rispetto a una Brexit con intesa. Proprio Londra andrebbe a perdere circa il 4,4% del suo Pil e ben 525mila posti di lavoro e l’Unione l’1,54% del Pil e 1.200.000 posti. Queste le conclusioni tratte da uno studio fornito dalla facoltà di economia dell’università di Leuven, in Belgio. “La cosiddetta ‘soft Brext’, quindi con accordo, avrebbe conseguenze meno disastrose”, si legge, con il Regno Unito che perderebbe l’1,2% del Pil e 140mila posti di lavoro mentre il blocco lo 0,38% del Pil e 280mila posti di lavoro.
Per quanto riguarda i Paesi europei nello specifico, vi sarebbero ripercussioni generalizzate: la Germania perderebbe 291.930 di lavoro con una Brexit senza accordo, la Francia 141.320, la Polonia 122.950 e l’Italia 139,140. Nello scenario opposto, con abbandono dell’Ue per mezzo di un’intesa, si registrerebbero la perdita di 69.060 posti di lavoro in Germania, 34.500 in Francia, 28.420 in Polonia e 31.230 in Italia. Il nuovo incaricato britannico per le negoziazioni con l’Unione europea per la Brexit, David Frost, intanto è a Bruxelles per confrontarsi con la Commissione europea, cui verrà presentato il progetto di uscita come già illustrato nelle scorse settimane dal nuovo premier Boris Johnson. Secondo quanto ribadito più volte dall’ex sindaco di Londra, il Regno Unito lascerà l’Unione europea il 31, con o senza accordo.