K metro 0 – Roma – “Continuate ad avere fiducia nella giustizia, nonostante tutto.” Così Franco Ippolito, presidente della Fondazione Basso, dove il 9 luglio si è tenuta la conferenza stampa relativa alla sentenza della Corte di Assise di Appello di Roma, che ha condannato all’ergastolo 24 imputati per omicidio volontario e sparizione di 43
K metro 0 – Roma – “Continuate ad avere fiducia nella giustizia, nonostante tutto.” Così Franco Ippolito, presidente della Fondazione Basso, dove il 9 luglio si è tenuta la conferenza stampa relativa alla sentenza della Corte di Assise di Appello di Roma, che ha condannato all’ergastolo 24 imputati per omicidio volontario e sparizione di 43 persone, 23 delle quali di nazionalità italiana, nell’ambito della repressione operata negli anni ’70 e ’80 in America Latina.
Dopo il colpo di Stato che l’11 settembre 1973 destituì il presidente Allende, ebbe inizio il cosiddetto Plan Condor, ossia l’instaurazione di una serie di dittature nei Paesi dell’America Latina, favorite e orchestrate, sembra, dall’allora governo statunitense. Dall’Uruguay, al Cile, al Perù, all’Argentina e al Brasile: tutti questi Paesi vennero dominati da dittature sanguinarie, che agivano allo stesso modo, cioè reprimendo qualsiasi forma di dissenso attraverso arresti arbitrari, torture, uccisioni e sparizioni. Ne furono a capo personaggi quali Pinochet o Videla, che annientarono un’intera generazione di giovani, creando il fenomeno dei desaparecidos , ossia degli scomparsi. A questi vennero sottratti i figli, che furono dati in affidamento a famiglie vicine ai regimi, in modo da creare una nuova generazione che, secondo la folle logica di queste dittature, potesse portarne avanti i valori antidemocratici. Si conta che nella sola Argentina i desaparecidos siano stati 30 mila, e solo grazie all’impegno delle Madri e delle Nonne della Plaza de Mayo, sono stati ritrovati oltre 100 di quei bambini – ora adulti – sottratti arbitrariamente alle famiglie.
Il segretario alla presidenza della Repubblica Orientale dell’Uruguay, Michelangel Tomas Sanchez, ha espresso la sua viva soddisfazione per la sentenza dell’8 luglio, che ribalta quella del processo di primo grado, tenutosi il 17 gennaio 2017 che aveva condannato all’ergastolo solo 8 degli imputati, e assolto altri 19, ritenuti responsabili soltanto di sequestro di persona – reato caduto in prescrizione – oltre al proscioglimento di altri 6 in quanto deceduti.
Tra i condannati, alcuni nomi eccellenti come Luis Arce Gomez, ex ministro dell’interno boliviano; l’ex presidente del Perù, Francisco Morales Bermudes; e il tenente di vascello Jorge Nestor Fernandez Troccoli, che si era trasferito in Italia nel 2007 nel tentativo di sfuggire al processo intentatogli a Montevideo, avvalendosi della doppia cittadinanza. Per lui si sono aperte le porte del carcere.
Sono stati necessari quasi 20 anni di ricerche, ascolto dei testimoni, comparazioni, rapporti tra tribunali di Paesi diversi. per giungere finalmente alla sentenza. La Pm Tiziana Cugini aveva spiegato che i sequestri “non erano fatti solo per ottenere informazioni, ma per uccidere. E questi omicidi erano necessari per eliminare prove e testimoni, e fornire un monito a quanti volessero ancora impegnarsi nella lotta contro le dittature.” Per fare tutto ciò era necessario disporre di una rete, o meglio di un apparato che funzionasse in maniera sistematica affinchè non ci fossero intoppi, o meglio, non fossero lasciate prove o tracce che rimandassero a responsabilità specifiche degli aguzzini. E gli imputati facevano parte di questo apparato.
“Il Plan Condor non è mai finito” ha dichiarato alla fine della conferenza stampa Julio Frondizi, esule argentino e nipote dell’omonimo ex presidente, vittima di un tentativo di omicidio a causa delle sue idee politiche, mostrando la cicatrice della pallottola che lo aveva raggiunto alla tempia, e che miracolosamente non lo ha ucciso.
di Stefania Catallo