K metro 0 – Sarajevo – Il presidente turco, Teyyip Erdogan, è arrivato due giorni fa in Bosnia-Erzegovina per incontrare i militari impegnati nella missione di pace gestita dall’Unione europea, per partecipare ad un summit economico con i Paesi del sudest europeo e per commemorare le 8mila vittime bosniache mussulmane uccise a Srebrenica nel 1995.
K metro 0 – Sarajevo – Il presidente turco, Teyyip Erdogan, è arrivato due giorni fa in Bosnia-Erzegovina per incontrare i militari impegnati nella missione di pace gestita dall’Unione europea, per partecipare ad un summit economico con i Paesi del sudest europeo e per commemorare le 8mila vittime bosniache mussulmane uccise a Srebrenica nel 1995. “La pace, la stabilità, la tranquillità e la prosperità dei Balcani sono fondamentali per noi. Il nostro Paese non può permettersi di osservare gli sviluppi della regione da lontano”, ha esordito Erdogan nella conferenza stampa alla vigilia della partenza dalla Turchia.
La visita non è iniziata nel migliore dei modi, visti gli attriti che si sono verificati tra lo staff di Erdogan e la polizia di frontiera. I media locali hanno riportato che la sicurezza del presidente turco ha rifiutato di attenersi alle procedure e ai regolari controlli nell’aeroporto di Sarajevo. “Sono stati aggressivi e si sono comportati come se fossero nel loro paese”, ha raccontato il capo della polizia di frontiera, Zoran Galic. La situazione si è poi stabilizzata quando il presidente Erdogan è sceso dall’aereo per essere accolto dai membri della presidenza tripartita bosniaca.
Nella giornata di martedì, migliaia di persone hanno partecipato alla cerimonia di commemorazione delle vittime del massacro di Srebrenica, avvenuto 24 anni fa. La celebrazione è andata in scena davanti l’edificio presidenziale nella capitale bosniaca ed è stato reso omaggio alle 33 nuove vittime identificate di recente, i cui resti verranno trasferiti giovedì nel memoriale vicino la città di Srebrenica. Più di 8 mila bosniaci musulmani, per la maggioranza ragazzi e uomini, furono uccisi tra l’11 e il 22 luglio del 1995, da unità dell’Esercito della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina guidate dal generale Ratko Mladić, con l’appoggio del gruppo paramilitare degli “Scorpioni”, in quella che al momento era stata dichiarata dall’ONU come zona protetta La maggior parte dei corpi delle vittime sono stati rinvenuti in un luogo di sepoltura di massa vicino Srebrenica. Mille persone sono ancora date come disperse. “La nostra unica missione è quella di trovare ciò che rimane dei nostri figli e che i crimini di guerra vengano puniti”, ha dichiarato Munira Subasic ad AP, che ha perso due figli e suo marito nel massacro.
Nonostante l’episodio sia stato etichettato come genocidio dalle corti internazionali, i funzionari serbi e serbo-bosniaci continuano a rifiutare questa definizione. Il primo ministro della Serbia, Ana Brnabic, ha definito i fatti di Srebrenica come “orribili” ma non ha parlato mai di genocidio. Nove gruppi di attivisti per i diritti umani serbi hanno voluto esprimere la propria opinione sulla faccenda, ritenendo “vergognoso” il fatto che alcuni non riescano ancora ad accettare che si sia trattato di uno dei peggiori crimini etnici della storia.
A Jahorina, a pochi km da Sarajevo, si è conclusa la seconda giornata del vertice del Processo di cooperazione del Sudest Europa (Seecp), con la presenza di alcuni capi di Stato e di governo dei Paesi partecipanti a tale iniziativa regionale, il cui obiettivo è rafforzare la collaborazione e la fiducia, a sostegno della pace e della stabilità in un’area sensibile del vecchio continente. Ai lavori, presieduti dal presidente della presidenza collegiale bosniaca, il serbo-bosniaco Milorad Dodik, prendono parte i capi di stato di Turchia Recep Tayyip Erdogan, Montenegro Milo Djukanovic, Macedonia del Nord Stevo Pendarovski e Albania Iljir Meta, i premier di Serbia e Bulgaria, Ana Brnabic e Boyko Borissov, e rappresentanti dei Paesi aderenti alla Seecp.