K metro 0 – L’Aja – Quanto ancora bisognerà attendere perché la minoranza musulmana dei Rohingya, nel Myanmar, l’ex-Birmania, a popolazione prevalentemente buddhista, riceva giustizia? Il procuratore della Corte Penale Internazionale, Fatou Bensouda, informa AP, ha presentato una richiesta ai giudici di aprire un’indagine formale sui crimini contro l’umanità presumibilmente commessi da decenni, contro appunto
K metro 0 – L’Aja – Quanto ancora bisognerà attendere perché la minoranza musulmana dei Rohingya, nel Myanmar, l’ex-Birmania, a popolazione prevalentemente buddhista, riceva giustizia? Il procuratore della Corte Penale Internazionale, Fatou Bensouda, informa AP, ha presentato una richiesta ai giudici di aprire un’indagine formale sui crimini contro l’umanità presumibilmente commessi da decenni, contro appunto i Rohingya, dal Governo del Myanmar.
Esattamente, il procuratore Bensouda vuole indagare sui crimini di deportazione, atti inumani e persecuzione presumibilmente commessi contro i Rohingya: che negli ultimi anni, in gran parte sono stati cacciati dal Myanmar ((Stato che non ha aderito al Trattato di Roma sul Tribunale Penale Internazionale) nel Bangladesh: che invece, è membro dell’ICC. Una prima indagine di base, comunque, ha ricordato sempre Bensouda, dà fondati motivi di “credere che almeno 700.000 persone Rohingya (da agosto 2017, N.d.R.) siano state deportate dal Myanmar in Bangladesh attraverso una serie di atti coercitivi, e che una grande sofferenza …sia stata inflitta ai Rohingya violando il loro diritto di tornare al loro Stato di origine”.
Le azioni coercitive presumibilmente commesse dalle forze armate, dalle guardie di frontiera e dalla polizia del Myanmar includevano “uccisioni; violenze sessuali e altre forme di violenza sessuale; atti di violenza fisica e psicologica che provocano intenzionalmente grandi sofferenze o gravi lesioni fisiche o mentali…; e la distruzione di proprietà tra cui case, bestiame e interi villaggi”. .Bensouda – che ha precisato, come data d’inizio dell’indagine richiesta, l’ottobre del 2016 – si è preoccupato anche di sciogliere il nodo della presunta incompetenza dell’ ICC ad indagare su queste gravi violazioni dei diritti dell’uomo commesse nel Myanmar, non essendo il Paese firmatario del Trattato di Roma: precisando che l’indagine si concentrerà sui reati presumibilmente commessi sul territorio del Bangladesh. Tuttavia, ha aggiunto che investigare sulle deportazioni significherà anche osservare da vicino la presunta violenza che, nel Myanmar, non ha mai rispettato la libertà di residenza e di circolazione dei Rohingya, costringendoli sostanzialmente, dal 2017, a fuggire dal Paese.
La maggioranza buddhista del Myanmar, infatti, a lungo ha considerato i Rohingya sostanzialmente come immigrati dal Bangladesh, anche se le loro famiglie hanno vissuto nel Paese per generazioni. Quasi tutti sono stati privati della cittadinanza dal 1982, diventando effettivamente apolidi: e subendo gravi violazioni dei diritti umani di base, compreso quello all’istruzione superiore.
Il conflitto latente da decenni tra il Governo birmano e questa minoranza etnica è esploso dal 2016, ed ora chiama direttamente in causa la stessa Aung San Suu Kyi: Nobel per la Pace 1991, a lungo incarcerata, in passato, dalle giunte militari che sino ai primi del 2000 governarono il Paese, ed ora, dal 2016, sostanzialmente alla guida del Governo, come Consigliere di Stato, ministro degli Esteri e membro dell’Ufficio del Presidente. La quale, attirandosi forti critiche sul piano internazionale, ha smentito recentemente le accuse secondo cui l’esercito birmano mira alla persecuzione della minoranza Rohingya: dichiarando che esso avrebbe operato col solo intento di combattere i militanti dell’ARSA (Arakan Rohingya Salvation Army), organizzazione armata dei Rohingya vicina di stampo islamico, e attiva soprattutto nello Stato del Rakhine. Proprio in risposta all’attacco di un gruppo di ribelli Rohingya nel Rakhine, le forze armate birmane, ad agosto 2017, hanno iniziato l’“offensiva” contro la minoranza, avviandone la deportazione di massa nel Bangladesh.
Mentre ci si domanda anche cosa spinga il governo del Bangladesh ad accettare, quasi passivamente, quest’ esodo forzato dei Rohingya entro i suoi confini, la parola passa alla Corte Penale Internazionale.de L’Aja. Anche il Consiglio di sicurezza ONU si è occupato spesso di questa situazione: non riuscendo però a giungere a una decisione definitiva a causa dei contrasti tra i suoi membri, dei quali Russia, USA e Cina, tra l’altro, non fanno parte della Corte Penale Internazionale. Mentre Cina e Russia, in sostanza, non vogliono che si parli di genocidio dei Rohingya e chiedono che la questione venga risolta dal solo governo del Myanmar, gli Usa hanno sollecitato il Consiglio di sicurezza a fare pressione su quest’ultimo affinché riconosca la criticità della situazione, e hanno sospeso la loro cooperazione militare col Myanmar, invitando anche gli altri Stati a fare lo stesso.
L’Unione Europea ha adottato un nuovo programma da 5 milioni di euro a sostegno dei profughi Rohingya in Bangladesh. L’iniziativa punta a sostenere l’attuazione dell’accordo bilaterale di rimpatrio – raggiunto recentemente, ma rimasto sinora sulla carta – tra i governi del Myanmar e del Bangladesh: contribuendo alla creazione di tutte le condizioni necessarie per un rientro volontario, dignitoso e sicuro dei profughi nell’ ex-Birmania.
di Fabrizio Federici