K metro 0/Africa ExPress – Ieri oltre 3000 persone (5000 secondo gli organizzatori) hanno manifestato pacificamente a Bamako, la capitale del Mali, contro le violenze nel centro del Paese. Almeno 250 persone sono state brutalmente ammazzate dall’inizio dell’anno in diversi villaggi (Koulogon, Ogossagou, Sobane, Gangafani, Yoro e altri ancora) e quasi 3000 hanno cercato rifugio a
K metro 0/Africa ExPress – Ieri oltre 3000 persone (5000 secondo gli organizzatori) hanno manifestato pacificamente a Bamako, la capitale del Mali, contro le violenze nel centro del Paese. Almeno 250 persone sono state brutalmente ammazzate dall’inizio dell’anno in diversi villaggi (Koulogon, Ogossagou, Sobane, Gangafani, Yoro e altri ancora) e quasi 3000 hanno cercato rifugio a Bandiagara, nella regione di Mopti.
Sono per lo più dogon e fulani le vittime di questa carneficina nel centro della ex colonia francese. Gruppi armati di dozo, cacciatori tradizionali di etnia dogon e altri di origine fulani da qualche tempo sono in stato di agitazione tra loro. I secondi, che si occupano per lo più di pastorizia, e i dogo, agricoltori, per secoli hanno vissuto in armonia tra loro. Solo dopo la fondazione del gruppo jihadista Front de libération du Macina(FLM), fondato nel 2015 da Amadou Koufa (nome di battaglia Amadou Diallo), un predicatore estremista fulani, che ha reclutato i propri adepti tra la sua gente. I dogon hanno creato gruppi di autodifesa armati; da allora si verificano continui scontri tra le due etnie.
I manifestanti hanno chiesto al governo di disarmare quanto prima tutti gli abitanti, residenti nelle aree considerate fragili al centro della ex colonia francese, dove da tempo non solo i terroristi insanguinano il suolo, ma anche gli scontri etnici rendono insicure molte aree. La gente ha paura, molti campi sono in stato di abbandono, e questo non solamente per i cambiamenti cimatici, ma perchè in alcuni villaggi non è rimasto nessuno che possa coltivarli.
E proprio ieri, mentre era in pieno svolgimento la manifestazione a Bamako, l’esercito maliano ha annunciato che era in atto un nuovo rastrellamento di terroristi nel centro del Paese. Un soldato sarebbe morto durante l’operazione, mentre parecchi attentatori sarebbero stati neutralizzati e alcune loro basi distrutte.
Jean-Pierre Lacroix, capo delle operazioni ONU per il mantenimento della pace in Mali si è recato ieri a Mopti, accompagnato da Pedro Serrano, vicecommissario per la politica estera dell’Unione Europea, per incontrare le autorità locali e rappresentanti della società civile. Giovedì prossimo, invece, il Consiglio di Sicurezza del Palazzo di Vetro discuterà sul futuro di MINUSMA, la missione multidimensionale integrata delle Nazioni Unite in Mali, una delle più costose e pericolose. Infatti ha perso quasi duecento uomini dal 2013.
Nel 2012 oltre la metà del nord del Mali era sotto il controllo dei gruppi jihadisti. Solo con l’arrivo di MINUSMA, in gran parte dell’aerea è stata ristabilita l’autorità del governo. Diverse zone sfuggono però ancora al controllo delle truppe maliane e internazionali.
Anche in Burkina Faso le violenze non si fermano. Martedì scorso i jihadisti hanno nuovamente attaccato un villaggio nella provincia di Soum, nel nord del Paese. I terroristi sono arrivati a Tongomayel nel pomeriggio e hanno radunato la gente che, convinta che fosse un raduno di preghiera, non ha esitato a dare seguito all’ “invito”. Poco dopo i jihadisti hanno aperto il fuoco, uccidendo al meno 17 persone, tra loro anche anziani e bambini. I sopravvissuti sono tutti scappati. Il villaggio ora è deserto.
“Scappiamo per non morire”. Secondo le stime delle Nazioni Unite, dall’inizio dell’anno 90.000 burkinabè sono fuggiti dalle loro case, hanno lasciato i loro villaggi perchè terrorizzati dalle violenze che si consumano particolarmente nel nord del Paese.
Ai primi di giugno a Ougadougoo, la capitale della ex colonia francese, dopo l’ennesimo attacco jihadista si sono riversate 1.500 persone. Ora molti di loro vivono nel cortile polveroso di una scuola. Cucinano e dormono all’aperto. Hanno lasciato tutti i loro poveri beni a casa, nella zona dove negli ultimi mesi sono stati uccisi anche sacerdoti e fedeli. Nella stessa area sono stati liberati anche quattro ostaggi occidentali, rapiti nel Benin.
Anche questa volta l’esercito è arrivato durante la notte, a tragedia consumata. Ha immediatamente rastrellato l’intera zona, ma dei terroristi ormai non c’era più ombra. Finora la nuova strage non è stata rivendicata.
Durante un’operazione congiunta delle forze armate nigerine, francesi e statunitensi, che si è svolta tra l’8 e il 18 giugno, sarebbero stati uccisi 18 miliziani dello Stato Islamico del Gran Sahara (EIGS).
Grazie all’azione militare in Niger, denominata ACONIT, alla quale hanno partecipato i militari delle forze armate nigerine (FAN), i francesi di Barkhane – presenti in tutto il Sahel con oltre 4000 uomini – sostenuti dagli alleati americani, sono stati anche arrestati cinque terroristi, tra loro tre di nazionalità nigerina.
Le autorità di Niamey hanno fatto sapere che ACONIT è intervenuta nella regione di Tongo-Tongo, al confine con il Mali, dove alla fine di maggio sono stati uccisi 27 suoi militari. EIGS aveva rivendicato l’attentato dell’ottobre 2017 durante il quale sono morti 4 militari statunitensi e 5 nigerini. Tale aggressione era avvenuta nella stessa area.
I dogon, popolo del Mali che conta 240.000 persone, vivono per lo più nella regione della falesia di Bandiagara a sud del fiume Niger. Le loro origini sono incerte: alcuni studiosi ritengono che siano originari della regione del Nilo, altri, invece che si sarebbero staccati dal popolo Mossi del Burkina Faso in seguito a lotte tribali.
Praticano una religione animista, e nonostante i contatti con l’Islam nero e con altre religioni monoteistiche, mantengono tutt’ora un legame molto forte con il loro credo originario. La loro spiritualità si esprime in cerimonie e danze rituali e le maschere sono l’elemento di maggiore rilievo.
Le loro case sono originali, costruite in blocchi di terra cruda che vengono tenuti insieme con della malta d’argilla. Il tutto viene rinforzato con tronchi di palma che sporgono dalle pareti. Si dice che la pianta del villaggio simboleggi il corpo umano.
di Cornelia I. Toelgyes