K metro 0 – Lussemburgo – Si è chiuso senza alcuna decisione il Consiglio dei ministri degli Affari generali UE del 18 giugno, che doveva decidere sull’apertura di formali negoziati con Macedonia del Nord e Albania, due dei 6 Stati balcanici bussanti alle porte dell’Unione. I ministri, dopo molte discussioni, hanno rinviato la scelta di avviare effettivamente
K metro 0 – Lussemburgo – Si è chiuso senza alcuna decisione il Consiglio dei ministri degli Affari generali UE del 18 giugno, che doveva decidere sull’apertura di formali negoziati con Macedonia del Nord e Albania, due dei 6 Stati balcanici bussanti alle porte dell’Unione. I ministri, dopo molte discussioni, hanno rinviato la scelta di avviare effettivamente i colloqui con i due Paesi: concordando all’unanimità di prendere una decisione definitiva entro ottobre prossimo.
Determinante, informa la Reuters, nonostante la raccomandazione della Commissione UE di avviare i colloqui, è stata la contrarietà di vari Stati settentrionali dell’Unione, riflessasi nelle discussioni in seno al Consiglio dei ministri europei: il Parlamento tedesco, infatti, ha rimandato ogni decisione a settembre, e la Camera bassa olandese ha respinto proprio la prospettiva di negoziati con l’Albania. Ma anche la Francia ha mostrato riluttanza: non direttamente, ma solo chiede all’UE di concentrarsi sui suoi problemi interni, prima di ammettere nuovi Paesi.
Il testo licenziato alla fine del Consiglio dei ministri UE, tipico capolavoro di diplomazia comunitaria, recepisce tutti questi rilievi, in particolare proprio quelli espressi dalla Francia: affermando che qualsiasi futuro allargamento dell’ Unione non dipenderà solo dai progressi dei candidati in tema di riforme ( traguardo, questo, cui da tempo sono chiamati tutti e i 6 i Paesi balcanici bussanti), ma anche dall’ effettiva capacità della UE di “mantenere e approfondire il proprio sviluppo, compresa la sua capacità di integrare nuovi membri”. Non vanno trascurati infine, alla base di questo “rimando a settembre”, anche il peso – proprio in Paesi come Germania, Olanda e vari della Scandinavia- di un sentimento antimmigrazione dai Balcani diffuso tra i cittadini (e riflessosi nel successo, alle ultime elezioni europee, di vari partiti populisti e xenofobi). Nonché le critiche – espresse, da vari anni, anche da giuristi qualificati – al possibile inserimento di altri Paesi nell’ Unione come fattore di complicazione di processi decisionali già abbastanza lenti e complessi.
Albania e Macedonia settentrionale speravano che il Consiglio dei ministri di Lussemburgo avrebbe dato via libera ai negoziati: tema che sarebbe stato poi al centro delle discussioni al Consiglio Europeo di fine giugno. E in effetti, sulla prospettiva dell’allargamento ad est, la UE risulta da tempo spaccata: ben13 Paesi, tra cui Italia e Polonia, favorevoli all’apertura dei negoziati di adesione, sottolineano che è in gioco proprio la credibilità della UE, dopo anni di “Ostpolitik” verso i Paesi balcanici. E dopo che la Macedonia settentrionale, in particolare, ha concluso, un anno fa, lo storico accordo con la Grecia non solo per chiudere la disputa decennale sul proprio nome, ma anche nella speranza di sbloccare il suo percorso verso UE e NATO.
Agevolare questo allargamento ai Paesi balcanici è “nell’interesse dell’UE, se vogliamo mantenere la nostra influenza, … se vogliamo dimostrare che siamo un attore globale”, ha dichiarato il giorno prima del vertice di Lussemburgo, lunedì 17 giugno, il ministro degli Esteri slovacco Miroslav Lajcak, in evidente “solidarietà euro orientale”. “Se indeboliamo la credibilità del processo di allargamento rinunciamo allo strumento più efficace per la stabilità e la pace”, aveva aggiunto, sempre il giorno prima del vertice, Federica Mogherini, Alto Rappresentante UE per le Relazioni estere. “E’ una questione di credibilità per l’Unione europea, e spero che gli Stati membri capiscano bene quello che è in gioco, e anche che il tempo in questo caso non è irrilevante. Spero che gli Stati membri decidano di aprire i negoziati al più presto”.
Tra i due Paesi, la Macedonia del Nord è quello che ha le migliori chances di avviare i colloqui per l’adesione all’UE almeno entro la fine dell’anno; mentre le possibilità dell’Albania sono assai meno brillanti. Percepita, infatti, come uno dei Paesi più corrotti d’Europa (secondo organizzazioni come Transparency International, e gli appositi centri studi della NATO), l’Albania – che pure è già membro della NATO – ha fatto solo limitati progressi nella lotta al riciclaggio di denaro e nel licenziamento di giudici, pubblici ministeri e dirigenti statali corrotti, dicono funzionari dell’UE e degli USA. Pesa poi, aggiungiamo, nei confronti del “Paese delle aquile”, aver avuto “la manica troppo larga”, nel decennio successivo alla fine del regime comunista (primi anni ’90- primi anni del Duemila), nei confronti della propria emigrazione verso i Paesi occidentali della UE: fatta spesso, di elementi lavorativamente non qualificati e poco raccomandabili.
In “pole position”, per così dire, nella lista dei 6 Paesi bussanti, risultano, invece, Serbia e Montenegro: seguiti a ruota da Kosovo (dove la presenza della missione di pace ONU, con l’importante partecipazione italiana, in vent’anni ha avuto effetti largamente positivi sul miglioramento dei rapporti tra le varie etnie interne e una certa ripresa economica) e Bosnia-Erzegovina.
di Fabrizio Federici