K metro 0/Jobsnews – Roma – L’autosospensione non basta: devono dimettersi i togati di Palazzo dei Marescialli i cui nomi emergono dalle carte dell’inchiesta di Perugia, in relazione ad incontri con il pm di Roma Luca Palamara e i deputati Pd Luca Lotti e Cosimo Ferri, in cui si sarebbe parlato della nomina del nuovo
K metro 0/Jobsnews – Roma – L’autosospensione non basta: devono dimettersi i togati di Palazzo dei Marescialli i cui nomi emergono dalle carte dell’inchiesta di Perugia, in relazione ad incontri con il pm di Roma Luca Palamara e i deputati Pd Luca Lotti e Cosimo Ferri, in cui si sarebbe parlato della nomina del nuovo capo della procura della capitale. È una linea netta e dura quella indicata all’unanimità dal parlamentino dell’Associazione nazionale magistrati, convocato d’urgenza dopo la ‘bufera’ che ha sconvolto le toghe: inoltre, tutti i coinvolti, compreso Ferri – che è ancora un magistrato, ma in aspettativa per mandato elettorale – saranno deferiti ai probiviri, che, una volta letti gli atti non coperti da segreto dei pm umbri, potranno prendere provvedimenti. Ai togati autosospesi, il sindacato delle toghe fa sapere che “ricoprono un incarico per cui non appaiono degni”, ma le richieste di dimissioni sono state subito respinte al mittente dai 3 togati di Magistratura Indipendente autosospesi, Antonio Lepre, Corrado Cartoni e Paolo Criscuoli, i quali ribadiscono la loro correttezza. Anche il togato di Unicost Gianluigi Morlini che prima dell’autosospensione presiedeva la Commissione competente per le nomine ai vertici degli uffici giudiziari, è tornato a ribadire di non aver mai subito condizionamenti di alcun tipo.
In questo ‘terremoto’, che pure aveva scatenato tensioni interne alla Giunta, l’Anm appare decisa ad andare fino in fondo: “Nessuno si permetta di dire una volta di più che io minimizzo”, ha detto con nettezza il presidente Pasquale Grasso (uno dei due esponenti di Magistratura Indipendente che oggi hanno preso parte alla riunione): il rapporto “sano” tra politica e toghe “deve svilupparsi nel Consiglio superiore della magistratura”, ha aggiunto, e il Csm “deve essere la irrinunciabile e non modificabile sede decisionale degli esiti del confronto tra politica e magistratura in materia di autogoverno”. Una posizione condivisa dagli altri esponenti di Giunta, in primis dal segretario Giuliano Caputo (Unicost): “Quegli incontri non hanno nulla a che fare con i rapporti tra politica e magistratura, stiamo parlando di patologia. L’Anm deve prendere una posizione rigorosa, senza se e senza ma”. E il vicepresidente Luca Poniz (Area) ha citato frasi dal ‘Cyrano de Bergerac’, rilevando poi che dalle carte di Perugia emerge “un uso distorto del potere giurisdizionale, e l’idea di dossieraggio tra i magistrati: queste cose non fanno parte del mio mondo, dobbiamo dire ‘Non nel nostro nome’, senza tentennamenti”.
Di “tempo del coraggio”, ha parlato poi Michele Consiglio, esponente di Autonomia&Indipendenza (il gruppo che ha tra i suoi leader Piercamillo Davigo), lanciando a tutte le correnti la radicale proposta, non raccolta dagli altri componenti del ‘parlamentino’, di “valutare il proprio autoscioglimento al fine di operare una effettiva rinascita”. Passa invece l’idea di riunirsi in un’assemblea generale, fissata per settembre, data la necessità di uno “spazio di confronto” al fine di “prevenire il ripetersi di tali gravissimi episodi di degenerazione del sistema dell’autogoverno”. La situazione di Palazzo dei Marescialli, insomma, è ancora in evoluzione e viene monitorata dal Colle che però preferisce non intervenire ‘in corpore vili’. Il Capo dello Stato aveva concordato con David Ermini le pesanti parole dette ieri al plenum del Csm dal vicepresidente, facendo trapelare dal discorso del suo vice il suo grande “sconcerto” per le notizie di questi giorni. Ermini ha chiesto un “riscatto” senza il quale “saremo perduti” e ha parlato di una “ferita profonda” causata da “degenerazioni correntizie”: parole chiare, che ricalcano peraltro inviti già rivolti in passato dal Presidente al Consiglio superiore della magistratura, chiamato informalmente al Quirinale proprio il 4 aprile scorso per chiedere nomine rapide e basate sui curricula.
Ora, però, è il momento della decantazione, si monitora il succedersi degli eventi, si sono attese le decisioni dell’Anm, si preferisce riflettere, anche se un intervento più diretto, più avanti, non viene escluso a priori. Nel frattempo, prosegue il vaglio degli atti da parte dei titolari dell’azione disciplinare, il pg della Cassazione Riccardo Fuzio e il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, che hanno avviato istruttorie e accertamenti, così come va avanti il lavoro della procura di Perugia, dove ieri, per ben 5 ore, è stato interrogato il pm di Roma Stefano Rocco Fava, il quale ha respinto ogni accusa e ribadito di non aver fatto nulla a beneficio del collega Luca Palamara. Sul fronte politico, poi, mentre l’ex procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, oggi europarlamentare del Pd, chiede al “Partito Democratico, finora silente, di prendere una posizione di netta e inequivocabile condanna dei propri esponenti coinvolti in questa vicenda”, si affronta ora la questione di una riforma del Csm: il segretario del Pd Nicola Zingaretti accenna al tema di “una riforma di quell’organismo per aumentare la trasparenza e introdurre anticorpi sul suo funzionamento”. Di situazione “non più tollerabile”, parla infine il senatore M5s Primo Di Nicola, secondo il quale “è arrivato il momento di affrontare una volta per tutte la questione, eliminando l’influenza delle correnti nella vita del Csm così come di quella della politica”.
di Raffaella Locchi