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Pristina. Tensione con Belgrado per gli arresti di cittadini serbi durante un’operazione della polizia kosovara

Pristina. Tensione con Belgrado per gli arresti di cittadini serbi durante un’operazione della polizia kosovara

K metro 0 – Pristina – Un’importante operazione di sicurezza è stata lanciata martedì 28 maggio dalla polizia del Kosovo nella parte nordorientale del Paese, con l’impiego anche di veicoli blindati. Per colpire in modo decisivo – ha riferito il ministro degli Esteri, Behgjet Pacolli – la malavita organizzata che infesta il nord del Paese

K metro 0 – Pristina – Un’importante operazione di sicurezza è stata lanciata martedì 28 maggio dalla polizia del Kosovo nella parte nordorientale del Paese, con l’impiego anche di veicoli blindati. Per colpire in modo decisivo – ha riferito il ministro degli Esteri, Behgjet Pacolli – la malavita organizzata che infesta il nord del Paese e i focolai di corruzione che, come in altri Stati balcanici, inquinano la società civile, e sono presenti tra gli stessi agenti di polizia e doganieri kosovari. Nell’operazione – ha precisato, in serata, la polizia – 5 poliziotti e 6 civili sono rimasti feriti (c’è stato, infatti, un conflitto a fuoco), e una ventina di persone è stata arrestata. Tra queste, diversi cittadini di etnia serba, come 13 poliziotti kosovari, e altre persone che avevano reagito erigendo barricate contro la polizia; ed anche 2 esponenti dell’UNMIK, la forza di sicurezza dell’ONU che dal 1999, dopo la fine della guerra per l’indipendenza del Kosovo, è incaricata del mantenimento della pace nella regione. L’ UNMIK ha chiesto immediatamente il rilascio di tutti gli arrestati.

La parte settentrionale del Kosovo è abitata principalmente da cittadini di etnia serba l’operazione di polizia lanciata da Pristina ha preoccupato fortemente la Serbia, che – come riferito dall’agenzia stampa ufficiale “Tanjug” – ha reagito mobilitando una colonna di veicoli dell’esercito, con truppe armate e specializzate, lungo il confine tra i due Paesi, e lanciando anche un jet mig 29, che ha volato più volte basso nei pressi della frontiera.

“Credo che non sia l’ultima operazione in Kosovo”, ha detto, il ministro degli Esteri di Pristina, Pacolli, precisando anche che non ha riguardato solo il nord del Paese; e accennando indirettamente ad altre che il suo Governo ha in programma di compiere, anzitutto contro i clan della malavita che, pur non organizzati e ramificati sul territorio come la mafia e la camorra italiane, controllano gran parte dell’economia kosovara, arricchendosi col narcotraffico, il contrabbando e  le infiltrazioni nell’edilizia, e inquinando le pubbliche amministrazioni. “Dovremmo però tornare al dialogo” tra Serbia e Kosovo, ha aggiunto Ivica Dacic, ministro degli Esteri serbo: replicando lo stesso giorno al suo omologo a Bratislava, durante un incontro coi giornalisti seguìto a una riunione dei ministri degli Esteri della UE e dei 6 Paesi balcanici “bussanti” (Serbia, Kosovo, Montenegro, Albania, Macedonia del Nord e Bosnia-Erzegovina).

Uscito dalla guerra nella primavera del 1999, il Kosovo ha proclamato ufficialmente la sua indipendenza da Belgrado – riconosciuta da UE e Stati Uniti, ma contestata, oltre che dalla Serbia, da Russia (storico alleato di Belgrado), Cina popolare e altri Paesi – nel 2008. Quest’ episodio (che

probabilmente non sarà l’ultimo, date la ramificazione della malavita nelle zone a cavallo tra i due Paesi, e la possibile presenza anche di terroristi integralisti di stampo islamico) fa salire la tensione tra Pristina e Belgrado. Rafforzando, poi, quella che è la politica serba di “protezione” delle minoranze serbe presenti in altre regioni della ex-Jugoslavia (come appunto il Kosovo, e la Bosnia) nei confronti dei governi locali: politica che, dopo aver giocato un ruolo determinante nei conflitti del 1991- ’95 e 1999, ora rischia di riacutizzare le tensioni tra Belgrado e altri Stati del’ ex-Federazione (vedi, a febbraio scorso, la partecipazione ufficiale serba alle celebrazioni per i cento anni della “Repubblica serba “ di Bosnia, proclamata per la prima volta nel 1919, col crollo dell’ impero austro-ungarico).

Anche l’ Unione Europea .- tramite il portavoce Maja Kocijancic , in stretto contatto sia con Pristina che con Belgrado – ha chiesto, nella giornata di ieri, l’immediato rilascio degli arrestati dalla polizia, e specialmente dei due rappresentanti dell’ UNMIK, ambedue feriti, e dei quali uno cittadino russo, e l’altro del kosovaro; esortando ambedue le parti alla moderazione, e sottolineando che gli organismi di pubblica sicurezza devono “rafforzare e non indebolire gli sforzi di normalizzazione” dello status, già difficile, del Kosovo. La tensione nel corso della giornata è salita quando sia il ministero degli Esteri di Mosca che l’ambasciatore a Belgrado, Alexander Chepurin, hanno espresso una forte protesta per l’arresto del cittadino russo: alla quale il Presidente del Kosovo, Hashim Thaci, ha replicato che l’arrestato sarebbe stato “camuffato da un velo diplomatico per ostacolare l’operazione delle forze di polizia”. A Kosovska Mitrovica, sempre nel Kosovo, è stato chiuso il ponte sul fiume Ibar, che separa il settore nord della città (abitato dall’etnia serba) da quello sud (albanese).  La situazione si è sbloccata a sera, dopo nuove proteste da parte dell’ambasciatore UNMIK, Zahul Tanin, rappresentante ONU: con la successiva liberazione del cittadino russo funzionario dell’UMIK, immediatamente trasportato in un ospedale serbo vicino Mitrovica, per essere curato delle ferite riportate alla testa e al viso. Mentre si attende al più presto il rilascio dell’altro funzionario, cittadino kosovaro.  “La Serbia – ha commentato il ministro degli Esteri, Vucic – cercherà di preservare la pace e la stabilità, ma sarà sempre portata a proteggere il suo popolo”, se necessario.

 

Redazione con  Fabrizio Federici

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