K metro 0 – Parigi – A due anni dalla trionfale elezione alla Presidenza della Repubblica, col 64% dei voti, Emmanuel Macron, il giovane politico che aveva fatto della partecipazione francese alla costruzione europea il suo cavallo di battaglia, si trova a fronteggiare un grave calo di consensi che è evidente, anzitutto, proprio sul terreno della
K metro 0 – Parigi – A due anni dalla trionfale elezione alla Presidenza della Repubblica, col 64% dei voti, Emmanuel Macron, il giovane politico che aveva fatto della partecipazione francese alla costruzione europea il suo cavallo di battaglia, si trova a fronteggiare un grave calo di consensi che è evidente, anzitutto, proprio sul terreno della sua politica europea. E le prossime elezioni dell’Europarlamento del 23- 26 maggio potrebbero risultare, per lui e il suo Governo, anche un deludente test di politica interna.
Il momento in cui Macron si trova a governare non è certo dei più favorevoli al delicato processo di integrazione europea, e negli ultimi due anni l’ascesa dei partiti populisti in gran parte d’ Europa, da un lato, e la scelta inglese della Brexit, dall’altro, hanno indebolito – almeno presso il cittadino medio della UE – le stesse ragioni di base dell’europeismo. Ma il giovane presidente, se, in soli 2 anni ha visitato ben 20 dei 28 Paesi dell’ Unione, in alcune occasioni ha sbagliato metodo e valutazione nell’ approccio agli altri Stati UE: ha pesato il suo rifiuto ad andare in Ungheria e in Polonia (nazioni, tra l’altro, da sempre fortemente legata alla Francia da stretti vincoli culturali ed economici), perché governate da leader fortemente populisti, che egli ha accusato di “mentire” sull’Europa ai propri cittadini.
Anche nei confronti dell’Italia, Macron ha fatto critiche non obbiettive: contestandola per la politica di chiusura all’immigrazione extracomunitaria (proprio il terreno, cioè, su cui la Francia si sta dimostrando più intransigente e meno disposta a fare concessioni). Mentre nella crisi libica (sulle orme, del resto, di Donald Trump) si è contrapposto indirettamente all’Italia appoggiando in pieno l’avventuriero Haftar conto il Presidente del governo di riconciliazione nazionale Al- Serraj, sostenuto da Roma. Con la Germania, invece, principale partner geopolitico della Francia, Macron, non volendo ripetere gli errori di eccessiva accondiscendenza fatti da Sarkozy, ha finito col dare l’impressione di voler per forza imporre le sue vedute: ad esempio a proposito della questione dell’avvicinamento russo-turco e della possibile adesione di Ankara alla UE.
Alla base di tutte queste oscillazioni, c’è probabilmente un nodo irrisolto: Macron. in sostanza, giunto quasi a metà del suo mandato, non ha ancora deciso se vuole essere il presidente di tutti i francesi (come cercò di fare, con successo, Francois Mitterrand) o soltanto di una élite imprenditoriale e tecnocratica. Proprio questo limite della sua visione, tradottosi in scelte di governo poco sensibili ai problemi della gente comune, prima ancora di influenzare la percezione che di questo Presidente hanno gli europei, l’ha screditato in casa. Generando, a lungo andare, la protesta dei “Gilet gialli”: nata, nell’autunno scorso, non come “nuovo 68”, ma semplicemente come protesta di tanti cittadini francesi esasperati dal costo dei carburanti, dal carovita, dalle scarse possibilità di occupazione e di mobilità sociale.
A marzo scorso, su ambedue i fronti, interno ed esterno, Macron ha cercato di correggere la sua politica: varando una grande consultazione dell’opinione pubblica per abbozzare un ambizioso programma di risposte alle richieste di cambiamento guidate inizialmente dai Gilet gialli, e cercando di ottenere il sostegno per l’Europa con un appello scritto agli elettori in 28 Paesi, per respingere i partiti nazionalisti che “non offrono nulla”. L’inquilino dell’Eliseo ha proposto poi – sulla base di una discussione pubblica con un gruppo di cittadini europei – una “tabella di marcia” per lo sviluppo dell’Unione, da definire entro la fine dell’anno. “Ci sarà disaccordo”, ha detto Macron in questo confronto diretto con cittadini europei, “ma è meglio avere un’Europa statica o un’Europa che avanzi, a volte a ritmi diversi, e che sia aperta a tutti?”.
Alle elezioni europee, la campagna per il partito del Presidente. “En marche”, è guidata dall’ex ministro degli Affari europei Nathalie Loiseau, sotto lo striscione “Renaissance”. Il partito vuole associarsi con l’alleanza ALDE, favorevole al mercato, per creare un nuovo gruppo centrista al Parlamento europeo, alternativo al PPE: ma è evidente la velleitarietà di questo progetto, che è appena agli inizi, rapportata alla forza consistente dei 2 tradizionali gruppi più importanti di Strasburgo, il Partito popolare europeo e il gruppo socialista e democratico di sinistra. Ma anche in casa, Macron non gioca facile, con la rivale Lepen decisa a prendersi la rivincita sulla sconfitta del 2017, grazie anche all’alleanza transnazionale con gli altri patiti sovranisti europei, dalla Lega di Salvini al Fidesz di Viktor Orbàn.
“Abbiamo una crisi dell’Unione europea. Questo è un dato di fatto. Ovunque in Europa … tutti gli estremi, le posizioni estreme, stanno aumentando “, ha detto Macron il 16 maggio, a pochi giorni dalle elezioni, come riferisce l’AP: facendo, a favore dell’unità europea. Un inaspettato appello a margine di una fiera della tecnologia. “Sulla moneta, sul digitale, sull’azione contro il cambiamento climatico, abbiamo bisogno di più Europa”, ha detto. “Voglio che l’UE sia più protettiva nei confronti delle nostre frontiere in materia di migrazione, terrorismo e così via, ma penso che se frammentate l’Europa, non vi è alcuna possibilità di avere un’Europa più forte”.
di Fabrizio Federici