K metro 0/Jobsnews – Milano – Per finanziare la sua campagna elettorale in vista del voto europeo, Lara Comi si sarebbe fatta versare 31 mila euro ‘mascherati’ da consulenze fittizie dall’imprenditore e presidente della Confindustria lombarda, Marco Bonometti. È questa l’ipotesi che ‘alza’ il livello dell’inchiesta milanese su una presunta rete di corruzione estesa tra
K metro 0/Jobsnews – Milano – Per finanziare la sua campagna elettorale in vista del voto europeo, Lara Comi si sarebbe fatta versare 31 mila euro ‘mascherati’ da consulenze fittizie dall’imprenditore e presidente della Confindustria lombarda, Marco Bonometti. È questa l’ipotesi che ‘alza’ il livello dell’inchiesta milanese su una presunta rete di corruzione estesa tra la Lombardia e il Piemonte che ha già portato all’arresto di due forzisti nel comune di Milano (Fabio Altitonante) e in regione (Pietro Tatarella), oltre alla richiesta di domiciliari per un terzo, il parlamentare Diego Sozzani. La Procura contesta a Bonometti, anche lui accusato del reato di finanziamento illecito ai partiti, una fattura da 31 mila euro, emessa dalla sua società, la Officine Meccaniche Rezzatesi (Omr), alla Premium consulting srl, di cui Comi è socia e amministratrice. Stando a quanto ricostruito dai pm, l’industriale avrebbe versato quei soldi, in due tranche, per uno studio identificato dagli inquirenti in una tesi reperibile online sul made in Italy e le piccole aziende di torrefazione del caffè. Fonti vicine a Confindustria precisano che la società di Lara Comi avrebbe anche svolto un dossier sull’approccio strategico per il settore dell’automotive in Italia e in Cina’.
Nell’impostazione dell’accusa, Bonometti sarebbe così andato a foraggiare in modo illecito, senza dichiararlo nei termini stabiliti dalla legge, la campagna elettorale dell’azzurra che punta al terzo mandato a Bruxelles. Tutto regolare secondo l’avvocato Gian Piero Biancolella, che difende la politica: “Non c’era nessun motivo per simulare un contributo elettorale. La prestazione è stata resa dalla società nell’ambito dell’oggetto sociale e delle specifiche competenze. Contesto con decisione che sussista l’illecito”. Nega ogni addebito pure l’imprenditore che parla di “leale collaborazione con la magistratura”, dopo che ieri i pm lo hanno sentito fino a tarda sera come testimone, prima di indagarlo. Il nome di Lara Comi era già emerso dalla lettura dell’ordinanza che ha portato a 43 misure cautelari martedì scorso. Stando a quanto emerso da alcune intercettazioni, definite “rilevantissime” dagli inquirenti, l’azzurra avrebbe ricevuto 38 mila euro per contratti di consulenza da parte dell’ente per il lavoro e la formazione Afol “dietro promessa di retrocessione di una quota parte” a Gioacchino Caianiello, ritenuto il presunto “burattinaio” delle trame corruttive, e a Giuseppe Zingale, direttore dell’ente che fa capo a Milano Città Metropolitana. Un episodio, questo, sul quale sono in corso accertamenti.
Prosegue intanto la febbrile attività degli inquirenti che continuano a sentire persone tra il quinto e il sesto piano del Palazzo di Giustizia. Da registrare anche che il gip Raffaella Mascarino ha revocato la misura cautelare dell’obbligo di presentazione negli uffici della polizia giudiziaria a due indagate che avrebbero ammesso i fatti a loro contestati. Una è Paola Saporiti, l’assessore al Commercio di Cassano Magnago (Varese) finita nell’indagine assieme alla sorella Giovanna, nominata nel collegio sindacale di Alfa srl, società locale a capitale pubblico. Dagli atti era emerso che la donna aveva consegnato una busta contenente 5 mila euro al forzista Gioacchino Caianiello, ritenuto il “burattinaio” delle trame corruttive, spiegando che si trattava della “decima parte dell’incarico ottenuto dalla sorella Giovanna Saporiti” nella società pubblica. In un’intercettazione, spiegava di avere preferito non fare bonifici per evitare che il pagamento illecito venisse rintracciato (“io ti devo questo, è la famosa decima, così non si vedono bonifici”). E’ stata revocata la misura anche per Marta Cundari, responsabile dell’ufficio tecnico del Comune di Gallarate che, assieme ad altri indagati, avrebbe consentito all’assessore all’urbanistica Alessandro Petrone, tra gli arrestati, “di ingerirsi nelle scelte di loro competenza”.