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La profilazione etnica è una pratica persistente in Europa

La profilazione etnica è una pratica persistente in Europa

K metro 0 – Strasburgo – “La profilazione razziale o etnica nell’ambito delle attività di polizia è stata definita come ‘l’uso da parte delle forze dell’ordine, quando procedono a operazioni di controllo, sorveglianza o indagine, di motivi quali la razza, il colore della pelle, la lingua, la religione, la nazionalità o l’origine nazionale o etnica,

K metro 0 – Strasburgo – “La profilazione razziale o etnica nell’ambito delle attività di polizia è stata definita come ‘l’uso da parte delle forze dell’ordine, quando procedono a operazioni di controllo, sorveglianza o indagine, di motivi quali la razza, il colore della pelle, la lingua, la religione, la nazionalità o l’origine nazionale o etnica, senza alcuna giustificazione oggettiva e ragionevole”. Pur non essendo nuovo, è un fenomeno ancora diffuso nell’insieme degli Stati membri del Consiglio d’Europa, malgrado la crescente consapevolezza della necessità di contrastarlo, sostenuta da una solida giurisprudenza al riguardo”, ha dichiarato Dunja Mijatović, Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, nel suo Human Rights Comment pubblicato venerdì.

Sono numerosi i settori in cui la profilazione etnica si manifesta in maniera più marcata. Ad esempio, le politiche governative possono conferire eccessivi poteri discrezionali alle forze dell’ordine, che poi li utilizzano per prendere di mira gruppi o individui in base al colore della pelle o alla loro lingua. Molto spesso, la profilazione etnica è determinata da taciti pregiudizi”.

“Il termine “profilazione etnica” è stato usato per la prima volta dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in un giudizio del 16 aprile 2019. Relativo a un ricorso (la causa “Lingurar contro la Romania”), a proposito del quale la Corte ha riscontrato, nel corso di un raid compiuto dalla polizia rumena, un comportamento delle forze dell’ordine, a danno di una famiglia, che violava palesemente gli articoli 14 e 3 della Convenzione europea sui Diritti dell’Uomo (proibizione, rispettivamente, di discriminazione e di trattamenti inumani o degradanti). Le forze di polizia in questo caso, ha rilevato la Corte, hanno automaticamente connesso l’etnicità delle persone fermate a un comportamento criminale.

Simile modo di procedere ha rilevato recentemente, in Germania, l’Alta Corte di Giustizia della Renania-Palatinato: esaminando il caso di una famiglia di origine africana i cui membri erano stati gli unici passeggeri di un treno sottoposti dalla polizia a un controllo di identità.

Non sono che alcuni esempi di un comportamento – da parte, a volte, anche della magistratura – che nell’ UE, purtroppo, è tutt’altro che raro. Non a caso, nel Regno Unito il Primo Ministro nel 2016 commissionò la stesura di un’indagine (nota poi come “Rapporto Lanny”) sul trattamento dei cittadini di origine africana, asiatica e mediorientale da parte di polizia e magistratura. Rapporto che evidenziò che nel Regno Unito – come negli Stati più razzisti degli USA negli anni ’50- ’60 – gli individui appartenenti a minoranze etniche ricevevano assai piu’ condanne a pende detentive rispetto ai cittadini di origine anglosassone. Mentre in Francia, un’analoga indagine svolta recentemente su un campione di circa 5.000 cittadini ha dimostrato che gli immigrati dai Paesi africani o arabi hanno 20 volte più probabilità di essere fermati e indagati rispetto a qualsiasi altro gruppo etnico”.

 

di Fabrizio Federici

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